2025-02-03
Lunga vita ai nonni
Depositari della storia della propria famiglia, rappresentano un supporto fondamentale per i genitori che lavorano a tempo pieno. E più studi rivelano che i bambini da loro accuditi vantano un maggiore benessere psicofisico.L’ex prosindaco di Milano Giuseppe Zola: «Sono visti come un baluardo contro la cancel culture. Con la mia associazione lotto per valorizzarli».Anche la Chiesa omaggia gli anziani da sempre angeli custodi della fede. Giovanni Paolo II dedicò loro una Lettera, Benedetto XVI denunciò chi li emarginava.Lo speciale contiene tre articoli.Ah, se non ci fossero i nonni. Raramente ci si fa caso, ma i genitori dei genitori rappresentano molto di più della fascia anziana della famiglia: sono memoria, storia, radici. Sono al tempo stesso ponte tra il passato e il presente e premessa imprescindibile per il futuro. Senza di loro la vita sarebbe molto più complicata, specialmente quella delle mamme lavoratrici. Come infatti messo in luce dalla statistica Linda Laura Sabbadini, «i nonni, e in particolare le nonne, sono il pilastro del supporto alle lavoratrici madri con figli fino a 10 anni». «Nei casi in cui entrambi i genitori sono occupati», ha osservato sempre la Sabbadini, i nonni «se ne prendono cura nel 60,4% dei casi quando il bimbo più piccolo ha fino a 2 anni, nel 61,3% quando ha da 3 a 5 anni e nel 47,1% se è più grande. Valori che superano il 65% nel Mezzogiorno». L’aiuto dei nonni alle mamme lavoratrici è confermato anche dalla professoressa Shireen Kanji della Brunel University di Londra. «L’assistenza all’infanzia da parte dei nonni», ha scritto la Kanji in un articolo uscito su The Conversation, «ha aumentato del 26% la partecipazione delle madri di bambini di 4 e 5 anni al mercato del lavoro, rispetto a quanto sarebbe successo se i nonni non avessero fornito la loro assistenza all’infanzia». Il supporto dei nonni, specie alle madri, è rilevante anche sotto il profilo emotivo, risultando fondamentalmente correlato, nel corso del primo anno dopo il parto, a una migliore condizione della donna: lo si è visto in una metanalisi pubblicata nel 2023 sulla rivista Human Nature, a partire da 11 studi per un totale di quasi 3.400 partecipanti, attraverso la quale si è osservata questo fenomeno sia nelle madri adolescenti sia in quelle mamme a basso rischio di disturbi emotivi del dopo parto. Dunque i nonni non sono componenti marginali, bensì fondamentali della famiglia.Tutto ciò vale in modo particolare per l’Italia. Se infatti la media europea degli over 65 che si sente utile occupandosi a tempo pieno dei nipoti è del 30%, nel nostro Paese è al 44%. Il che si traduce anzitutto in servizi concreti come tenere compagnia ai bambini, aiutarli nei compiti, accompagnarli a scuola o agli allenamenti sportivi, vigilare su di loro quando mamma e papà sono fuori casa. Insomma, i nonni da un lato offrono un sostegno affettivo e materiale ai genitori - tanto più nei momenti di crisi o difficoltà - e dall’altro si confermano figure fondamentali nello sviluppo emotivo, cognitivo e sociale dei nipoti, arricchendo in modo decisivo il processo educativo. Se infatti mamma e papà trasmettono ai figli insegnamenti, i nonni trasmettono loro tradizioni. Ma non solo: la componente anziana della famiglia dà un apporto anche sotto il profilo delle competenze. Eloquente, su questo, Early child care and child outcomes: the role of grandparents, studio basato sui dati del Millennium cohort study, indagine inglese contenente informazioni su un campione di quasi 19.000 famiglie con bambini nati nel 2000/2001. Ebbene, gli autori di questa ricerca si sono accorti di come, rispetto ai coetanei che frequentano l’asilo nido, i bambini che sono seguiti dai nonni conoscono un maggior numero di parole, dimostrandosi più abili nel dare nomi agli oggetti: davanti a un libretto con figure colorate sono pertanto in