True
2020-11-02
L'ultimo regalo ai giganti del Web
iStock
Oltre al danno, la beffa. La nuova chiusura di tutti i cinema fino al 24 novembre mentre mette in ginocchio un settore già disastrato dal precedente lockdown e fa un gran regalo ai colossi delle piattaforme streaming. Il Covid sta creando una situazione inimmaginabile fino a qualche tempo fa. I big delle pellicole on demand sono scesi in campo pesantemente contendendosi le grandi produzioni, quei titoli che sono sicuramente campioni di incassi, e quindi sottraendoli alle sale. È quanto sta accadendo al nuovo film di James Bond, No time to die, che sarebbe dovuto uscire nelle sale in aprile, poi è stato rinviato a novembre e quindi è slittato ad aprile 2021. Sarebbe stato l'evento più atteso nei cinema nel 2020, potrebbe diventare la pellicola dell'anno nel 2021 per lo streaming. La pandemia ha un'evoluzione imprevedibile e ha fatto saltare tutte le programmazioni. Così, nel deserto dell'offerta, proprio a causa delle misure restrittive e dell'assenza di produzioni americane, piazzare un titolo di grande richiamo avrebbe un effetto maggiore che in tempi normali. Secondo i rumors raccolti da Bloomberg, i due big dello streaming, Apple e Netflix, sarebbero in trattativa per acquistare il nuovo episodio di 007 e distribuirlo direttamente sulle loro piattaforme bypassando le sale.
La casa di produzione Mgm, che per realizzare la pellicola dell'agente segreto più famoso al mondo ha speso 250 milioni di dollari, si sta dissanguando nell'attesa. I vari rinvii causa Covid sarebbero costati circa 50 milioni di dollari. La Metro Goldwyn Mayer ha smentito le indiscrezioni della vendita, confermando che l'uscita è stata posticipata all'aprile 2021 per «preservare l'esperienza teatrale per gli spettatori». Ma sempre gli addetti ai lavori hanno detto che in realtà sarebbe stata chiesta una cifra spropositata, circa 600 milioni di dollari, oltre le possibilità anche di un colosso come Netflix. Bloomberg rivela che anche altri studi di produzione, come Paramount e Sony, stanno perdendo decine di milioni di dollari a causa dei rinvii dei loro film, e che hanno provato a recuperare queste perdite vendendo titoli come Greyhound, Coming 2 America e Without remorse ai servizi di streaming.
Ma quello di 007 non sarebbe l'unico sgambetto alle sale cinematografiche. Il colpo più doloroso è venuto dalla Disney che ha deciso di distribuire l'attesa pellicola Soul scavalcando le sale e mandandola direttamente sul canale Disney+ il giorno di Natale. Massimo della beffa, il film ha aperto la Festa del cinema di Roma in quello che è sembrato a tanti un grande spot allo streaming. La casa di Topolino aveva già imboccato questa direzione con l'ultimo action movie Mulan, che a settembre è andato contemporaneamente nelle sale e, con un sovrapprezzo, sulla rete in streaming Disney+. E qualche giorno fa Dan Loeb, uno dei più importanti azionisti di Disney con una quota di 1 miliardo di dollari nella società, ha chiesto pubblicamente l'uscita di Black widow con Scarlett Johansson sulla piattaforma di streaming Disney+. I film Disney valgono oro per il mercato italiano. Delle 10 pellicole che hanno incassato di più nell'ultima stagione, sei erano produzioni di questo colosso.
La fuga di tutti i principali blockbuster è il colpo di grazia per un settore tramortito dalla scorsa serrata che conta 3.900 sale e decine di migliaia di lavoratori. Gli ultimi dati di Audimovie sulle presenze dicono che da gennaio a settembre gli spettatori nei cinema italiani sono stati 30,3 milioni, meno della metà dei 69,5 milioni dei primi nove mesi dello scorso anno.
Secondo l'Anec (Associazione nazionale esercenti cinema), da marzo 2020 a oggi è stato perso l'82% del box office e delle presenze. Con l'attuale chiusura nelle prossime 4 settimane andranno in fumo altri 90 milioni di fatturato diretto e indotto. Fino al 26 ottobre scorso aveva riaperto soltanto l'80% delle sale a fronte di un fatturato che si è fermato al 38% rispetto all'anno precedente.
Un dato ancora più preoccupante è questo: a 100 giorni dalla riapertura delle sale (avvenuta il 15 giugno), nella settimana dal 14 al 20 settembre le presenze sono state mediamente 138 al giorno a fronte di 553 della settimana omologa del 2019. Un livello che corrisponde al 25% del 2019 (secondo un'elaborazione su dati Cinetel di Cineguru). La crisi di pubblico è sotto gli occhi di tutti e rischia di non essere recuperabile alla fine della chiusura.
Le grandi case di distribuzione hanno finora tenuto nel cassetto i nuovi titoli, forse in attesa di un miglioramento del mercato che però non si vede all'orizzonte. L'unica eccezione è stata Tenet di Christopher Nolan. E il Natale si avvicina, senza che il pubblico sappia con certezza se potrà tornare al cinema e quali pellicole lo attendono. Le piattaforme in streaming, se da un lato non sono paragonabili all'esperienza in sala, dall'altro allo spettatore medio offrono, soprattutto in questo momento, un'alternativa sicura, valida per qualità e anche più economica rispetto allo spostamento verso i cinema.
Le difficoltà delle sale si sommano a quelle delle produzioni, tra rinvii, protocolli da rispettare ma anche blocchi per casi di infezione. Le riprese di Mission impossible 7 hanno una vita travagliata. La scorsa primavera il protagonista Tom Cruise è rimasto bloccato a Venezia. Poi, dopo il lockdown, sono ricominciate le riprese ma alcuni giorni fa il set è stato smontato all'improvviso perché nella troupe sono stati individuati 12 casi di positività. In aggiunta, le riprese hanno creato assembramenti di curiosi e fan.
Le major reagiscono all'incertezza del momento rimandando i film di punta. Wonder woman 1984 era stato spostato a Natale, ma a questo punto sarà molto difficile che la programmazione venga rispettata. Dune da dicembre prossimo slitta al 1° ottobre 2021 e Matrix 4, ennesima puntata della saga fantascientifica, arriverà a dicembre del prossimo anno. Altri titoli come Jurassic world: dominion, Avatar 2, The Flash, The Batman hanno avuto sorte peggiore e sono slittati al 2022. Le riprese delle avventure dell'uomo pipistrello sono state colpite da vicino dal Covid con il protagonista Robert Pattinson risultato positivo. Resta quindi l'incognita sopravvivenza fino al prossimo anno, quando arriveranno i film inizialmente previsti per il 2020. Ma aspettare così a lungo potrebbe rivelarsi fatale per il settore.
