
Lo Stato sovranista vive un inverno demografico proprio come l'Italia. Ma dal 2011 il tasso di fecondità cresce grazie agli incentivi economici varati dal governo di Viktor Orbán, che ha valorizzato la famiglia. Alla faccia della salvezza in arrivo dai barconi.I migranti ci pagheranno le pensioni, ridando vitalità e freschezza ai nostri Paesi. Soprattutto, ci aiuteranno a superare l'inverno demografico. Perché sono loro, e solo loro, la nostra speranza. È quanto assicurano da anni i soloni progressisti, convinti che l'Europa del futuro sarà multietnica o semplicemente non sarà. Chiusura delle frontiere vorrebbe dunque dire morte, seguendo questa logica. Peccato che l'Ungheria del vituperato Viktor Orbán, uno che i migranti non li vuol vedere manco dipinti, racconti un'altra storia. La storia di un Paese che non solo non collassa, ma pare avviato verso una nuova primavera demografica. A farlo presente non è qualche esaltato populista, bensì Lyman Stone, ricercatore presso l'Institute for Family Studies formatosi alla George Washington University, il quale in una lunga analisi significativamente intitolata Is Hungary Experiencing a Policy-Induced Baby Boom? racconta proprio questo: in un'Europa dalla natalità cimiteriale, l'Ungheria si sta rialzando. Lentamente e faticosamente, ma lo sta facendo. Per spiegare questo fenomeno inaspettato, Stone si addentra in profondità nei dati facendo anche una cronistoria delle politiche pro family varate sotto Orbán. Nel 2015, viene per esempio ricordato, il governo ungherese aveva introdotto un'importante politica di nuovi sussidi per chi intende acquistare o costruire nuove case, in misura favorevolmente progressiva in base al numero dei figli. Le più agevolate dal provvedimento erano difatti le coppie sposate con tre o più figli, nuclei ai quali andava l'equivalente di 36.000 dollari di sovvenzione per l'acquisto di una nuova casa, in aggiunta ad altre detrazioni e a un prestito a interesse limitato per parte del valore dell'immobile. Un signor aiuto, nulla da dire. Ma se le donne ungheresi stanno tornando a fare figli, segnala Stone, non lo si deve a questi pur generosi aiuti, per lo più destinati a famiglie già formate e che numerose lo erano già. Tanto è vero che i grafici delle nascite mensili non mostrano crescite, anzi l'inizio del 2018 risulta peggiore di quello del 2017. «Tuttavia, se dal dato mensile grezzo dei nati ci si focalizza sul tasso di fecondità totale, valore che riassume in una cifra la capacità riproduttiva di una generazione di 1.000 donne non toccate da mortalità», osserva Stone, «vediamo come questo stia aumentando rapidamente. Ed è cosa insolita, dal momento che la maggior parte dei Paesi in tutto il mondo sta attualmente vivendo una fertilità stabile o in calo, soprattutto in Europa». «Quindi», conclude lo studioso spiegando che il Paese è passato da 1,2 nascite per donna nel 2011 a 1,5 nel 2017, «molto probabilmente sta accadendo qualcosa di interessante nella fertilità ungherese, qualcosa che merita di essere esplorato». Già, ma se non sono stati i sussidi per la casa, come si spiega tutto questo? Le cause della ripresa della natalità sembrano essere due. La prima, più prevedibile, riguarda le esenzioni fiscali. Infatti, nel 2011 e nel 2012, in Ungheria sono state varate esenzioni per i figli. Una scelta politica che, secondo alcune stime, nel 2011 e nei due anni successivi ha favorito la nascita di un numero tra i 6.000 e i 18.000 bambini in più. Fatto positivo, ma strano se si considera che queste esenzioni erano economicamente inferiori rispetto ai sussidi per la casa. Significa che negli incentivi alla natalità il messaggio culturale prevale sul dato economico. Una cosa talmente vera che, secondo Stone, il segreto della crescita del tasso di fecondità totale, più che nei pur utili aiuti economici, risiede in un secondo fattore: l'aumento del numero dei matrimoni. Si è infatti visto come, a partire dal 2012, ma con segnali consistenti nel 2015 e nel 2016, in Ungheria le donne si siano mostrate rispetto agli anni precedenti più propense a sposarsi. Come mai? Grazie alla discussa Costituzione modificata nel 2011. Accusato di essere anacronistico e patriarcale, è un testo che in effetti ripone grande fiducia nelle nuove generazioni, specie