2024-08-31
L’undicesimo comandamento non l’ha rispettato nemmeno il Papa
Papa Francesco (Getty Images)
Francesco ora dice che «respingere gli immigrati è un peccato grave». Eppure sosteneva che ogni Paese «deve accogliere quanti ne può integrare» e invitava alla prudenza. Quindi la generosità non è senza limiti.Sua santità papa Francesco, in occasione dell’udienza generale del mercoledì, ha rinviato la «consueta catechesi», dedicandosi a quelle persone, comunemente dette «migranti», che attraversano «mari e deserti per raggiungere una terra dove vivere in pace e sicurezza».I suoi ideali di accoglienza e di apertura di cuore sono noti a tutti, anche se spesso il suo linguaggio viene frainteso o ricordato a metà. Dopo aver citato il binomio «mare e deserto», come simbolo delle «migrazioni» che spesso - purtroppo - «risultano mortali», il Pontefice ha parlato del Mediterraneo, quel «Mare nostrum», tradizionale «luogo di comunicazione fra popoli e civiltà», che però «è diventato un cimitero». In questo contesto, ha aggiunto qualcosa che mai aveva detto, almeno in questi precisi termini di natura etica e morale. «Bisogna dirlo con chiarezza», ha tuonato Francesco, «c’è chi opera sistematicamente e con ogni mezzo per respingere i migranti». E questo, ha aggiunto, «quando è fatto con coscienza e responsabilità, è un peccato grave».Ora, vista la serietà della faccenda, giova riflettere con calma. In effetti, se il «respingere i migranti» coincidesse con il non salvare il naufrago in stato di evidente ed estrema necessità, allora la condanna papale avrebbe una coerenza incontrovertibile. Almeno per chi segue l’etica universalistica del Vangelo e per tutti coloro che non sono privi di umanità. Chi sta affogando nell’oceano o sta morendo di sete nel deserto, va salvato, a prescindere da ulteriori considerazioni «politiche».Ma il «respingere i migranti», nel senso ovvio del discorso pontificio, non si limita a questo gesto di doverosa umanità. Anche perché, nessun partito politico si sognerebbe di negarlo, neppure «populisti» e «sovranisti». No, qui si parla di «respingere» anche nel senso di «non accogliere». Ma questo non accogliere lo straniero, in un dato Paese e in un preciso momento storico, può mai essere un «peccato grave»? Se lo fosse, lo stesso Pontefice, lo avrebbe favorito e incoraggiato.Il 21 giugno 2018, papa Francesco, sul volo da Ginevra a Roma, tenne una conferenza stampa, intitolata così dal quotidiano della Cei: «Papa Francesco: accogliere i migranti con la virtù della prudenza». Il richiamo alla nota virtù cardinale implica già una accoglienza non illimitata, altrimenti il costrutto non avrebbe senso. In ogni caso, alla domanda di Eva Fernandez: «In questo giorni abbiamo visto l’incidente della nave Aquarius. Lei ha parlato dell’aiuto ai rifugiati. Pensa che alcuni governi strumentalizzino il dramma degli immigrati?», il Papa rispose chiaro. «Sui rifugiati ho parlato molto e i criteri sono quelli che ho detto: accogliere, accompagnare, sistemare, integrare». Poi, continua Francesco, «ho detto che ogni Paese deve fare questo con la virtù propria del governo, cioè con la prudenza». Se la norma del politico è la prudenza, significa che il limite esiste, benché non sia possibile fissarlo in astratto, viste le immani differenze tra Paese e Paese, e tra contesto e contesto. La politica del «tutti dentro», come del resto quella del «tutti fuori», è esclusa a priori, altrimenti il richiamo alla prudenza sarebbe fuorviante. Ma il Papa un criterio di fondo lo dà: «Ogni Paese deve accogliere quanto può, quanti ne può integrare». Se dunque ogni Paese deve accogliere tanti migranti «quanti ne può integrare», vuol dire che oltre quel limite, il «respingimento» è ragionevole e sensato. Ma allora come fa a essere «peccato grave»?Sul «volo papale» di rientro dalla Svezia, avvenuto il primo novembre 2016, il Pontefice ricevette una domanda simile a quella già vista. Il giornalista svedese Elie Swedenmark, dopo aver evocato le persone che «provenienti da Paesi come la Siria o l’Iraq cercano rifugio in Paesi europei», chiese al Papa quale fosse «il suo messaggio alla Svezia», nazione che «dopo una lunga tradizione di accoglienza dei rifugiati adesso incomincia a chiudere le proprie frontiere». Dopo aver notato che «la Svezia ha una lunga tradizione di accoglienza», il Papa disse che «il migrante dev’essere trattato con certe regole perché migrare è un diritto, ma è un diritto molto regolato». Quindi regolare l’immigrazione - il che implica una limitazione degli ingressi - non era un peccato nel 2016.Riguardo ai rifugiati, che sono una parte dei migranti, il Papa aggiunse: «Credo che in teoria non si può chiudere il cuore». Ma aggiunse: «Ci vuole anche la prudenza dei governanti: devono essere molto aperti a riceverli, ma anche fare il calcolo di come poterli sistemare, perché un rifugiato non lo si deve solo ricevere, ma lo si deve integrare». Chiarissimo. E senza peccato.Attenti ora alla frase più scorretta (o forse più calibrata) mai detta dal Papa in fatto di immigrazione. «E se un Paese ha una capacità di 20, diciamo così, di integrazione, faccia fino a questo. Un altro di più, faccia di più». Ma il «ventunesimo» migrante, quindi, che vorrebbe entrare nel Paese, può essere respinto senza divenire peccatori, sì o no? Certo, «20» è un numero simbolico che può significare migliaia o eventualmente milioni di stranieri da integrare. Ma ha un significato evidente: ha un limite certo e il limite non va superato. Superandolo, avvertiva il Papa in quel discorso oggi negletto, «si ghettizza», ossia si «entra in un ghetto».La conclusione è semplice. Come fa il politico ad agire con «prudenza» e ad «accogliere solo quegli stranieri che possono essere integrati», come il Papa ha insegnato per anni, se poi respingendo il migrante in esubero è costretto al «peccato grave» dal nuovo e inaudito «undicesimo comandamento» dell’accoglienza illimitata?
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