2019-01-11
L’urlo di sfida dei taxisti delle Ong: «Grazie, adesso torniamo in mare»
Hanno violato ogni regola e la sovranità degli Stati, hanno portato avanti le loro battaglie sulla pelle dei migranti. Adesso gli enti umanitari proclamano con orgoglio: «A breve operativi in zona Sar».Nella triste pantomima che ha coinvolto le navi Sea Watch3 e Sea Eye qualcuno, purtroppo, ha vinto. Non il premier Giuseppe Conte. Non Matteo Salvini né l'Italia. Nemmeno Malta o l'Unione europea. E di sicuro non ha vinto l'umanità. A vincere sono state le Ong, i taxisti del mare che, per l'ennesima volta, hanno fatto i propri comodi, hanno causato un conflitto fra Stati e istituzioni, hanno messo a rischio la vita di decine di persone e sono uscite indenni da tutta la vicenda. Di più: ne sono uscite rafforzate. E infatti sono già pronte a riprendere il servizio di traghetto dalle coste libiche ai porti d'Europa. Ieri gli attivisti delle organizzazioni immigrazioniste lo hanno annunciato con orgoglio. Tramite il profilo italiano di Sea Watch hanno fatto sapere al mondo le loro intenzioni: «Proviamo sollievo per i nostri ospiti», hanno spiegato. «Ora gli Stati rispettino gli accordi. Ci stiamo già organizzando per fare ritorno in area Sar appena possibile. Continueremo a batterci per un'Europa che tuteli i diritti umani. A loro auguriamo tutto il meglio». Poco dopo, un altro tweet, sempre dal medesimo profilo: «Nei prossimi giorni recuperiamo le forze e rimettiamo in forma la nave per tornare il prima possibile nell'area Sar, in acque internazionali. Per non lasciare deserto il Mediterraneo centrale». Che siano intenzionati a ricominciare con i viaggi lo ha confermato, a Sky, anche Giorgia Linardi, portavoce italica della Ong: torneranno in mare quanto prima, pronti a recuperare gente dai barconi nei pressi della Libia. «Crediamo poi che sia un dovere salvare chi sta annegando», ha ribadito la Linardi in una intervista, sfoggiando la consueta retorica. «È importante quando chi dovrebbe farlo non lo fa. Le nostre missioni non sono un atto di sfida ma di responsabilità. È importante continuare a salvare perché il problema non venga dimenticato ma che sia ben visibile agli occhi dell'Europa. Non possiamo fare finta che il problema non esista chiudendo gli occhi e chiudendo i porti». Belle parole, ma false. Intanto, le Ong non salvano dei naufraghi, ma dei poveretti che vengono condotti in mare dai trafficanti di esseri umani, contribuendo nei fatti ad alimentare un sistema mortifero. Inoltre, le loro missioni rappresentano eccome una sfida. Questi attivisti fanno politica, hanno a tutti gli effetti sfidato il governo italiano, giocando la loro partita sulla pelle di 49 persone. Le Ong, è noto, fanno di tutto per evitare che la guardia costiera libica intervenga nella zona di ricerca e soccorso che le compete. Sanno benissimo, gli attivisti, che - una volta recuperati i migranti dai barconi - Malta non risponderà alle loro richieste, quindi si rivolgono all'Italia, che non c'entra nulla. Già: per quale motivo veniamo chiamati in causa visto che parliamo di migranti in arrivo dalla Libia saliti su navi che battono bandiera olandese e tedesca e non si trovano nelle acque di nostra competenza? Mistero. Ovviamente anche i maltesi fanno il gioco sporco, e vanno avanti da anni senza che nessuno (leggi Ue) li abbia richiamati all'ordine. Anche questa volta l'hanno fatta franca, ottenendo che le istituzioni di Bruxelles si piegassero ai loro ricattini. Sono le stesse istituzioni che hanno lasciato completamente sola l'Italia a fronteggiare il caos migratorio degli anni passati, continuando a ripetere che dovevamo accogliere, e adesso si sbracciano per garantire un rapido smistamento delle persone sbarcate a La Valletta. Dove stavano quando si trattava di ricollocare migliaia e migliaia di persone approdate sulle nostre coste illegalmente? Perché ancora oggi latitano quando si tratta di parlare di rimpatri dei clandestini? In questo vuoto politico le Ong sguazzano e dettano la linea. Si sentono in diritto di violare la sovranità degli Stati perché, in fondo, di quella sovranità l'Europa è la prima a non avere rispetto. I taxisti del mare si prendono la libertà di scavalcare la guardia costiera libica e pure quella italiana. Sanno perfettamente che rischiano ogni di volta di trovarsi nella stessa situazione, e cioè bloccati in acqua ad attendere il rimpallo tra i vari Paesi. Ma questo è esattamente il loro obiettivo. Se avessero davvero a cuore gli interessi delle persone che dicono di «salvare», per prima cosa non le farebbero partire. Dovrebbero mollare le navi e trasferirsi a terra, magari nei Paesi africani o direttamente in Libia. E invece s'intignano a solcare le acque a un unico scopo: quello di creare l'incidente, affinché l'opinione pubblica si scandalizzi di fronte ai governi cattivi che si rifiutano di«accogliere donne e bambini» (anche se donne e bimbi sono una minoranza fra quanti arrivano). Per altro, nei mesi scorsi di sbarchi sulle nostre coste ce ne sono stati: le persone recuperate dalle nostre autorità sono state fatte entrare, proprio perché nessuno venisse lasciato morire nel Mediterraneo. Ma l'obiettivo deve restare (e resta) quello di arrivare a zero sbarchi, cioè zero partenze ovvero zero morti e zero traffico di esseri umani. Le Ong sono un ostacolo verso il raggiungimento di tale obiettivo. Ora i migranti sono approdati, dopo giorni di patimenti. I trafficanti saranno contenti: il carico è arrivato a destinazione. Gli attivisti festeggiano e si preparano a riprendere il largo, contribuendo così ad alimentare la macchina della schiavitù. Anche questa volta i buoni hanno vinto, evviva.
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