«Con il Covid perduti due spettatori su tre»
«Alla fine della chiusura, dopo il 24 novembre, bisognerà fare uscire sugli schermi tutti i film già pronti senza deroghe o soluzioni diverse che possano penalizzare le sale. L'ultima scelta della Pixar di spostare un prodotto nato per la sala come Soul, portandolo direttamente in piattaforma streaming, con uscita il giorno di Natale, ci ha inflitto l'ennesimo duro colpo. È stato un gesto simbolicamente preoccupante. Il blockbuster anglosassone è da sempre un prodotto estremamente commerciale su cui si poggia una buona fetta del nostro mercato nazionale. Il cinema non può ripartire aspettando i film provenienti dall'estero, bisogna fare affidamento unicamente sulle numerose produzioni nazionali, sostenute con denaro pubblico». Mario Lorini, presidente dell'Anec, l'associazione degli esercenti cinematografici, guarda con preoccupazione alla ripresa dopo la chiusura imposta dal dpcm.
Quanto avete perso da gennaio?
«Abbiamo subito un crollo degli incassi e delle presenze del 68% considerando però che gennaio è stato un mese molto buono. Dal 15 giugno al 15 ottobre stavamo perdendo l'82% con un pubblico che stentava a tornare al cinema per una sensazione di diffidenza verso i luoghi chiusi percepiti come più pericolosi, nonostante i protocolli di sicurezza applicati in modo scrupoloso e nessun caso di contagio. Abbiamo riaperto tra mille difficoltà con presenze scarse anche per le norme sul distanziamento».
Quindi stavate ripartendo…
«Ma ad aggravare la situazione sono arrivate le scelte delle major americane impegnate ad arginare le massicce perdite dovute al Covid. Gli studios hanno rinviato quasi tutti i titoli al 2021. Un duro colpo inferto agli esercenti su scala mondiale che indebolisce il mercato e mette a dura prova le strutture».
Sarà un Natale senza Disney, che per Soul ha scelto lo streaming e senza i film di azione americani?
«È indiscutibile che il cinema americano sia importante per il mercato mondiale ma ora dobbiamo concentrarci sul prodotto nazionale come stanno facendo anche altri Paesi. I titoli sono importanti. Lo dimostrano le uscite di Tenet e After 2 che hanno riportato il target più giovane in sala dopo il lockdown. Due film che hanno guadagnato insieme quasi 10 milioni di euro. Sono arrivati poi in programmazione titoli di qualità italiani ed europei, ma ci si ferma a un terzo delle potenzialità d'incasso».
È importante anche la qualità delle sale. Qual è la situazione?
«La digitalizzazione degli schermi è oramai al 100%. In Europa il parco sale italiano è all'avanguardia. Gli esercenti hanno effettuato ingenti investimenti per ammodernare i locali e digitalizzare gli schermi. Dai multiplex alle sale di città e di provincia si sono tutti adeguati, così da rispondere al meglio alle esigenze del pubblico. Inoltre, da qualche anno è partita la multiprogrammazione che consente di dare maggiore spazio al cinema di nicchia e agli eventi».
Che cosa si deve aspettare il pubblico per le feste natalizie?
«Ancora non ci sono notizie certe su quali saranno congelati e rinviati in sala e quali invece per problemi di budget saranno spostati in piattaforma. La contingenza emergenziale non dà date certe. Si saprà qualcosa di più nei prossimi giorni. Certo è che la chiusura imposta dal 26 ottobre fa crollare tutto il lavoro svolto dalle singole imprese. Occorre pertanto lavorare fin da subito per predisporre il piano della ripartenza, che vede nell'immediata riapertura il periodo di maggior appeal di tutto l'anno, le festività natalizie. Compromettere anche questo momento dell'anno significa condannare a morte definitivamente l'intero comparto. Le misure attuate con il decreto Ristori sono un primo importante passo ma non sono sufficienti a colmare le criticità generate con la chiusura».
In attesa di un piano per la ripartenza, non temete che le piattaforme streaming vi rubino altre fette di mercato?
«In questo mese non staremo fermi. Bisogna lavorare per il riposizionamento delle uscite delle pellicole. E se in questo momento con le sale chiuse ci dovesse essere il passaggio di qualche film sulle piattaforme, non è detto che il cinema sarà penalizzato. Un'uscita in sala di una pellicola che prima è passata in streaming non è detto che non funzioni e non faccia un buon botteghino. Dobbiamo imparare a convivere con le nuove forme di comunicazione. Anche perché le major investono su più asset. Non è il momento di parlare di un settore che usurpa l'altro. Il cinema è vitale e la conferma è la protesta che si è scatenata dopo la decisione della chiusura».
Chi deciderà la riprogrammazione delle uscite?
«Il problema di mettere mano alla programmazione non può riguardare solo gli esercenti. Sono scelte che partono soprattutto dalle produzioni e dalle distribuzioni. In realtà, si tratta di aprire un dialogo e di istituire tavoli di concertazione tra ministero, produttori, distributori e noi esercenti. Così da tutelare e difendere il mercato».
Le reti streaming puntano al Natale per i nuovi abbonati
Il lockdown fa bene alle piattaforme streaming di film e serie. Dopo il successo del periodo marzo-giugno di blocco totale, coinciso con una impennata degli abbonamenti, ora con la nuova chiusura dei cinema i giganti dello streaming contano di fare il bis. La concorrenza si fa agguerrita e il primato di Netflix è insidiato da Apple, Disney, Amazon e Comcast. Che il Covid giovi a questa industria è dimostrato dai numeri. Nella prima metà dell'anno Netflix aveva totalizzato quasi 26 milioni di nuovi clienti, un record mai raggiunto. Nel terzo trimestre invece questo andamento baldanzoso è rallentato con una crescita di 2,2 milioni di abbonati, la peggiore dal 2015, dopo che nei due trimestri precedenti aveva superato il tetto dei 10 milioni a volta. La stretta del Covid si era allentata, l'estate aveva portato le persone fuori casa e i festival anche se in forma ridotta, erano tornati a catalizzare l'attenzione del pubblico.
