2025-02-15
L’Ue è impreparata al bivio Trump. Senza umiltà è pronta al big bang
Bruxelles sapeva che The Donald avrebbe cambiato tutto, ma è rimasta appesa a regole e manie green mentre gli altri innovavano. Ora è fuori da tutti i giochi che contano e qualsiasi mea culpa appare tardivo.L’Europa è al bivio. O forse sta entrando in un tunnel alla cui estremità ci sarà il big bang. L’esplosione di un modello che per almeno 25 anni ha scelto di governare con la burocrazia i propri confini e i propri cittadini. Ignorando quello che stava succedendo fuori. All’esterno, nel resto del mondo. Per ben cinque lustri Bruxelles non ha mai incentivato gli investimenti, non ha speso in armi dimenticando il semplice e celebre motto latino: si vis pacem para bellum. Ha perso il controllo delle materie prime e travolta dalla propria mania di tutelare i diritti civili e l’ambiente ha perduto anno dopo anno le relazioni privilegiate con l’Africa. Non ha prodotto, insomma, alcuna novità. Né in tema di lavoro, né in ambito digitale e nemmeno sociale. Al contrario ha cercato di imporre regole persino agli altri, convinta che pure i Paesi extra Ue fossero assopiti. basti pensare all’esempio prodotto da Frans Timmermans. Invece crescevano e crescevano e sono diventati ricchi. Anzi più ricchi di noi. E adesso non accetteranno certo di rimanere a digiuno solo perché gli europei hanno una storia e un bella lista di monumenti. Se non bastasse c’è l’uragano prodotto da Donald Trump e dal nuovo Deep State che si sta insediando. Da almeno un anno si discute delle sue politiche. Come avrebbe stravolto i rapporti internazionali, che leve economiche avrebbe mosso e come sarebbe entrato a gamba tesa sulla Nato. A novembre è stato eletto, il 20 gennaio si è insediato. Eppure ad ascoltare i discorsi della gerarchia politica Ue sembra di assistere a una sorpresa. Alle bizze di un pazzo come quasi apertamente viene definito Trump. Invece non c’è nulla di imprevisto. Fra un anno il mondo sarà diverso e l’Europa adesso si scopre nuda. Non ha nulla da mettersi per difendersi dall’aggressività americana e dalle pressioni che arrivano da Est, comprese quelle nazioni che insistiamo a chiamare «Paesi emergenti». Sono ormai emersi da tempo e sanno come relazionarsi con Usa e Cina meglio di noi. Vale per tutti i principali dossier che vengono usati per gestire il cambio di paradigma. Vale quindi per i dazi e la guerra commerciale e per lo scacchiere del Medioriente. Le dichiarazioni riportate dai media stranieri fanno pensare che le nuove imposte che la Casa Bianca si appresta a mettere a terra potranno essere calibrate Paese per Paese. Saranno colpiti gli Stati Ue con maggiore surplus verso l’America. Si tratta chiaramente di una strategia politica che spacca in più parti il Vecchio Continente. Se si approccia la trattativa secondo le schema desiderato dalle cancellerie e dal Quirinale, cioè in maniera multilaterale, la botta sarà più intensa e per tutti. Se le singole capitali si muoveranno in base alle rispettive necessità ed economie (vale soprattutto per l’Italia) allora gli impatti economici saranno non solo gestibili, ma anche forieri di novità positive. Chiaramente l’Ue si spezzerà. D’altronde quando andava di modo il termine Pigs, il Nord Europa (Germania in primis) non ha mai voluto condividere i problemi o creare il concetto di debito comune. Nessuna solidarietà all’epoca. Perché adesso i Paesi più avvantaggiati dovrebbero amputarsi un arto per favorire gli altri? La domanda è retorica sebbene generi altri interrogativi. Ad esempio se la Germania va ancor più a fondo (e lo schema di dazi fin qui annunciato sembra penalizzarla più di altri) sarà un grosso problema anche per noi. Ed è comprensibile la frustrazioni di chi sta al comando a Bruxelles, come a Roma o a Parigi, di fronte alla minaccia che arriva da Washington. Il problema è che rimane frustrazione e non si trasforma in forza di reazione. Non sappiamo come reagire e come difenderci. E così si torna al punto di partenza, quello nel quale varrebbe almeno la pena ammettere gli errori fatti e il fallimento perpetrato. E cercare di capire che cosa sta succedendo dall’altro lato del Mediterraneo. Una rivoluzione che ci vede esclusi ma che ci travolgerà. Volenti o nolenti. Le trattative per far finire la guerra in Ucraina non si faranno per caso in Arabia Saudita. Ma perché la contropartita è il riequilibrio di un Medioriente che sarà sempre più sunnita. Le sparate di Trump su Gaza non devono essere trattate con la superficialità che ci contraddistingue, ma come la punta dell’iceberg di uno stravolgimento. L’obiettivo Usa è affidare la gestione della Striscia a Mohammad Bin Salman in modo da permettere ai sauditi di avere un porto nel Mediterraneo. Per arrivare a tale obiettivo serve il consenso di Israele (che è d’accordo) e della Russia che dal canto suo dovrà mediare con i Paesi sciiti. E che ha tutto l’interesse se non vuole essere scavalcata dalla Turchia che, a sua volta, punta a gestire le materie prime dell’ex repubbliche sovietiche. Non a caso i nuovi vertici politici del Libano, nazione cruciale, rispondo agli Usa e a Bin Salman. Se va in porto il progetto, l’Egitto sarà depotenziato e cambierà tutto l’equilibrio del Maghreb. E a noi europei cambierà molto. Dovremo chiedere il permesso per gestire gli affari nell’intero Mare Nostrum. Significherà più povertà per noi e ricchezza per altri. Tutto si tiene. La sicurezza è legata alla strategia, non alla burocrazia. Questo dovremmo capirlo una volta per tutte. La storia termina gli imperi senza chiedere il permesso. Siamo stati grandi e non lo siamo più. Ci manca l’umiltà di ammetterlo. Sarebbe il primo passo per trovare una soluzione.
Matteo Salvini (Imagoeconomica)
La stazione di San Zenone al Lambro, dove il 30 agosto scorso un maliano ha stuprato una 18enne (Ansa)