laddove recita: «Noi mettiamo la nostra fede in un avvenire modellato insieme, nella vocazione delle giovani generazioni. Noi crediamo che i nostri bambini e i nostri nipoti avranno il talento, la tenacia e la forza morale per restituire la grandezza dell'Ungheria». Sarebbe dunque questo fiducioso richiamo ai «nostri bambini e nipoti» il primo, vero incentivo alla famiglia e dunque alla natalità ungherese. Beninteso, questo non significa che Orbán faccia i miracoli, anzi con 1,5 figli per donna i tassi di fertilità sono ancora bassi e probabilmente, a detta di Stone, nonostante gli enormi sforzi governativi il Paese non raggiungerà a breve il tasso di sostituzione, pari a 2,1 figli per donna. Meglio andarci piano, insomma, prima di gridare al baby boom. Tuttavia, in un'Europa moribonda quella ungherese suona come una lezione. Perché ci ricorda l'inscindibile legame tra matrimonio e figli, più volte sottolineato da studiosi come Roberto Volpi, che ha spesso evidenziato come per la natalità il fattore culturale conti come quello economico, se non di più. Soprattutto, la lezione ungherese fa a pezzi la narrativa immigrazionista secondo cui senza stranieri addio, siamo fritti. Chi ancora lo pensa faccia pure un giro dalle parti di Budapest. Poi ne riparliamo.
Johann Chapoutot (Wikimedia)
Col saggio «Gli irresponsabili», Johann Chapoutot rilegge l’ascesa del nazismo senza gli occhiali dell’ideologia. E mostra tra l’altro come socialdemocratici e comunisti appoggiarono il futuro Führer per mettere in crisi la Repubblica di Weimar.
«Quella di Weimar è una storia così viva che resuscita i morti e continua a porre interrogativi alla Germania e, al di là della Germania, a tutte le democrazie che, di fronte al periodo 1932-1933, a von Papen e Hitler, ma anche a Schleicher, Hindenburg, Hugenberg e Thyssen, si sono trovate a misurare la propria finitudine. Se la Grande Guerra ha insegnato alle civiltà che sono mortali, la fine della Repubblica di Weimar ha dimostrato che la democrazia è caduca».
(Guardia di Finanza)
I finanzieri del Comando Provinciale di Palermo, grazie a una capillare attività investigativa nel settore della lotta alla contraffazione hanno sequestrato oltre 10.000 peluches (di cui 3.000 presso un negozio di giocattoli all’interno di un noto centro commerciale palermitano).
I peluches, originariamente disegnati da un artista di Hong Kong e venduti in tutto il mondo dal colosso nella produzione e vendita di giocattoli Pop Mart, sono diventati in poco tempo un vero trend, che ha generato una corsa frenetica all’acquisto dopo essere stati indossati sui social da star internazionali della musica e del cinema.
In particolare, i Baschi Verdi del Gruppo Pronto Impiego, attraverso un’analisi sulla distribuzione e vendita di giocattoli a Palermo nonché in virtù del costante monitoraggio dei profili social creati dagli operatori del settore, hanno individuato sette esercizi commerciali che disponevano anche degli iconici Labubu, focalizzando l’attenzione soprattutto sul prezzo di vendita, considerando che gli originali, a seconda della tipologia e della dimensione vengono venduti con un prezzo di partenza di circa 35 euro fino ad arrivare a diverse migliaia di euro per i pezzi meno diffusi o a tiratura limitata.
A seguito dei preliminari sopralluoghi effettuati all’interno dei negozi di giocattoli individuati, i finanzieri ne hanno selezionati sette, i quali, per prezzi praticati, fattura e packaging dei prodotti destavano particolari sospetti circa la loro originalità e provenienza.
I controlli eseguiti presso i sette esercizi commerciali hanno fatto emergere come nella quasi totalità dei casi i Labubu fossero imitazioni perfette degli originali, realizzati con materiali di qualità inferiore ma riprodotti con una cura tale da rendere difficile per un comune acquirente distinguere gli esemplari autentici da quelli falsi. I prodotti, acquistati senza fattura da canali non ufficiali o da piattaforme e-commerce, perlopiù facenti parte della grande distribuzione, venivano venduti a prezzi di poco inferiori a quelli praticati per gli originali e riportavano loghi, colori e confezioni del tutto simili a questi ultimi, spesso corredati da etichette e codici identificativi non conformi o totalmente falsificati.