grado di dire il nome corretto dell’oggetto più frequentemente degli altri bambini. Un’altra funzione dei nonni è quella di contrastare i pregiudizi. Un’indagine belga pubblicata nel 2019 sulla rivista Child development a cura dei ricercatori Allison Flamion, Pierre Missotten, Manon Marquet e Stéphane Adam - i quali hanno esaminato 1.151 bambini di età compresa tra 7 e 16 anni - ha scoperto come i nipoti che vedevano i nonni almeno una volta alla settimana fossero più amorevoli verso gli anziani; più tempo trascorrevano con loro, meno forti risultavano i loro pregiudizi nei confronti della terza età. È poi interessante il lavoro dalla dottoressa Hayley A. Hamilton, la quale ha dimostrato - con l’indagine pubblicata sul Journal of adolescent health, realizzata a partire dai dati del National longitudinal study of adolescent health - come tra i minori afroamericani, più di altri esposti a degrado e difficoltà, la presenza di un nonno in casa sia associata a sintomi depressivi inferiori e comportamenti meno devianti. E non è finita. Effetti positivi riconducibili alla presenza dei nonni sono stati riscontrati anche in relazione all’obesità infantile. Una ricerca pubblicata nel 2016 su Pediatric obesity - realizzata su 39 minori in età prescolare dai ricercatori dello svedese Karolinska Institutet e dell’Institute of social and cultural anthropology presso l’Università di Oxford - ha infatti scoperto come il sostegno dei nonni sia collegato a livelli più bassi di obesità nei bambini. «Il nostro studio dimostra che il supporto emotivo dei nonni può avere un effetto preventivo contro l’obesità infantile, che è una malattia grave», ha commentato Paulina Nowicka, professoressa del Karolinska Institutet e coautrice di questo studio.Dulcis in fundo, in quello che appare un bellissimo circuito di affetti - un bene, cioè, che ritorna dopo essere stato donato - accade che la presenza dei nipoti faccia del bene ai nonni, anzitutto tenendoli cognitivamente attivi. Fa testo a tal proposito uno studio pubblicato nel 2014 - intitolato Does grandparenting pay off? The effect of childcare on grandparents’ cognitive functioning - con il quale si è visto come i nonni che curano i nipoti settimanalmente mostrino migliori abilità verbali. E questo senza differenza di genere: a parità di tempo trascorso insieme ai nipoti, i benefici sono risultati simili per nonne e nonni. Più recentemente, nel 2019, un lavoro uscito sulla rivista Social science & medicine - con cui si sono prese in considerazione persone di 50 anni e più in 11 Paesi europei, per un totale di quasi 25.000 individui - ha riscontrato come «i nonni più attivi hanno dichiarato di godere di una salute migliore rispetto ai nonni che lo sono meno». Certo, si potrebbe sempre obiettare che queste dichiarazioni non siano poi così accurate e che magari l’importanza attribuita agli affetti possa in qualche modo influenzare la valutazione della propria salute. Ma a parte il fatto che questa indagine ha considerato numerosi parametri (come i sintomi depressivi, la soddisfazione di vita e le criticità emerse nelle attività quotidiane), che son tutti risultati migliori per i nonni attivi, ci sono anche evidenze che hanno dimostrato in modo definitivo i benefici per gli anziani nello stare coi loro nipoti. Il riferimento, qui, è agli impressionanti esiti di quello che è noto come Berlin aging study, un maxistudio multidisciplinare - pubblicato a cura di Paul B. Baltes e Karl Ulrich Mayer del Max-Planck-Institut für Bildungsforschung - nel quale si è considerato un campione di 516 persone di età compresa tra i 70 e i 100 anni, che sono state divise in tre gruppi: i nonni che occasionalmente aiutavano con i nipoti, gli anziani che avevano alcune responsabilità di assistenza per persone non familiari e gli anziani che non prestavano assistenza a nessun altro. Ebbene, al termine di questa indagine ventennale si è visto come i nonni in prima linea nell’assistere fin dall’infanzia i loro nipoti mostrassero tassi di mortalità inferiori del 37% rispetto agli altri. Insomma, è proprio il caso di dirlo: lunga vita ai nonni che più fanno i nonni.