L'Ue dà il via libera ai vini tarocchi. Sberla per l'Italia mentre la Cina continua a crescere
- Un nuovo regolamento emanato da Bruxelles permette di non indicare la provenienza dell'uva usata per le bottiglie da tavola. La misura favorisce Spagna, Cina e Tunisia. Un colpo mortale per il nostro Paese: il settore vale 15 miliardi e 1,2 milioni di posti.
- La Cina è la seconda area viticola del mondo, boom produttivo e di consumi. E ora fa anche l'extravergine d'oliva.
- È crollata la produzione di Novello nonostante l'anticipo di calendario.
Lo speciale contiene tre articoli.
È il caso che il ministro delle politiche agricole oltreché del turismo Gian Marco Centinaio metta mano al dossier Europa e si faccia sentire a Bruxelles. C'è già stata la non felice esperienza di Maurizio Martina, il suo predecessore passato alla segreteria del Pd, che aveva promesso fuoco e fiamme per garantire l'origine dei prodotti e poi è stato respinto con perdite. Di fatto oggi l'Italia ha una legge inutile: abbiamo l'obbligo di indicare la provenienza delle materie prime per la pasta, i pomodori, il riso, la cioccolata, ma siccome c'è un regolamento europeo che si accontenta dell'indirizzo del produttore il falso made in Italy può liberamente circolare per l'Europa. Che peraltro se ne inventa una tutti i giorni per attaccare i nostri prodotti.
L'ultima offensiva riguarda il vino. Bruxelles dà via libera ai vini tarocchi non obbligando più a dichiarare le origini delle uve per i cosiddetti vini varietali. Lo fa per agevolare il consumatore? Ma neanche per sogno. Lo fa perché l'Italia del vino vale 6 miliardi di export - con un aumento di fatturato solo quest'anno del 4% - e ci sono paesi comunitari e non che cominciano ad avere le cantine piene di mosti e vini generici che da qualche parte devono pur andare. Ecco allora la leggina europea che consente di vendere vino senza dire dove sono state coltivate le uve. Se Matteo Salvini vuole una buona ragione per bloccare il bilancio comunitario il suo ministro agricolo, che già deve stare molto in campana perché si parla di drastici tagli ai contributi e la riduzione più consistente riguarda proprio le colture mediterranee, gliene può fornire una molto valida. Gian Marco Centinaio ha promesso - anche a fronte dei recenti attacchi che la Francia e altri sei paesi hanno lanciato in sede di Organizzazione mondiale della sanità contro i prodotti italiani chiedendo le famose etichette a semaforo che mettono all'indice i nostri gioielli dell'agroalimentare al pari del cibo spazzatura - una prova di forza. Vedremo se si andrà oltre gli annunci. Intanto la Commissione ha già trasmesso a Consiglio e a Parlamento europeo il nuovo regolamento sul vino per l'approvazione definitiva e se non fosse per la denuncia della Coldiretti nessuno se ne sarebbe dato pena. L'inerzia dell'Italia sarebbe pericolosissima. È vero che non si toccano le Doc e forse le Igt, ma è anche vero che il cavallo di Troia del via libera alle uve d'incerta origine per la produzione di spumanti generici passato l'anno scorso senza che l'Italia dicesse un fiato ora dà altri frutti avvelenati.
Il nuovo regolamento comunitario in via di adozione consente di imbottigliare vini varietali - Chardonnay, Syrah, Merlot, Cabernet per dire i più noti - ottenuti da vitigni internazionali dichiarando solo il luogo di trasformazione, ma non la provenienza delle uve. Per capirci si può tranquillamente comprare mosto di Merlot in Spagna o anche in Tunisia, metterci un bel nome italiano affittando una cantina in Chianti e approfittare del successo d'immagine che i nostri vini hanno sui mercati internazionali. Il meccanismo diventa perverso se si considera che i cambiamenti climatici oggi consentono di produrre vino anche nei paesi che un tempo erano importatori netti e oggi potrebbe accadere che con il benestare dell'Europa avvengano delle pericolosissime triangolazioni che generano dumping. La Coldiretti peraltro avverte che sta già avvenendo. L'importazione di mosti e vini generici a fronte di una vendemmia che è stata sì positiva - sui 50 milioni di ettolitri con un aumento del 16% rispetto allo scorso anno - ma che non fa altro che riequilibrare i raccolti scarsi dell'ultimo quinquennio ha già fatto crollare di oltre il 20% i prezzi.