Ma questo trend è tutt'altro che un'inversione di tendenza. Il settore marcia a pieno ritmo. Secondo un'indagine di Ey - che prende a esame Netflix, Timvision, Infinity (Mediaset), Now Tv (Sky), Amazon prime video, Eurosport player, Dazn e Disney+ (arrivata in Italia a fine marzo) - a luglio 2020 in Italia si contavano 10 milioni di abbonamenti alle piattaforme video on demand a pagamento. Tutto questo a fronte di 15,8 milioni di utenti (un abbonamento può essere fruito da più persone) e 6,8 milioni di sottoscrittori. Rispetto a giugno 2017 si tratta di 11,5 milioni di utenti in più; 8,1 milioni di abbonamenti in più; 5,1 milioni di abbonati in più. E l'incremento è evidente anche nel breve: fra gennaio e luglio, anche grazie al lockdown evidentemente, +2 milioni di utenti; +1,5 milioni di abbonamenti e +700.000 sottoscrittori.
La serrata dei cinema imposta dall'ultimo dpcm lascia di nuovo campo libero alle piattaforme streaming che ora puntano al bersaglio grosso, le festività natalizie, periodo d'oro per il cinema. Ammesso che il 24 novembre, come dice il decreto del premier Conte, i cinema possano riaprire, rimarranno le misure di sicurezza, a cominciare dalle presenze contingentate. Ma siccome domina l'incertezza alcuni grandi produttori cinematografici stanno pensando di dirottare sullo streaming le uscite previste per Natale. I bambini dovranno fare a meno del consueto appuntamento con Disney e anche il film di 007 tradirà le sale.
Intanto Netflix sta completando le riprese di oltre 150 produzioni entro la fine dell'anno e intende rilasciare una programmazione più originale in ogni trimestre del 2021 rispetto al 2020. Altri colossi rappresentano una minaccia per il cinema in sala. Il gruppo Disney conta di raggiungere per il servizio streaming Disney+, da 60 milioni a 90 milioni di abbonati a livello globale entro il 2024. Attualmente ha già superato i 60,5 milioni di iscritti. Proprio per Natale la Disney farà uscire il film Soul direttamente sulla piattaforma gratis per gli abbonati, bypassando le sale cinematografiche. L'uscita della pellicola era prevista per giugno negli Usa e per settembre in Italia. La pandemia ha sconvolto i piani della casa di Topolino che aveva già imboccato questa direzione con l'ultimo action movie Mulan, uscito a settembre contemporaneamente nelle sale e, con un sovrapprezzo, su Disney+.
In Italia, dei 10 film che hanno incassato di più nell'ultima stagione, sei erano produzioni Disney. La casa americana ha fatto da sola incassi per 170 milioni di euro, più di un quarto del totale del botteghino italiano. La tempistica dell'uscita di Soul, proprio a Natale in un momento di difficoltà del cinema, ha il carattere di una beffa per le sale. E se uno dei maggiori studios del mondo dimostra di poter fare a meno del cinema, c'è il rischio che altri lo seguano a ruota.
Oltre allo streaming video si sta facendo largo un altro modello, anche questo facilitato dalla pandemia: l'«advertising video on demand», i video gratuiti ma con pubblicità. È una formula che viene incontro alle limitate possibilità di spesa degli utenti in periodo Covid e per il momento in espansione negli Stati Uniti. Secondo Nielsen, nonostante Netflix, Amazon e YouTube continuino a fare la parte del leone, i video supportati da pubblicità rappresentano quasi un quarto della distribuzione totale in streaming. Fra i più popolari, oltre a Youtube, negli Usa spiccano Pluto Tv (Viacom Cbs), Xumo (Comcast), Tubi (Fox), Roku channel, Sony crackle, Vudu (Fandango Media). Tutte altrettante minacce per il ritorno nelle sale degli amanti del cinema.
Continua a leggereRiduci
La chiusura dei cinema ha un solo beneficiario: i canali online come Netflix e Amazon video. Che dopo aver accumulato profitti con il commercio elettronico ora lanciano l'assalto. L'associazione esercenti: «Avevamo riaperto in piena sicurezza e invece il governo ritorna a colpirci» .Un'impennata di sottoscrizioni nei primi sei mesi dell'anno e con la seconda chiusura le grandi catene faranno il bis.Lo speciale contiene tre articoli.Oltre al danno, la beffa. La nuova chiusura di tutti i cinema fino al 24 novembre mentre mette in ginocchio un settore già disastrato dal precedente lockdown e fa un gran regalo ai colossi delle piattaforme streaming. Il Covid sta creando una situazione inimmaginabile fino a qualche tempo fa. I big delle pellicole on demand sono scesi in campo pesantemente contendendosi le grandi produzioni, quei titoli che sono sicuramente campioni di incassi, e quindi sottraendoli alle sale. È quanto sta accadendo al nuovo film di James Bond, No time to die, che sarebbe dovuto uscire nelle sale in aprile, poi è stato rinviato a novembre e quindi è slittato ad aprile 2021. Sarebbe stato l'evento più atteso nei cinema nel 2020, potrebbe diventare la pellicola dell'anno nel 2021 per lo streaming. La pandemia ha un'evoluzione imprevedibile e ha fatto saltare tutte le programmazioni. Così, nel deserto dell'offerta, proprio a causa delle misure restrittive e dell'assenza di produzioni americane, piazzare un titolo di grande richiamo avrebbe un effetto maggiore che in tempi normali. Secondo i rumors raccolti da Bloomberg, i due big dello streaming, Apple e Netflix, sarebbero in trattativa per acquistare il nuovo episodio di 007 e distribuirlo direttamente sulle loro piattaforme bypassando le sale. La casa di produzione Mgm, che per realizzare la pellicola dell'agente segreto più famoso al mondo ha speso 250 milioni di dollari, si sta dissanguando nell'attesa. I vari rinvii causa Covid sarebbero costati circa 50 milioni di dollari. La Metro Goldwyn Mayer ha smentito le indiscrezioni della vendita, confermando che l'uscita è stata posticipata all'aprile 2021 per «preservare l'esperienza teatrale per gli spettatori». Ma sempre gli addetti ai lavori hanno detto che in realtà sarebbe stata chiesta una cifra spropositata, circa 600 milioni di dollari, oltre le possibilità anche di un colosso come Netflix. Bloomberg rivela che anche altri studi di produzione, come Paramount e Sony, stanno perdendo decine di milioni di dollari a causa dei rinvii dei loro film, e che hanno provato a recuperare queste perdite vendendo titoli come Greyhound, Coming 2 America e Without remorse ai servizi di streaming.Ma quello di 007 non sarebbe l'unico sgambetto alle sale cinematografiche. Il colpo più doloroso è venuto dalla Disney che ha deciso di distribuire l'attesa pellicola Soul scavalcando le sale e mandandola direttamente sul canale Disney+ il giorno di Natale. Massimo della beffa, il film ha aperto la Festa del cinema di Roma in quello che è sembrato a tanti un grande spot allo streaming. La casa di Topolino aveva già imboccato questa direzione con l'ultimo action movie Mulan, che a settembre è andato contemporaneamente nelle sale e, con un sovrapprezzo, sulla rete in streaming Disney+. E qualche giorno fa Dan Loeb, uno dei più