Questi elementi, oltre al fatto che in alcuni casi i negozi che li ponevano in vendita fossero specializzati in giocattoli originali di ogni tipo e delle più note marche, potevano indurre il potenziale acquirente a pensare che si trattasse di prodotti originali venduti a prezzi concorrenziali.
In particolare, in un caso, l’intervento dei Baschi Verdi è stato effettuato in un negozio di giocattoli appartenente a una nota catena di distribuzione all’interno di un centro commerciale cittadino. Proprio in questo negozio è stato rinvenuto il maggior numero di pupazzetti falsi, ben 3.000 tra esercizio e magazzino, dove sono stati trovati molti cartoni pieni sia di Labubu imbustati che di scatole per il confezionamento, segno evidente che gli addetti al negozio provvedevano anche a creare i pacchetti sorpresa, diventati molto popolari proprio grazie alla loro distribuzione tramite blind box, ossia scatole a sorpresa, che hanno creato una vera e propria dipendenza dall’acquisto per i collezionisti di tutto il mondo. Tra gli esemplari sequestrati anche alcune copie più piccole di un modello, in teoria introvabile, venduto nel mese di giugno a un’asta di Pechino per 130.000 euro.
Soprattutto in questo caso la collocazione all’interno di un punto vendita regolare e inserito in un contesto commerciale di fiducia, unita alla cura nella realizzazione delle confezioni, avrebbe potuto facilmente indurre in errore i consumatori convinti di acquistare un prodotto ufficiale.
I sette titolari degli esercizi commerciali ispezionati e destinatari dei sequestri degli oltre 10.000 Labubu falsi che, se immessi sul mercato avrebbero potuto fruttare oltre 500.000 euro, sono stati denunciati all’Autorità Giudiziaria per vendita di prodotti recanti marchi contraffatti.
L’attività s’inquadra nel quotidiano contrasto delle Fiamme Gialle al dilagante fenomeno della contraffazione a tutela dei consumatori e delle aziende che si collocano sul mercato in maniera corretta e che, solo nell’ultimo anno, ha portato i Baschi Verdi del Gruppo P.I. di Palermo a denunciare 37 titolari di esercizi commerciali e a sequestrare oltre 500.000 articoli contraffatti, tra pelletteria, capi d’abbigliamento e profumi recanti marchi delle più note griffe italiane e internazionali.
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Stefano Arcifa
Parla il neopresidente dell’Aero Club d’Italia: «Il nostro Paese primeggia in deltaplano, aeromodellismo, paracadutismo e parapendio. Rivorrei i Giochi della gioventù dell’aria».
Per intervistare Stefano Arcifa, il nuovo presidente dell’Aero Club d’Italia (Aeci), bisogna «intercettarlo» come si fa con un velivolo che passa alto e veloce. Dalla sua ratifica da parte del governo, avvenuta alla fine dell’estate, è sempre in trasferta per restare vicino ai club, enti federati e aggregati, che riuniscono gli italiani che volano per passione.
Arcifa, che cos’è l’Aero Club d’Italia?
«È il più antico ente aeronautico italiano, il riferimento per l’aviazione sportiva e turistica italiana, al nostro interno abbracciamo tutte le anime di chi ha passione per ciò che vola, dall’aeromodellismo al paracadutismo, dagli ultraleggeri al parapendio e al deltaplano. Da noi si insegna l’arte del volo con un’attenzione particolare alla sicurezza e al rispetto delle regole».
Riccardo Molinari (Ansa)
Il capogruppo leghista alla Camera: «Stiamo preparando un pacchetto sicurezza bis: rafforzeremo la legittima difesa ed estenderemo la legge anti sgomberi anche alla seconda casa. I militari nelle strade vanno aumentati».
«Vi racconto le norme in arrivo sul comparto sicurezza, vogliamo la legittima difesa “rinforzata” e nuove regole contro le baby gang. L’esercito nelle strade? I soldati di presidio vanno aumentati, non ridotti. Landini? Non ha più argomenti: ridicolo scioperare sulla manovra».
Riccardo Molinari, capogruppo della Lega alla Camera, la Cgil proclama l’ennesimo sciopero generale per il 12 dicembre.
«Non sanno più di cosa parlare. Esaurito il filone di Gaza dopo la firma della tregua, si sono gettati sulla manovra. Ma non ha senso».