Secondo la Coldiretti peraltro questo nuovo regolamento Ue sul vino non fa che confermare una tendenza di penalizzazione del nostro Paese che si manifesta con l'Europa che ammette lo zuccheraggio dei mosti per i paesi del Nord, la produzione di vino da frutta (come ribes o lamponi) nei paesi dell'Est e soprattutto non contrasta i vini fatti con le polveri che sovente portano denominazioni a imitazione delle Doc italiane. Tutto questo in un quadro di mutati equilibri nel commercio mondiale dove si affacciano nuovi paesi come la Cina che è diventata ormai il quarto produttore e dove sempre minori protezioni ci sono per le etichette italiane. Basti dire che il Ceta (l'accordo col Canada) non protegge l'Amarone e altre Doc, che il trattato commerciale siglato col Giappone lascia indifeso il 95% delle nostre Doc, che con il Mercosur l'Europa si avvia a fare una trattativa che non colpisce le imitazioni delle nostre Doc - dal Prisecco al Bardolino fino al Brenello - e che ora queste imitazioni potrebbero addirittura travestirsi da vini varietali italiani. È pur vero che circa il 70% delle uve raccolte in Italia serve a produrre vini certificati, ma il 30% della produzione di uve è destinata a vini comuni che con il nuovo regolamento europeo sarebbero spazzati via. Senza contare che anche l'Igt a seconda di come sarà licenziato questo regolamento potrebbe essere attaccato dal virus del falso. Minando il principale comparto della nostra agricoltura: 15 miliardi di fatturato per oltre un milione e duecentomila posti di lavoro. Un po' troppo per lasciare che l'Europa faccia come le pare.
Prepariamoci a bere i vini gialli, la Cina è un immenso vigneto
Abituatevi all’idea di bere vini gialli. E sappiate anche che la dieta mediterranea ormai è made in Cina. Sembra un paradosso che mentre stiamo spendendo un sacco di soldi per inseguire la promozione nel celeste impero, ci dobbiamo abituare all’idea che saranno loro a esportare in Italia i vini, gli oli extravergine di oliva, i pomodori (cosa che peraltro già fanno) e tra un po’ persino i loro legumi (al netto della soia che già c‘invade) e perfino le mozzarelle. E viene da sorridere amaro ripensando a come Matteo Renzi - che per la verità si prese una bella dose di fischi - accompagnato dal suo sodale Maurizio Martina allora ministro agricolo presentò Jack Ma il gran capo di Alibaba, l’Amazon con gli occhi a mandorla. Disse l’allora premier: «È mancata una strategia di paese, ora ci siamo, l’accordo con Alibaba ci apre le porte dell’export di vino in Cina». Volete sapere come è andata a finire dopo circa tre anni? Che su circa 2,5 miliardi di vino che la Cina importa noi gliene vendiamo per 143 milioni, ma in compenso Jack Ma si è comprato in Francia Chateau de Sors che nella Languedoc produce soprattutto rosati: 6 milioni d bottiglie. E come Ma hanno fatto tutti i magnati cinesi che si sono comprati oltre 100 Chateaux francesi compresi alcuni di prestigio come Chateau Gevrey-Chambertin una delle più blasonate cantine di Bordeaux. E ora l’offensiva riguarda anche l’Italia dove si sono affacciati con i primi sondaggi gli emissari di uno degli imperi del vino cinese: la Cofco Greatwall Winery che significa 140 milioni di bottiglie prodotte ogni anno, 4 miliardi di fatturato. La Cofco ha comprato molto in Francia, ora si è affacciata in Australia ma ha già messo nel mirino Barolo e Toscana. Perché il mercato del vino in Cina è sì agli albori, ne bevono appena 1,2 litri a testa all’anno, ma è potenzialmente enorme. Ed è diviso in due. Da una parte ci sono i super ricchi che bevono quasi esclusivamente francese (la Francia esporta vino per quasi un miliardo, Hong Kong è il secondo mercato per la Borgogna), dall’altra la nuova borghesia che beve soprattutto australiano, cileno e ovviamente cinese. Così i tycoon del grappolo a mandorla hanno diversificato la produzione. Da un lato si comprano le cantine in Francia (e fra un po’ in Italia) per chiudere il cerchio del profitto, dall’altro stanno espandendo a dismisura il vigneto cinese. C’è un terzo livello che è quello popolare che è servito dai grandi numeri delle cantine di Stato dove si producono dei similvini, ma è certo che i cinesi stanno cominciando a considerare il vino come bevanda alternativa alle loro tradizionali, anche perché la cucina cinese si abbina bene con il vino.