importanti azionisti di Disney con una quota di 1 miliardo di dollari nella società, ha chiesto pubblicamente l'uscita di Black widow con Scarlett Johansson sulla piattaforma di streaming Disney+. I film Disney valgono oro per il mercato italiano. Delle 10 pellicole che hanno incassato di più nell'ultima stagione, sei erano produzioni di questo colosso.La fuga di tutti i principali blockbuster è il colpo di grazia per un settore tramortito dalla scorsa serrata che conta 3.900 sale e decine di migliaia di lavoratori. Gli ultimi dati di Audimovie sulle presenze dicono che da gennaio a settembre gli spettatori nei cinema italiani sono stati 30,3 milioni, meno della metà dei 69,5 milioni dei primi nove mesi dello scorso anno.Secondo l'Anec (Associazione nazionale esercenti cinema), da marzo 2020 a oggi è stato perso l'82% del box office e delle presenze. Con l'attuale chiusura nelle prossime 4 settimane andranno in fumo altri 90 milioni di fatturato diretto e indotto. Fino al 26 ottobre scorso aveva riaperto soltanto l'80% delle sale a fronte di un fatturato che si è fermato al 38% rispetto all'anno precedente.Un dato ancora più preoccupante è questo: a 100 giorni dalla riapertura delle sale (avvenuta il 15 giugno), nella settimana dal 14 al 20 settembre le presenze sono state mediamente 138 al giorno a fronte di 553 della settimana omologa del 2019. Un livello che corrisponde al 25% del 2019 (secondo un'elaborazione su dati Cinetel di Cineguru). La crisi di pubblico è sotto gli occhi di tutti e rischia di non essere recuperabile alla fine della chiusura. Le grandi case di distribuzione hanno finora tenuto nel cassetto i nuovi titoli, forse in attesa di un miglioramento del mercato che però non si vede all'orizzonte. L'unica eccezione è stata Tenet di Christopher Nolan. E il Natale si avvicina, senza che il pubblico sappia con certezza se potrà tornare al cinema e quali pellicole lo attendono. Le piattaforme in streaming, se da un lato non sono paragonabili all'esperienza in sala, dall'altro allo spettatore medio offrono, soprattutto in questo momento, un'alternativa sicura, valida per qualità e anche più economica rispetto allo spostamento verso i cinema.Le difficoltà delle sale si sommano a quelle delle produzioni, tra rinvii, protocolli da rispettare ma anche blocchi per casi di infezione. Le riprese di Mission impossible 7 hanno una vita travagliata. La scorsa primavera il protagonista Tom Cruise è rimasto bloccato a Venezia. Poi, dopo il lockdown, sono ricominciate le riprese ma alcuni giorni fa il set è stato smontato all'improvviso perché nella troupe sono stati individuati 12 casi di positività. In aggiunta, le riprese hanno creato assembramenti di curiosi e fan.Le major reagiscono all'incertezza del momento rimandando i film di punta. Wonder woman 1984 era stato spostato a Natale, ma a questo punto sarà molto difficile che la programmazione venga rispettata. Dune da dicembre prossimo slitta al 1° ottobre 2021 e Matrix 4, ennesima puntata della saga fantascientifica, arriverà a dicembre del prossimo anno. Altri titoli come Jurassic world: dominion, Avatar 2, The Flash, The Batman hanno avuto sorte peggiore e sono slittati al 2022. Le riprese delle avventure dell'uomo pipistrello sono state colpite da vicino dal Covid con il protagonista Robert Pattinson risultato positivo. Resta quindi l'incognita sopravvivenza fino al prossimo anno, quando arriveranno i film inizialmente previsti per il 2020. Ma aspettare così a lungo potrebbe rivelarsi fatale per il settore. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/lultimo-regalo-ai-giganti-del-web-le-reti-in-streaming-puntano-al-natale-per-i-nuovi-abbonati-2648578380.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="con-il-covid-perduti-due-spettatori-su-tre" data-post-id="2648578380" data-published-at="1604262073" data-use-pagination="False"> «Con il Covid perduti due spettatori su tre» «Alla fine della chiusura, dopo il 24 novembre, bisognerà fare uscire sugli schermi tutti i film già pronti senza deroghe o soluzioni diverse che possano penalizzare le sale. L'ultima scelta della Pixar di spostare un prodotto nato per la sala come Soul, portandolo direttamente in piattaforma streaming, con uscita il giorno di Natale, ci ha inflitto l'ennesimo duro colpo. È stato un gesto simbolicamente preoccupante. Il blockbuster anglosassone è da sempre un prodotto estremamente commerciale su cui si poggia una buona fetta del nostro mercato nazionale. Il cinema non può ripartire aspettando i film provenienti dall'estero, bisogna fare affidamento unicamente sulle numerose produzioni nazionali, sostenute con denaro pubblico». Mario Lorini, presidente dell'Anec, l'associazione degli esercenti cinematografici, guarda con preoccupazione alla ripresa dopo la chiusura imposta dal dpcm. Quanto avete perso da gennaio? «Abbiamo subito un crollo degli incassi e delle presenze del 68% considerando però che gennaio è stato un mese molto buono. Dal 15 giugno al 15 ottobre stavamo perdendo l'82% con un pubblico che stentava a tornare al cinema per una sensazione di diffidenza verso i luoghi chiusi percepiti come più pericolosi, nonostante i protocolli di sicurezza applicati in modo scrupoloso e nessun caso di contagio. Abbiamo riaperto tra mille difficoltà con presenze scarse anche per le norme sul distanziamento». Quindi stavate ripartendo… «Ma ad aggravare la situazione sono arrivate le scelte delle major americane impegnate ad arginare le massicce perdite dovute al Covid. Gli studios hanno rinviato quasi tutti i titoli al 2021. Un duro colpo inferto agli esercenti su scala mondiale che indebolisce il mercato e mette a dura prova le strutture». Sarà un Natale senza Disney, che per Soul ha scelto lo streaming e senza i film di azione americani? «È indiscutibile che il cinema americano sia importante per il mercato mondiale ma ora dobbiamo concentrarci sul prodotto nazionale come stanno facendo anche altri Paesi. I titoli sono importanti. Lo dimostrano le uscite di Tenet e After 2 che hanno riportato il target più giovane in sala dopo il lockdown. Due film che hanno guadagnato insieme quasi 10 milioni di euro. Sono arrivati poi in programmazione titoli di qualità italiani ed europei, ma ci si ferma a un terzo delle potenzialità d'incasso». È importante anche la qualità delle sale. Qual è la situazione? «La digitalizzazione degli schermi è oramai al 100%. In Europa il parco sale italiano è all'avanguardia. Gli esercenti hanno effettuato ingenti investimenti per ammodernare i locali e digitalizzare gli schermi. Dai multiplex alle sale di città e di provincia si sono tutti adeguati, così da rispondere al meglio alle esigenze del pubblico. Inoltre, da qualche anno è partita la multiprogrammazione che consente di dare maggiore spazio al cinema di nicchia e agli eventi». Che cosa si deve aspettare il pubblico per le feste natalizie? «Ancora non ci