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/lunga-vita-ai-nonni-2671077267.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="oggi-sono-ripudiati-perche-si-vuole-demolire-il-passato" data-post-id="2671077267" data-published-at="1738546564" data-use-pagination="False"> «Oggi sono ripudiati perché si vuole demolire il passato» Classe 1939, avvocato, due figli, sette nipoti, già prosindaco (1985-87) e vicesindaco di Milano (1991), Giuseppe Zola - per tutti Peppino - è tra i fondatori nonché presidente, anche grazie alla consorte Adriana mancata nel 2022 («la mia combattiva moglie»), di Nonni 2.0, associazione nata nel 2014 non per «aiutare i nonni a fare bene i nonni (lo sanno già fare per natura)», bensì «per aiutarli a prendere maggiore coscienza dei propri compiti sia in relazione alla propria famiglia sia in relazione all’intera società». Dunque è la persona giusta per farsi un’idea sui nonni nel panorama odierno. Zola, a oltre 10 anni dalla fondazione, quali sono state le principali iniziative di Nonni 2.0? «Ci siamo molto impegnati su tre fronti. Innanzitutto quello culturale, con una fitta serie di incontri interni ed esterni tesi ad approfondire i compiti specifici dei nonni, soprattutto sul versante educativo. In particolare, negli ultimi due anni abbiamo affrontato di petto il tema della alleanza tra generazioni, che riteniamo essere indispensabile per aiutare la crescita di un pensiero critico, la tutela della vita e della libertà e l’incremento dell’educazione e delle esperienze comunitarie. A ognuno di questi incontri partecipava un nonno, un genitore non ancora nonno, uno studente universitario e un sacerdote. È aumentata la coscienza che si tratta di un tema essenziale. Un secondo tipo di impegno si è rivolto verso la Chiesa, segnalando l’importanza che i nonni hanno nell’ambito degli impegni pastorali delle comunità e dei movimenti ecclesiali. Anche all’interno di tali comunità, infatti, vi può essere il pericolo di considerare i nonni e in generale gli anziani solo come persone da “assistere” e non da coinvolgere in un impegno. Una terza area di nostra attenzione è stata quella che riguarda l’ambito sociale e anche politico, che si deve rendere sempre più conto della funzione essenziale e molto importante che i nonni hanno nel tenere insieme l’intera società». Come? «Per esempio, abbiamo proposto che gli aiuti economici che i nonni danno ai nipoti vengano presi in considerazione tra le deduzioni possibili dal punto di vista fiscale e che i nonni possano partecipare alle assemblee di classe su delega dei genitori, quando questi ultimi siano impossibilitati a parteciparvi. Segnalo, in particolare, questa iniziativa: insieme ai pensionati Cisl, abbiamo indetto un concorso scolastico nazionale sul tema: “Io e i miei nonni: esperienze e riflessioni”, la cui premiazione avverrà il prossimo 14 maggio ad Agrigento, designata come Capitale culturale italiana per il 2025». Come mai, nonostante l’importanza che ciascuno nel proprio vissuto attribuisce ai nonni, essi restano una risorsa sottostimata? Dopotutto, i nonni in Italia sono 12 milioni. «La causa principale di questa sottostima sta in una concezione culturale, che oggi sembra essere prevalente, secondo la quale non viene sottolineata a sufficienza la tradizione dalla quale proveniamo ciascuno di noi e il nostro intero popolo. Si tende a guardare solo a un progresso che non tiene conto della storia da cui proveniamo. I nonni sono come il simbolo fisico di questa storia e pertanto non vengono presi in considerazione: sono visti con una certa simpatia - a volte anche con un po’ di tenerezza -, ma non