2022-11-16
L’Ue deve fermare gli stranieri alla partenza
L’accoglienza indiscriminata in Italia si è rivelata un modello fallimentare. E a poco serve lamentarsi del fatto che i nostri alleati non vogliano redistribuire chi sbarca da noi. Però a Roma spetta convincere l’Europa a ridurre in maniera coordinata i flussi.Presidente di sezione a riposo della Corte di cassazione Proviamo a immaginare che non fosse l’Italia ma la Francia o un qualsiasi altro Paese europeo a essere meta privilegiata dell’immigrazione irregolare e a praticare, per sua scelta, una politica di accoglienza indiscriminata. E immaginiamo anche che quello stesso Paese pretenda poi che delle conseguenze di una tale politica si facciano carico, almeno in parte, tutti gli altri Paesi d’Europa, ivi compresa, naturalmente, l’Italia, prestandosi a una redistribuzione dei «migranti» da esso accolti. Siamo proprio sicuri che la reazione del cittadino medio italiano non sarebbe, a dirla brutalmente, quella del tipo: «Se la vedano loro e non rompano le scatole a noi»? E non ci sarebbe forse da aspettarsi che questa reazione, più o meno edulcorata, venisse recepita dal governo e che lo stesso, per mettersi le spalle al coperto, assumesse un atteggiamento di sdegnata riprovazione a fronte di quello che verrebbe strumentalmente rappresentato come un ignobile tentativo del Paese in questione di sottrarsi ai presunti doveri dell’accoglienza, quali derivanti da leggi, regolamenti, accordi internazionali? Se così è, dovremmo evitare, noi italiani, di scandalizzarci e presentarci come vittime dell’incomprensione e dell’egoismo di Paesi che, come sta facendo in questo momento la Francia, si comportano come presumibilmente ci comporteremmo, a parti invertite, anche noi. E dovremmo deciderci, invece, una buona volta, ad abbandonare la rovinosa e demenziale politica dell’accoglienza indiscriminata, seguita negli ultimi anni, adottando le iniziative più opportune per risolvere il problema alla radice, per quanto possibile, con i nostri mezzi. Né varrebbe obiettare che le norme solitamente invocate dai sostenitori di quella politica impedirebbero di adottarne una diversa. Si tratta, infatti, delle stesse norme (nell’essenziale: Convenzione di Amburgo sul salvataggio delle vite in mare, Convenzione di Ginevra sui rifugiati, direttive europee sui richiedenti asilo o protezione internazionale), teoricamente vigenti per tutti i Paesi dell’Ue, i quali, però, quando non le ignorano o fanno finta di ignorarle, ne danno, comunque, interpretazioni meno vincolanti e, talvolta, assurde di quelle che vengono invece seguite nel nostro Paese, non solo dagli organi di governo ma anche, e soprattutto, da gran parte della magistratura. Ed è anzi proprio quest’ultima a rappresentare il maggior ostacolo all’adozione di un’efficace politica di contrasto all’immigrazione irregolare. In nessun altro Paese, infatti, è mai avvenuto che la magistratura abbia messo sotto procedimento penale un ministro per avere, nell’esercizio delle sue funzioni, impedito o ritardato lo sbarco di «migranti» irregolari nel territorio nazionale. E in nessun altro Paese risulta che siano state pronunciate sentenze assimilabili a quella con la quale la magistratura italiana, ai suoi massimi livelli, ha ritenuto non punibile, per aver agito nell’esercizio di un diritto, la «capitana» Carola Rackete che aveva speronato, con la nave da lei comandata, carica di «migranti», una motovedetta della Guardia di finanza dalla quale, come da ordini ricevuti, le veniva impedito l’attracco al porto di Lampedusa; ovvero assimilabili all’altra sentenza con la quale, sono stati parimenti ritenuti non punibili, per aver agito in stato di legittima difesa, taluni migranti tratti in salvo da una nave italiana i quali avevano minacciato e aggredito il comandante per impedirgli di riportarli sulle coste della Libia. Si dirà che proprio a causa di questo orientamento della magistratura (sostenuto anche da gran parte dell’attuale dottrina giuridica), è difficile, se non impossibile, per chiunque governi in Italia, combattere efficacemente l’immigrazione irregolare, dal momento che ogni legge e ogni provvedimento a ciò finalizzati sarebbero comunque destinati a finire sotto l’esame di organi giudiziari, a cominciare dalla Corte costituzionale, e da esso, con estrema probabilità, uscirebbero fortemente depotenziati, se non del tutto vanificati. Vi è, in tale obiezione, sicuramente del vero, ma ciò non può certo valere a rendere accettabile, presso l’opinione pubblica degli altri Paesi europei, l’idea che questi ultimi debbano prestarsi alla redistribuzione della massa dei migranti irregolari accolti in Italia. Se, dunque, per la ragione anzidetta, non si possono o non si vogliono adottare, in Italia, politiche di effettivo contenimento è perfettamente inutile, se non addirittura controproducente, continuare a piagnucolare e a recriminare contro quello che viene presentato come un atteggiamento dei partner europei dettato da egoismo e insensibilità. Si punti, invece, a far sì che l’intera Europa si ponga come obiettivo primario e irrinunciabile, da perseguire subito ed efficacemente, con tutti i mezzi possibili (ivi compresi, al limite, quelli militari), la cessazione o, almeno, il drastico ridimensionamento dei flussi migratori illegali provenienti dalle coste africane. E c’è da scommettere che, verificandosi tale condizione, cesserebbe d’incanto anche l’ostruzionismo della magistratura, quale che fosse il contenuto delle norme e dei provvedimenti adottati per conseguire il risultato.
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