sono notizie certe su quali saranno congelati e rinviati in sala e quali invece per problemi di budget saranno spostati in piattaforma. La contingenza emergenziale non dà date certe. Si saprà qualcosa di più nei prossimi giorni. Certo è che la chiusura imposta dal 26 ottobre fa crollare tutto il lavoro svolto dalle singole imprese. Occorre pertanto lavorare fin da subito per predisporre il piano della ripartenza, che vede nell'immediata riapertura il periodo di maggior appeal di tutto l'anno, le festività natalizie. Compromettere anche questo momento dell'anno significa condannare a morte definitivamente l'intero comparto. Le misure attuate con il decreto Ristori sono un primo importante passo ma non sono sufficienti a colmare le criticità generate con la chiusura». In attesa di un piano per la ripartenza, non temete che le piattaforme streaming vi rubino altre fette di mercato? «In questo mese non staremo fermi. Bisogna lavorare per il riposizionamento delle uscite delle pellicole. E se in questo momento con le sale chiuse ci dovesse essere il passaggio di qualche film sulle piattaforme, non è detto che il cinema sarà penalizzato. Un'uscita in sala di una pellicola che prima è passata in streaming non è detto che non funzioni e non faccia un buon botteghino. Dobbiamo imparare a convivere con le nuove forme di comunicazione. Anche perché le major investono su più asset. Non è il momento di parlare di un settore che usurpa l'altro. Il cinema è vitale e la conferma è la protesta che si è scatenata dopo la decisione della chiusura». Chi deciderà la riprogrammazione delle uscite? «Il problema di mettere mano alla programmazione non può riguardare solo gli esercenti. Sono scelte che partono soprattutto dalle produzioni e dalle distribuzioni. In realtà, si tratta di aprire un dialogo e di istituire tavoli di concertazione tra ministero, produttori, distributori e noi esercenti. Così da tutelare e difendere il mercato». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/lultimo-regalo-ai-giganti-del-web-le-reti-in-streaming-puntano-al-natale-per-i-nuovi-abbonati-2648578380.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="le-reti-streaming-puntano-al-natale-per-i-nuovi-abbonati" data-post-id="2648578380" data-published-at="1604262073" data-use-pagination="False"> Le reti streaming puntano al Natale per i nuovi abbonati Il lockdown fa bene alle piattaforme streaming di film e serie. Dopo il successo del periodo marzo-giugno di blocco totale, coinciso con una impennata degli abbonamenti, ora con la nuova chiusura dei cinema i giganti dello streaming contano di fare il bis. La concorrenza si fa agguerrita e il primato di Netflix è insidiato da Apple, Disney, Amazon e Comcast. Che il Covid giovi a questa industria è dimostrato dai numeri. Nella prima metà dell'anno Netflix aveva totalizzato quasi 26 milioni di nuovi clienti, un record mai raggiunto. Nel terzo trimestre invece questo andamento baldanzoso è rallentato con una crescita di 2,2 milioni di abbonati, la peggiore dal 2015, dopo che nei due trimestri precedenti aveva superato il tetto dei 10 milioni a volta. La stretta del Covid si era allentata, l'estate aveva portato le persone fuori casa e i festival anche se in forma ridotta, erano tornati a catalizzare l'attenzione del pubblico. Ma questo trend è tutt'altro che un'inversione di tendenza. Il settore marcia a pieno ritmo. Secondo un'indagine di Ey - che prende a esame Netflix, Timvision, Infinity (Mediaset), Now Tv (Sky), Amazon prime video, Eurosport player, Dazn e Disney+ (arrivata in Italia a fine marzo) - a luglio 2020 in Italia si contavano 10 milioni di abbonamenti alle piattaforme video on demand a pagamento. Tutto questo a fronte di 15,8 milioni di utenti (un abbonamento può essere fruito da più persone) e 6,8 milioni di sottoscrittori. Rispetto a giugno 2017 si tratta di 11,5 milioni di utenti in più; 8,1 milioni di abbonamenti in più; 5,1 milioni di abbonati in più. E l'incremento è evidente anche nel breve: fra gennaio e luglio, anche grazie al lockdown evidentemente, +2 milioni di utenti; +1,5 milioni di abbonamenti e +700.000 sottoscrittori. La serrata dei cinema imposta dall'ultimo dpcm lascia di nuovo campo libero alle piattaforme streaming che ora puntano al bersaglio grosso, le festività natalizie, periodo d'oro per il cinema. Ammesso che il 24 novembre, come dice il decreto del premier Conte, i cinema possano riaprire, rimarranno le misure di sicurezza, a cominciare dalle presenze contingentate. Ma siccome domina l'incertezza alcuni grandi produttori cinematografici stanno pensando di dirottare sullo streaming le uscite previste per Natale. I bambini dovranno fare a meno del consueto appuntamento con Disney e anche il film di 007 tradirà le sale. Intanto Netflix sta completando le riprese di oltre 150 produzioni entro la fine dell'anno e intende rilasciare una programmazione più originale in ogni trimestre del 2021 rispetto al 2020. Altri colossi rappresentano una minaccia per il cinema in sala. Il gruppo Disney conta di raggiungere per il servizio streaming Disney+, da 60 milioni a 90 milioni di abbonati a livello globale entro il 2024. Attualmente ha già superato i 60,5 milioni di iscritti. Proprio per Natale la Disney farà uscire il film Soul direttamente sulla piattaforma gratis per gli abbonati, bypassando le sale cinematografiche. L'uscita della pellicola era prevista per giugno negli Usa e per settembre in Italia. La pandemia ha sconvolto i piani della casa di Topolino che aveva già imboccato questa direzione con l'ultimo action movie Mulan, uscito a settembre contemporaneamente nelle sale e, con un sovrapprezzo, su Disney+. In Italia, dei 10 film che hanno incassato di più nell'ultima stagione, sei erano produzioni Disney. La casa americana ha fatto da sola incassi per 170 milioni di euro, più di un quarto del totale del botteghino italiano. La tempistica dell'uscita di Soul, proprio a Natale in un momento di difficoltà del cinema, ha il carattere di una beffa per le sale. E se uno dei maggiori studios del mondo dimostra di poter fare a meno del cinema, c'è il rischio che altri lo seguano a ruota. Oltre allo streaming video si sta facendo largo un altro modello, anche questo facilitato dalla pandemia: l'«advertising video on demand», i video gratuiti ma con pubblicità. È una formula che viene incontro alle limitate possibilità di spesa degli utenti in periodo Covid e per il momento in espansione negli Stati Uniti. Secondo Nielsen, nonostante Netflix, Amazon e YouTube continuino a fare la parte del leone, i video supportati da pubblicità rappresentano quasi un quarto della distribuzione totale in streaming. Fra i più popolari, oltre a Youtube, negli Usa spiccano Pluto Tv (Viacom Cbs), Xumo (Comcast), Tubi (Fox), Roku channel, Sony crackle, Vudu (Fandango Media). Tutte altrettante minacce per il ritorno nelle sale degli amanti del cinema.