si tiene conto di loro quando si devono prendere le decisioni importanti. Il pensiero dominante tende a relegare in un angolo i nonni, perché essi potrebbero demolire il tentativo di distruggere il passato, come vorrebbe la cancel culture. Errore madornale e antistorico». A quanto ammonta il contributo che i nonni danno al welfare? «Durante un convegno sulla famiglia tenutosi lo scorso agosto al Meeting di Rimini, il professor Mario Bolzan, ordinario di statistica sociale all’Università di Padova, ha presentato una slide relativa a una ricerca su 11 Paesi europei, che ha mostrato come in Gran Bretagna una famiglia media riceva 468 ore all’anno di assistenza ai nipoti dai nonni: se si dovessero tradurre tali ore in valore economico, ogni famiglia avrebbe un risparmio annuale di 4.600 sterline, pari a circa 4.000 euro. Basterebbe fare un piccolo conto sulla base di questi dati: si dimostrerebbe facilmente che il welfare prodotto dai nonni, attraverso la loro gratuita attività quotidiana, ammonta in Italia a molti miliardi di euro, pari a una quota rilevante del Pil nazionale». Qualcuno che ogni tanto richiama l’importanza dei nonni però c’è: papa Francesco. «Interviene non ogni tanto, ma molto spesso e nelle più varie occasioni. Ne parla anche a livello personale, nel senso che ha più volte detto che la sua stessa vocazione è stata grandemente favorita da sua nonna». Da anni - lo fece pure Silvio Berlusconi - si parla di un ministero degli Anziani, tema su cui lo scorso anno le Rsa del Veneto hanno rivolto un appello a Giorgia Meloni. Che ne pensa? «Il tema è molto interessante e, comunque, segnala il fatto che gli anziani, nonni compresi, costituiscono un fattore positivo essenziale per l’intero Paese, come messo in evidenza dalla legge 33/2023. Si potrebbe approfondire l’ipotesi, a qualche condizione». Quali? «La prima che l’eventuale ministero non nasca a tavolino, ma solo dopo avere ascoltato chi si occupa quotidianamente di queste problematiche. La seconda è che non venga creata un’altra struttura destinata ad aumentare i lacci burocratici, che già appesantiscono la nostra vita. La terza è che l’eventuale nuova struttura tenga conto del fatto che il 70% degli anziani e dei nonni non è principalmente da “assistere”, ma da valorizzare». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/lunga-vita-ai-nonni-2671077267.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="anche-la-chiesa-omaggia-gli-anziani-da-sempre-angeli-custodi-della-fede" data-post-id="2671077267" data-published-at="1738546564" data-use-pagination="False"> Anche la Chiesa omaggia gli anziani da sempre angeli custodi della fede Se la cultura dominante di rado ricorda l’importanza dei nonni, così non è per la Chiesa. In effetti, sono molto chiari in proposito i messaggi dei pontefici degli ultimi decenni, a partire da Karol Wojtyla. Correva infatti il 31 dicembre 1978, Giovanni Paolo II era stato eletto Papa da poco più di due mesi, allorquando nell’Angelus domenicale volle esplicitamente ricordare le persone «di età avanzata», tra cui «nonni e nonne», sottolineando come debbano essere guardate «con rispetto (“onora!”); a loro devono le famiglie la propria esistenza, l’educazione, il mantenimento, che spesso sono stati pagati con duro lavoro e con molta sofferenza. Non possono essere trattati come se fossero ormai inutili». Il 1° ottobre 1999, poco più di 20 anni dopo, fu sempre il pontefice polacco a scrivere una Lettera agli anziani nella quale indicava nei genitori dei genitori le radici della fede. «In quante famiglie», sottolineava infatti Wojtyla in quel documento, «i nipotini ricevono dai nonni i primi rudimenti della fede! Ma sono molti altri i campi a cui può estendersi il benefico apporto degli anziani. Lo Spirito agisce come e dove vuole, servendosi non di rado di vie umane che agli occhi del mondo appaiono di poco conto». Anche Joseph