
Non c’è dubbio che gran parte della stampa italiana, soprattutto quella di tendenza progressista e affine al pensiero prevalente, sia sinceramente europeista. Tuttavia qualche dubbio sulla buona fede dei media che quotidianamente celebrano le bellezze dell’Unione sorge quando si sfoglia il rapporto Brussels’s media machine: Eu media funding and the shaping of public discourse (La macchina mediatica di Bruxelles) firmato da Thomas Fazi, ricercatore indipendente e saggista, e pubblicato dal Mathias Corvinus Collegium. Leggendo la ricerca si apprende ad esempio che «la Commissione europea e il Parlamento europeo erogano collettivamente quasi 80 a progetti media. Questa è considerata una stima prudente, con un totale nell’ultimo decennio che probabilmente supera il miliardo di euro. Questa cifra non include i finanziamenti indiretti come i contratti pubblicitari, come i 132,82 milioni di euro assegnati ad Havas Media Group in vista delle elezioni del 2024».
A partire dal 2017, la sola Commissione ha erogato circa 40 milioni di euro a organi di informazione (in particolare emittenti pubbliche), agenzie di stampa e agenzie di comunicazione in tutta Europa allo scopo di produrre «migliaia di articoli, servizi radiofonici e trasmissioni televisive volti a “sensibilizzare i cittadini sui benefici della politica di coesione” e a “promuovere e favorire una migliore comprensione del ruolo della politica di coesione nel sostenere tutte le regioni dell’Ue”. L’Ue ha speso in media tra 100.000 e 300.000 euro per ciascun progetto».
Che cosa avvenga è piuttosto chiaro: dalle istituzioni europee arrivano fondi piuttosto ingenti che vanno a beneficio dei media che accettano di diffondere la narrazione europeista. Giornali e radio che, nei fatti, si prestano a una operazione propagandistica con il chiaro scopo di pubblicizzare non una organizzazione neutra, ma un governo europeo con obiettivi precisi. Parliamo, per inciso, delle stesse istituzioni che una settimana sì e l’altra pure si sdegnano per le condizioni della libertà di stampa in questa o quella nazione, e nel mentre pagano giornalisti per portare avanti il loro punto di vista. Il bello è che, con la scusa di combattere le bufale altrui, la Ue spinge le bufale sue.
«I programmi di finanziamento sono spesso inquadrati utilizzando parole d’ordine come “combattere la disinformazione” o “promuovere l’integrazione europea”», si legge nel testo di Fazi, «ma il rapporto dimostra che hanno chiari obiettivi strategici per plasmare il dibattito pubblico e promuovere l’agenda dell’Ue. Dal 2017, il programma Misure di informazione per la politica di coesione dell’Ue (Imreg) ha erogato circa 40 milioni di euro a organi di stampa e agenzie di stampa per produrre contenuti che evidenziassero i “benefici” della politica dell’Ue. Il rapporto evidenzia esempi in cui questi finanziamenti non vengono chiaramente divulgati, il che si traduce di fatto in marketing occulto o propaganda occulta».
Il fatto è che non sempre gli articoli pubblicati grazie ai fondi europei vengono presentati come redazionali o pezzi pubblicitari: «Tra gli esempi si annoverano progetti con i quotidiani italiani Il Sole 24 Ore (290.000 euro assegnati, con articoli sull’impatto positivo dei fondi Ue privi di una chiara informativa sul sito web) e La Repubblica (260.000 euro assegnati, con solo un piccolo logo Ue sul banner del progetto)».
È interessante notare che a beneficiare dei fondi non sono piccole realtà indipendenti che magari meriterebbero un sostegno pubblico utile a consolidarsi, a vantaggio del dibattito complessivo. No, a incassare sono per lo più aziende di grosse dimensioni come Sole 24 Ore, Repubblica e soprattutto Ansa.
«L’Ansa è in assoluto quella che ha preso più soldi», dice alla Verità Thomas Fazi. «Secondo i dati dell’Unione europea l’Ansa negli ultimi 10 anni - la finestra di tempo che il sito del Financial Transparency System Ue ci permette di osservare - ha preso quasi 6 milioni di euro dalla Commissione Europea, quindi non proprio bruscolini».
Ovviamente l’Ansa è in ottima compagnia. L’Ue collabora con agenzie come Efe (Spagna) e Lusa (Portogallo), ed è piuttosto ovvio perché lo faccia: in questo modo i contenuti possono essere diffusi a pioggia su tutti gli altri media che si servono delle agenzie. «Il progetto European Newsroom, da 1,7 milioni di euro, che riunisce 24 agenzie di stampa a Bruxelles, è descritto come uno sforzo per standardizzare e allineare i messaggi sulle questioni europee», si legge nel report.
Ovviamente non poteva mancare il finanziamento al presunto fact checking: «Iniziative come l’Osservatorio europeo dei media digitali (Edmo), finanziato con almeno 27 milioni di euro, coinvolgono agenzie di stampa e media in reti per “combattere la disinformazione”. Quando le entità coinvolte nei finanziamenti promozionali partecipano anche alla definizione della disinformazione, rischiano di diventare uno strumento per controllare i confini del discorso accettabile ed etichettare il dissenso come disinformazione».
Controllare, indirizzare. Vale anche per il giornalismo investigativo. L’Ue finanzia inchieste riguardanti per lo più nazioni esterne alla comunità come la Russia, ma è decisamente più parca nel finanziare indagini che tocchino l’Europa.
A questo punto sorge una domanda: l’Ue premia pagando i media che si dimostrano più europeisti oppure sono i media a tifare Ue per prendere soldi? «Secondo me ci sono entrambe le cose», ci dice Fazi. «È un sistema che si autoalimenta: è chiaro che i media che prendono i fondi europei tendenzialmente hanno già una posizione che è filo europeista. Quindi ovviamente c’è una selezione a monte. Ma c’è anche un altro elemento da considerare: sapere che questi fondi ti potrebbero essere preclusi nel momento in cui tu prendessi delle posizioni critiche nei confronti dell’Unione Europea non fa che rafforzare il bias filo europeista dei giornali. È un cane che si morde la coda».
Sborsa la Commissione, sborsa pure il Parlamento europeo. Quest’ultimo, «attraverso la direzione generale della Comunicazione ha stanziato quasi 30 milioni di euro dal 2020 per campagne mediatiche, inclusi contenuti esplicitamente autopromozionali in vista delle elezioni».
Tutte azioni apparentemente neutre, che dovrebbero andare a beneficio di una istituzione che ci vede tutti coinvolti. La realtà è che questi soldi servono a promuovere un progetto politico che prevede sempre maggiore integrazione europea e dunque sempre meno sovranità nazionale. Certo, i media citati non sopravvivono solo grazie alla Ue, ci mancherebbe. Ma questi finanziamenti inquinano comunque la discussione pubblica. Ed è grottesco oltre che irritante ricordarsi che a influenzare surrettiziamente il dibattito sono gli stessi organismi che pretendono di dare a tutti lezioni di democrazia.