D’altronde, quando la Casa Bianca aveva minacciato la prima volta un intervento militare, era stato addirittura il consigliere della Segreteria di Stato vaticana, padre Giulio Albanese, a descrivere alla Stampa l’«equilibrio quasi perfetto tra cristiani e musulmani» in Nigeria, turbato dal tycoon allo scopo di «consolidare consenso in casa». E allora, come funziona davvero tale fulgido esempio di coesistenza tra confessioni diverse?
Un dato dice tutto: i cristiani rischiano 6 volte e mezzo di più dei musulmani di finire uccisi e cinque volte di più di essere rapiti. Lo si evince dai report dell’Osservatorio per la libertà religiosa in Africa (Orfa). Quelli della Fondazione Porte aperte sono altrettanto sconvolgenti: nel 2025, l’82% degli omicidi e dei rapimenti di fedeli di Gesù nel mondo è risultato concentrato in Nigeria. Nei primi sette mesi dell’anno, hanno perso la vita oltre 7.000 cristiani. È una tendenza ormai consolidata. Tra ottobre 2019 e settembre 2023 - sempre stando alle ricerche Orfa, illustrate anche dal portale Aciafrica - la violenza religiosa, nella nazione affacciata sul Golfo di Guinea, ha provocato la morte di 55.910 persone in 9.970 attentati. I cristiani ammazzati sono stati 16.769, i musulmani 6.235. Di 7.722 vittime civili non si conosceva la religione. Nello stesso periodo, i rapiti cristiani sono stati 21.621. La World watch list, per il 2024, ha contato 3.100 vittime cristiane, oltre a 2.380 sequestrati. La relazione di Aics-Aiuto alla Chiesa che soffre sottolineava che, lo scorso anno, la Nigeria era all’ottavo posto nella ignominiosa classifica del Global terrorism index. «Sebbene anche i musulmani siano vittime delle violenze», precisava il documento, «i cristiani rappresentano il bersaglio di gran lunga prevalente».
Ciò non significa che gli islamici se la spassino, oppure che i jihadisti non approfittino della povertà per attirare miliziani e conseguire obiettivi politici ed economici, tipo il controllo delle risorse naturali. Le sofferenze dei musulmani sono atroci. Per dire: la sera del 21 dicembre, 28 persone, tra cui donne e bambini, sono state catturate nello Stato di Plateau, nel centro del Paese, mentre si recavano a un raduno per la festività maomettana del Mawlid, in cui si onora la nascita del «profeta». Pochi giorni prima, le autorità avevano ottenuto il rilascio di 130 tra studenti e insegnanti di alcune scuole cattoliche.
Un mese fa, intervistato da Agensir, padre Tobias Chikezie Ihejirika, prete somasco nigeriano, di stanza nel Foggiano, era stato chiaro: «I responsabili di questi attacchi sono quasi sempre musulmani». E la classe dirigente, esattamente come lamentato da Trump, non ha profuso grandi sforzi per prevenire i massacri: alcuni criminali, riferiva padre Tobias, sono persino «figure protette all’interno del governo. […] Sarebbe di grande aiuto se le organizzazioni internazionali tracciassero il flusso di denaro destinato alla risoluzione dei conflitti e identificassero coloro che ci speculano su. Questi fondi dovrebbero essere impiegati per risolvere i problemi, non per alimentare la violenza». Solito quadretto dell’ipocrisia occidentale: noi ci laviamo la coscienza spedendo aiuti, il denaro finisce in mani sbagliate e gli innocenti continuano a morire. Bombardare è inutile? Ma anche le strade battute finora si sono rivelate vicoli ciechi.
Stando alle indagini più recenti del Pew research center (2020), il 56,1% della popolazione, specie nel Nord della Nigeria, è islamica, con una nettissima prevalenza di sunniti. I cristiani sono il 43,4%, in maggioranza protestanti (74% del totale dei fedeli, contro il 25% di cattolici e l’1% di altre Chiese, compresa la ortodossa).
L’elenco di omicidi e rapimenti è agghiacciante. E in occasione delle festività, la ferocia aumenta. A Pasqua 2025, in vari attentati, erano stati assassinati 170 cristiani. A giugno, 100 o addirittura 200 sfollati erano stati presi di mira da bande armate; molti di loro erano cristiani. Il Natale più sanguinoso, forse, è stato quello di due anni fa: 200 morti e 500 feriti in una scia di attacchi jihadisti. E poi ci sono i sequestri dei sacerdoti. Gli ultimi, tra novembre e dicembre 2025: padre Emmanuel Ezema, della diocesi di Zaria, nella parte nordoccidentale del Paese; e padre Bobbo Paschal, parroco della chiesa di Santo Stefano, nello Stato di Kaduna, Centro-Nord della Nigeria. Proprio il primo martire della Chiesa è stato invocato ieri dal Papa, affinché «sostenga le comunità che maggiormente soffrono per la loro testimonianza cristiana». Trump? Bene: chi ha idee migliori, che non siano restare a guardare?