Ratzinger non perse occasione, da Papa, per ricordare l’importanza dei nonni. Nel discorso tenuto il 5 aprile 2008 all’assemblea plenaria del Pontificio consiglio per la famiglia, in sala Clementina, Benedetto XVI denunciò in particolare l’emarginazione dei più anziani degli ultimi decenni. «Oggi, l’evoluzione economica e sociale», osservava il pontefice tedesco, «ha portato profonde trasformazioni nella vita delle famiglie. Gli anziani, tra cui molti nonni, si sono trovati in una sorta di “zona di parcheggio”: alcuni si accorgono di essere un peso in famiglia e preferiscono vivere soli o in case di riposo, con tutte le conseguenze che queste scelte comportano». In continuità coi predecessori anche papa Francesco si è più volte soffermato sull’importanza dei nonni; a partire dal 26 ottobre 2013, quando, in occasione del pellegrinaggio delle famiglie, domandò: «Voi ascoltate i nonni? Voi aprite il vostro cuore alla memoria che ci danno i nonni? Un popolo che non ascolta i nonni è un popolo che muore». Nell’incontro nell’aula Paolo VI con nonni, anziani e nipoti promosso dalla fondazione Età grande, il 27 aprile 2024, il pontefice argentino ha offerto un’interpretazione originale del Vangelo a favore dei più anziani, come i primi che hanno capito chi fosse davvero Gesù. «Sono due anziani, mi piace pensare due nonni, Simeone e Anna», ha osservato papa Bergoglio, «a riconoscere Gesù quando è stato portato al Tempio da Maria e Giuseppe (cfr Lc 2,22-38). Sono stati questi due nonni a riconoscere Gesù, prima di tutti. L’hanno accolto, preso tra le braccia e hanno compreso - solo loro l’hanno compreso - quello che stava succedendo. Cioè che Dio era lì, presente, e che li guardava con gli occhi di un Bambino».
Toto ha presentato il progetto di eolico offshore galleggiante al largo delle coste siciliane, destinato a produrre circa 2,7 gigawatt di energia rinnovabile. Un’iniziativa che, secondo il direttore di Renexia, rappresenta un’opportunità concreta per creare nuova occupazione e una filiera industriale nazionale: «Stiamo avviando una fabbrica in Abruzzo che genererebbe 3.200 posti di lavoro. Le rinnovabili oggi sono un’occasione per far partire un mercato che può valere fino a 45 miliardi di euro di valore aggiunto per l’economia italiana».
L’intervento ha sottolineato l’importanza di integrare le rinnovabili nel mix energetico, senza prescindere dal gas, dalle batterie e in futuro anche dal nucleare: elementi essenziali non solo per la sicurezza energetica ma anche per garantire crescita e competitività. «Non esiste un’economia senza energia - ha detto Toto - È utopistico pensare di avere solo veicoli elettrici o di modificare il mercato per legge». Toto ha inoltre evidenziato la necessità di una decisione politica chiara per far partire l’eolico offshore, con un decreto che stabilisca regole precise su dove realizzare i progetti e investimenti da privilegiare sul territorio italiano, evitando l’importazione di componenti dall’estero. Sul decreto Fer 2, secondo Renexia, occorre ripensare i tempi e le modalità: «Non dovrebbe essere lanciato prima del 2032. Serve un piano che favorisca gli investimenti in Italia e la nascita di una filiera industriale completa». Infine, Toto ha affrontato il tema della transizione energetica e dei limiti imposti dalla legislazione internazionale: la fine dei motori a combustione nel 2035, ad esempio, appare secondo lui irrealistica senza un sistema energetico pronto. «Non si può pensare di arrivare negli Usa con aerei a idrogeno o di avere un sistema completamente elettrico senza basi logiche e infrastrutturali solide».
L’incontro ha così messo in luce le opportunità dell’eolico offshore come leva strategica per innovazione, lavoro e crescita economica, sottolineando l’urgenza di politiche coerenti e investimenti mirati per trasformare l’Italia in un hub energetico competitivo in Europa.