Continua a leggereRiduci
Il ministro degli Esteri della Nigeria Yusuf Maitama Tuggar (Getty Images)
Gli attacchi dell’aviazione statunitense sono stati concordati anche con il governo di Abuja, che ha subito confermato i bombardamenti contro i terroristi. Il presidente della Nigeria, Bola Tinubu, aveva cercato di minimizzare il problema, dopo le accuse di Donald Trump, ma la situazione sul campo resta critica per la minoranza cristiana che ancora non ha abbandonato gli Stati del nord come ha già fatto la maggioranza. Yusuf Maitama Tuggar è un diplomatico di lunga esperienza e da circa un anno e mezzo guida il ministero degli Esteri della Nigeria, dopo essere stato ambasciatore in Germania.
Ministro Tuggar, il governo nigeriano ha dichiarato di essere al corrente dell’attacco degli Stati Uniti.
«Il presidente Tinubu e tutto il suo gabinetto ministeriale, così come i vertici delle forze armate, erano stati preventivamente informati delle operazioni militari statunitense. Si tratta di attacchi chirurgici che hanno ucciso un numero ancora imprecisato di pericolosi terroristi. La Nigeria vuole collaborare con gli Stati Uniti, che è un grande alleato e che come noi vuole distruggere il terrorismo islamico. Gli Stati di Sokoto e Kebbi, al confine con Niger e Benin, vivono una situazione complicata per le continue infiltrazioni di gruppi islamisti provenienti dalle nazioni vicine. Non escludiamo che in futuro potremmo operare ancora insieme su obiettivi militari molto precisi e sempre nell’ambito della lotta al terrorismo internazionale. Una cooperazione che comprende scambio di intelligence, coordinamento strategico e altre forme di supporto, tutto sempre nel rispetto del diritto internazionale e della sovranità nazionale».
Gli Stati Uniti accusano lo Stato islamico di voler sterminare i cristiani nigeriani e il vostro governo di non fare abbastanza per difenderli.
«Utilizzare il termine Stato islamico è una semplificazione, perché si tratta di una galassia molto complessa. Nella nostra nazione non c’è una presenza significativa dell’Isis in quell’area. Nel nord-ovest, abbiamo bande criminali, chiamate localmente banditi, e di recente è arrivato un gruppo chiamato Lakurawa. Si tratta di miliziani che hanno iniziato a riversarsi in Nigeria dal Sahel, ma negli ultimi 18 mesi-due anni si sono stabiliti negli Stati di Sokoto e Kebbi. I capi delle tribù locali hanno fatto un errore permettendo a questo gruppo di insediarsi nelle loro province per utilizzarli per difendersi dalla criminalità comune, ma la situazione è degenerata e adesso sono un pericolo per tutti. I Lakurawa sono un gruppo terroristico, ma smentiamo che siano ufficialmente parte della Provincia dello Stato Islamico del Sahel (Issp), l’ex Provincia dello Stato islamico del Grande Sahara (Isgs). Questo gruppo agisce soprattutto nelle zone occidentali vicino al lago Ciad e le nostre forze armate lo stanno costringendo a lasciare il nostro territorio. Voglio smentire ufficialmente che il governo nigeriano faccia poco per difendere i cristiani. Tutti i cittadini hanno uguali diritti e sono sotto la protezione dello Stato. Questi terroristi uccidono anche musulmani ed animisti, perché sono dei criminali».
Tutta l’Africa centrale e occidentale rischia di essere travolta dal terrorismo islamico e molte nazioni appaiono impotenti.
«La Nigeria ha istituito una serie di corpi speciali per la lotta all’estremismo islamico che agisce sul territorio. La settimana scorsa abbiamo liberato 30 studentesse rapite da una scuola, arrestando gli uomini che le avevano prese. Il governo federale e quello locale stanno anche portando avanti una serie di azioni di reintegro per tutti quelli che abbandonano i gruppi armati. Nel Sahel ci sono province in mano ai terroristi che vogliono occupare anche il nord della Nigeria. Per questo motivo collaboriamo con diversi stati confinanti in operazioni militari congiunte e siamo felici che gli Stati Uniti ci vogliono aiutare, ma sempre nel rispetto delle decisioni del governo di Abuja».
Continua a leggereRiduci
Laurent Vinatier (Ansa)
Vinatier, 49 anni, a giugno 2024 era stato arrestato dalle forze di sicurezza russe con l’accusa di spionaggio: non si era registrato come «agente straniero» mentre raccoglieva informazioni sulle «attività militari e tecnico-militari» della Russia, che avrebbero potuto essere utilizzate a scapito della sicurezza nazionale. All’epoca il francese, la cui moglie è di origine russa, era consulente dell’Ong svizzera Centro per il dialogo umanitario e aveva stabilito nell’ambito del suo lavoro contatti con politologi, economisti, funzionari ed esperti militari.
A ottobre 2024 era arrivata la condanna «amministrativa» a Vinatier, tre anni di reclusione per la mancata registrazione nell’elenco degli agenti stranieri. La difesa aveva chiesto una multa per l’errore che l’imputato ha riconosciuto di aver commesso «per ignoranza», mentre l’accusa chiedeva 3 anni e 3 mesi. Lo scorso 24 febbraio, questa condanna estremamente severa è stata confermata in appello sulla base della legislazione contro i presunti agenti stranieri.
Nell’agosto 2025, un fascicolo sul sito web del tribunale del distretto di Lefortovo a Mosca ha rivelato che un cittadino francese è accusato di spionaggio. Rischia fino a vent’anni di carcere ai sensi dell’articolo 276 del codice penale russo. «Il caso Vinatier ha ottenuto visibilità solo dopo che il giornalista di TF1 Jérôme Garraud, durante la conferenza stampa annuale del presidente russo Vladimir Putin il 19 dicembre, ha chiesto al capo dello Stato: “Sappiamo che in questo momento c’è molta tensione tra Russia e Francia, ma il nuovo anno si avvicina. La sua famiglia (di Laurent Vinatier, ndr) può sperare in uno scambio o nella grazia presidenziale?”. Il presidente russo ha risposto di non sapere nulla del caso ma ha promesso di indagare», sostiene TopWar.ru sito web russo di notizie e analisi militari. Putin ha aggiunto che «se esiste una possibilità di risolvere positivamente questa questione, se la legge russa lo consente, faremo ogni sforzo per riuscirci».