Continua a leggereRiduci
Da sinistra, Leonardo Meoli (Group Head of Sustainability Business Integration), Marzia Ravanelli (direttrice Quality & Sustainability) di Bonifiche Feraresi, Giuliano Zulin (La Verità) e Nicola Perizzolo (project engineer)
Al panel su Made in Italy e sostenibilità, moderato da Giuliano Zulin, vicedirettore de La Verità, tre grandi realtà italiane si sono confrontate sul tema della transizione sostenibile: Bonifiche Ferraresi, la più grande azienda agricola italiana, Barilla, colosso del food, e Generali, tra i principali gruppi assicurativi europei. Tre prospettive diverse – la terra, l’industria alimentare e la finanza – che hanno mostrato come la sostenibilità, oggi, sia al centro delle strategie di sviluppo e soprattutto della valorizzazione del Made in Italy. «Non sono d’accordo che l’agricoltura sia sempre sostenibile – ha esordito Marzia Ravanelli, direttrice del Gruppo Quality & Sustainability di Bonifiche Ferraresi –. Per sfamare il pianeta servono produzioni consistenti, e per questo il tema della sostenibilità è diventato cruciale. Noi siamo partiti dalla terra, che è la nostra anima e la nostra base, e abbiamo cercato di portare avanti un modello di valorizzazione del Made in Italy e del prodotto agricolo, per poi arrivare anche al prodotto trasformato. Il nostro obiettivo è sempre stato quello di farlo nel modo più sostenibile possibile».
Per Bf, quotata in Borsa e con oltre 11.000 ettari coltivati, la sostenibilità passa soprattutto dall’innovazione. «Attraverso l’agricoltura 4.0 – ha spiegato Ravanelli – siamo in grado di dare al terreno solo quello di cui ha bisogno, quando ne ha bisogno. Così riduciamo al minimo l’uso delle risorse: dall’acqua ai fitofarmaci. Questo approccio è un grande punto di svolta: per anni è stato sottovalutato, oggi è diventato centrale». Ma non si tratta solo di coltivare. L’azienda sta lavorando anche sull’energia: «Abbiamo dotato i nostri stabilimenti di impianti fotovoltaici e stiamo realizzando un impianto di biometano a Jolanda di Savoia, proprio dove si trova la maggior parte delle nostre superfici agricole. L’agricoltura, oltre a produrre cibo, può produrre energia, riducendo i costi e aumentando l’autonomia. È questa la sfida del futuro». Dall’agricoltura si passa all’industria alimentare.
Nicola Perizzolo, project engineer di Barilla, ha sottolineato come la sostenibilità non sia una moda, ma un percorso strutturale, con obiettivi chiari e risorse ingenti. «La proprietà, anni fa, ha preso una posizione netta: vogliamo essere un’azienda di un certo tipo e fare business in un certo modo. Oggi questo significa avere un board Esg che definisce la strategia e un piano concreto che ci porterà al 2030, con un investimento da 168 milioni di euro».Non è un impegno “di facciata”. Perizzolo ha raccontato un esempio pratico: «Quando valutiamo un investimento, per esempio l’acquisto di un nuovo forno per i biscotti, inseriamo nei costi anche il valore della CO₂ che verrà emessa. Questo cambia le scelte: non prendiamo più il forno standard, ma pretendiamo soluzioni innovative dai fornitori, anche se più complicate da gestire. Il risultato è che consumiamo meno energia, pur garantendo al consumatore lo stesso prodotto. È stato uno stimolo enorme, altrimenti avremmo continuato a fare quello che si è sempre fatto».
Secondo Perizzolo, la sostenibilità è anche una leva reputazionale e sociale: «Barilla è disposta ad accettare tempi di ritorno più lunghi sugli investimenti legati alla sostenibilità. Lo facciamo perché crediamo che ci siano benefici indiretti: la reputazione, l’attrattività verso i giovani, la fiducia dei consumatori. Gli ingegneri che partecipano alle selezioni ci chiedono se quello che dichiariamo è vero. Una volta entrati, verificano con mano che lo è davvero. Questo fa la differenza».
Se agricoltura e industria alimentare sono chiamate a garantire filiere più pulite e trasparenti, la finanza deve fare la sua parte nel sostenerle. Leonardo Meoli, Group Head of Sustainability Business Integration di Generali, ha ricordato come la compagnia assicurativa lavori da anni per integrare la sostenibilità nei modelli di business: «Ogni nostra attività viene valutata sia dal punto di vista economico, sia in termini di impatto ambientale e sociale. Abbiamo stanziato 12 miliardi di euro in tre anni per investimenti legati alla transizione energetica, e siamo molto focalizzati sul supporto alle imprese e agli individui nella resilienza e nella protezione dai rischi climatici». Il mercato, ha osservato Meoli, risponde positivamente: «Vediamo che i volumi dei prodotti assicurativi con caratteristiche ESG crescono, soprattutto in Europa e in Asia. Ma è chiaro che non basta dire che un prodotto è sostenibile: deve anche garantire un ritorno economico competitivo. Quando riusciamo a unire le due cose, il cliente risponde bene».
Dalle parole dei tre manager emerge una convinzione condivisa: la sostenibilità non è un costo da sopportare, ma un investimento che rafforza la competitività del Made in Italy. «Non si tratta solo di rispettare regole o rincorrere mode – ha sintetizzato Ravanelli –. Si tratta di creare un modello di sviluppo che tenga insieme produzione, ambiente e società. Solo così possiamo guardare al futuro».In questo incrocio tra agricoltura, industria e finanza, il Made in Italy trova la sua forza. Il marchio non è più soltanto sinonimo di qualità e tradizione, ma sempre di più di innovazione e responsabilità. Dalle campagne di Jolanda di Savoia ai forni di Mulino Bianco, fino alle grandi scelte di investimento globale, la transizione passa per la capacità delle imprese italiane di essere sostenibili senza smettere di essere competitive. È la sfida del presente, ma soprattutto del futuro.
Continua a leggereRiduci
A condurre, il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin. In apertura, Belpietro ha ricordato come la guerra in Ucraina e lo stop al gas russo deciso dall’Europa abbiano reso evidenti i costi e le difficoltà per famiglie e imprese. Su queste basi si è sviluppato il confronto con Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, società con 70 anni di storia e oggi attore nazionale nel settore energetico.
Cecconato ha sottolineato la centralità del gas come elemento abilitante della transizione. «In questo periodo storico - ha osservato - il gas resta indispensabile per garantire sicurezza energetica. L’Italia, divenuta hub europeo, ha diversificato gli approvvigionamenti guardando a Libia, Azerbaijan e trasporto via nave». Il presidente ha poi evidenziato come la domanda interna nel 2025 sia attesa in crescita del 5% e come le alternative rinnovabili, pur in espansione, presentino limiti di intermittenza. Le infrastrutture esistenti, ha spiegato, potranno in futuro ospitare idrogeno o altri gas, ma serviranno ingenti investimenti. Sul nucleare ha precisato: «Può assicurare stabilità, ma non è una soluzione immediata perché richiede tempi di programmazione lunghi».
La seconda parte del panel è stata guidata da Giuliano Zulin, che ha aperto il confronto con le testimonianze di Maria Cristina Papetti e Maria Rosaria Guarniere. Papetti ha definito la transizione «un ossimoro» dal punto di vista industriale: da un lato la domanda mondiale di energia è destinata a crescere, dall’altro la comunità internazionale ha fissato obiettivi di decarbonizzazione. «Negli ultimi quindici anni - ha spiegato - c’è stata un’esplosione delle rinnovabili. Enel è stata tra i pionieri e in soli tre anni abbiamo portato la quota di rinnovabili nel nostro energy mix dal 75% all’85%. È tanto, ma non basta».
Collegata da remoto, Guarniere ha descritto l’impegno di Terna per adeguare la rete elettrica italiana. «Il nostro piano di sviluppo - ha detto - prevede oltre 23 miliardi di investimenti in dieci anni per accompagnare la decarbonizzazione. Puntiamo a rafforzare la capacità di scambio con l’estero con un incremento del 40%, così da garantire maggiore sicurezza ed efficienza». Papetti è tornata poi sul tema della stabilità: «Non basta produrre energia verde, serve una distribuzione intelligente. Dobbiamo lavorare su reti smart e predittive, integrate con sistemi di accumulo e strumenti digitali come il digital twin, in grado di monitorare e anticipare l’andamento della rete».
Il panel si è chiuso con un messaggio condiviso: la transizione non può prescindere da un mix equilibrato di gas, rinnovabili e nuove tecnologie, sostenuto da investimenti su reti e infrastrutture. L’Italia ha l’opportunità di diventare un vero hub energetico europeo, a patto di affrontare con decisione le sfide della sicurezza e dell’innovazione.
Continua a leggereRiduci