Il politologo è attualmente detenuto nella prigione di Lefortovo, penitenziario di massima sicurezza. Prima era «in un altro carcere a Mosca e poi per un mese a Donskoy nella regione di Tula, a Sud della capitale», ha riferito la figlia Camille alla rivista Altraeconomia spiegando che il padre «si occupa di diplomazia “secondaria”, ha studiato la geopolitica post-sovietica e negli ultimi anni si è occupato della guerra tra Russia e Ucraina» e che il secondo processo, dopo quello relativo a questioni amministrative è per accuse di spionaggio. Sarebbe vittima delle tensioni tra Mosca e Parigi a causa della guerra in Ucraina.
«Questo arresto e le accuse sono davvero mosse da una scelta politica e avvengono in un contesto specifico di crescenti tensioni tra Francia e Russia […] la chiave di tutto questo sta nella politica, non nella legge», concludeva la figlia, confermando l’ipotesi di uno scambio di prigionieri come possibile chiave di svolta della vicenda Vinatier.
L’avvocato della famiglia, Frederic Belot, ha affermato che sperano nel rilascio entro il Natale ortodosso del 7 gennaio. Uno scambio di prigionieri è possibile, ma vuole essere «estremamente prudente».
Continua a leggereRiduci
Volodymyr Zelensky (Ansa)
A confermare il bilaterale, dopo l’indiscrezione lanciata da Axios, è stato lo stesso leader di Kiev: «Abbiamo un programma ampio e l’incontro si terrà questo fine settimana, credo domenica», ha detto ai giornalisti, non escludendo la partecipazione, in collegamento da remoto, dei rappresentanti dei Paesi europei. D’altronde, le conversazioni tra Kiev e la Casa Bianca non si sono fermate nemmeno il giorno di Natale: Zelensky ha avuto una lunga telefonata con l’inviato americano, Steve Witkoff, e con il genero di Trump, Jared Kushner, per approfondire «i formati, gli incontri e le tempistiche» per fermare la guerra. A quel colloquio telefonico sono poi seguiti ulteriori «contatti» tra il capo negoziatore ucraino, Rustem Umerov, e «la parte americana».
Al centro del dialogo con il tycoon ci saranno «alcune sfumature» sulle garanzie di sicurezza, ma soprattutto i nodi irrisolti per arrivare alla pace: il controllo del Donbass e dei territori orientali rivendicati dalla Russia e la gestione della centrale nucleare di Zaporizhzhia. Sul tavolo ci sono dunque le questioni più delicate e il significato del meeting, a detta di Zelensky, è «finalizzare il più possibile» visto anche che alcuni temi «possono essere discussi solo a livello di leader». A rivelare ulteriori dettagli è stato il presidente ucraino in un’intervista telefonica rilasciata ad Axios. Per la prima volta si è detto disposto a indire un referendum sul piano americano qualora Mosca accettasse un cessate il fuoco di 60 giorni. Pare però, secondo un funzionario americano, che la Russia sia disposta a concedere una tregua più breve. Riguardo alle garanzie di sicurezza, Zelensky ha affermato che servono discussioni sulle «questioni tecniche». In particolare, Washington ha proposto un patto di 15 anni che può essere rinnovato, ma secondo il presidente ucraino «il bisogno» sarà «per più di 15 anni». In ogni caso, l’incontro tra i due leader, come riferito da Axios, rifletterebbe «i progressi significativi dei colloqui». Vero è che Trump aveva dato la sua disponibilità solo qualora fosse vicino il raggiungimento di un accordo. Un’ulteriore conferma dei «progressi» emerge dalle parole di Zelensky, che ha dichiarato: «Il piano di 20 punti su cui abbiamo lavorato è pronto al 90%. Il nostro compito è assicurarci che tutto sia pronto al 100%. Non è facile, ma dobbiamo avvicinarci al risultato desiderato con ogni incontro, con ogni conversazione». Un membro della delegazione ucraina, Sergiy Kyslytsya, ha rivelato al Financial Times che le posizioni della Casa Bianca e di Kiev sarebbero piuttosto vicine. Ed è dunque arrivato «il momento» che i due presidenti «benedicano, modifichino e calibrino, se necessario» il piano di pace.
In vista dell’incontro in Florida, Zelensky ha già iniziato a consultarsi con i partner. Ieri pomeriggio ha avuto «un’ottima conversazione» con il primo ministro canadese, Mark Carney, per aggiornarlo «sullo stato di avanzamento» del «lavoro diplomatico» ucraino «con gli Stati Uniti». Zelensky ha poi aggiunto: «Nei prossimi giorni si potrà ottenere molto sia a livello bilaterale fra Ucraina e Stati Uniti, sia con i nostri partner della coalizione dei Volenterosi». Anche il segretario generale della Nato, Mark Rutte, è stato consultato dal presidente ucraino per discutere «degli sforzi congiunti per garantire la sicurezza» e «coordinare le posizioni» prima dei colloqui con il tycoon. La maratona telefonica del leader di Kiev ha incluso anche il cancelliere tedesco, Friedrich Merz, e il primo ministro danese, Mette Frederiksen.
Nel frattempo, proseguono i contatti anche tra il Cremlino e la Casa Bianca. A rivelarlo è stato il portavoce russo, Dmitry Peskov: «Dopo che Kirill Dmitriev ha riferito al presidente sui risultati del suo viaggio in America e sui suoi contatti con gli americani, queste informazioni sono state analizzate e, su indicazione del presidente Putin, si sono già verificati contatti tra i rappresentanti delle amministrazioni russa e statunitense». A guidare le conversazioni telefoniche, da parte di Mosca, è stato il consigliere presidenziale russo, Yuri Ushakov. Riguardo alle questioni territoriali, secondo la rivista russa Kommersant, Putin, durante una riunione con gli imprenditori avvenuta la vigilia di Natale, ha dichiarato che potrebbe essere disposto a rinunciare a parte del territorio ucraino controllato dai soldati di Mosca, ma non è disposto a fare marcia indietro sul Donbass. Lo zar, nel meeting, ha affrontato anche la gestione della centrale nucleare di Zaporizhzhia. E, stando a quanto rivelato da Kommersant, Putin ha comunicato che non prevede la partecipazione ucraina, ma solamente una gestione congiunta con gli Stati Uniti con cui sono in corso le trattative. Sul piano di pace, il viceministro degli Esteri russo, Sergei Ryabkov, è tornato a sbilanciarsi. Nel talk show 60 minuti, trasmesso dalla tv russa Rossija-1, ha affermato che il piano di pace rivisto dall’Ucraina è «radicalmente diverso dai 27 punti» su cui ha lavorato Mosca. E pur annunciando che la fine della guerra è «vicina», Ryabkov ha accusato l’Ucraina e l’Europa di aver «raddoppiato gli sforzi» per «affossare» l’accordo di pace.
Continua a leggereRiduci