L’espansione poteva essere ancora più tumultuosa se non fosse intervenuto uno stop governativo. La campagna anticorruzione voluta da Xi Jinping ha frenato sia l’importazione di costosissime bottiglie francesi che l’espansione produttiva cinese dove peraltro le vigne sono tutte piantate su terreni di proprietà statale. Tra il 2010 e il 2014 la produzione nazionale cinese è passata da 13,8 milioni di ettolitri a meno di 11 per poi ripigliare. Sostanzialmente i cinesi bevono il vino prodotto da tre colossi: Cofco, Changchen che con il marchio la Grande Muraglia e 12.000 ettari in produzione serve il mercato dei quasi ricchi e sta puntando a investimenti anche in Italia dopo aver comprato in Cile e a Pommerol in Francia e Dinasty (una joint-venture con i francesi di Remì Martin che produce anche ottimo brandy) che si spartiscono il 65% del mercato. Ma è interessante notare come si stanno affacciando piccoli (si fa per dire produttori) che peraltro si concentrano tutti sulla fascia alta di mercato: oltre i 70 dollari alla bottiglia. Le dimensioni del fenomeno sono impressionanti. In pochissimi anni (la storia del vino in Cina comincia da metà degli anni Ottanta anche se esiste una "favolosa” cantina pioniera nello Shandong fondata nel 1892 con uve viti che venivano dalla Francia) il Sol Levante è diventato il quarto paese consumatore al modo e la seconda area per superficie vitata: 847.000 ettari di vigne, nel mondo solo la Spagna ne ha di più. Ma il fato è che il vigneto Cina cresce a ritmo di 17.000 ettari all’anno che la colloca al quarto posto mondiale di produzione dopo Italia, Francia e Spagna. Tanta superficie produce relativamente poco (11,5 milioni di ettolitri) perché le condizioni non sono favorevoli. Solo la Mongolia è una grande area produttiva anche se in Cina si contano 11 diversi “terroir”, tra questi i più importanti sono Shandong, Hebei, Beijing, Tianjin, Shanxi, Shaanxi, Jjlin, Ningxia che è la migliore dal punto di vista qualitativo e Xinjiang che è invece la regione con più produzione.
Ma cosa producono? Vini da vitigni internazionali soprattutto Shiraz, Merlot, Cabernet che però non sono paragonabili a quelli europei, adesso anche Sangiovese da quando hanno cominciato ad apprezzare i vini toscani, ma anche una produzione del tutto particolare da uve selvatiche. In Cina stanno poi sviluppando diversi vitigni semi-autoctoni da incroci tra uve locali e vitigni internazionali come longyan o dragon’s eye, lo shuanghong, il beihong, il beimei, il beibinghong e il gongzhubai, ma viene vinificata anche la principale uva da tavola il kyoho, mentre la cantina Zanghuy, forse la più antica in attività, nella zona di Lianing ha impiantato importandole dal Canada viti di Vidal per produrre ice wines. Ma ciò che impressiona è la quantità: 5.000 ettari per fare un vino dolce! I consumatori cinesi per adesso stanno bevendo soprattutto rosso perché si ritiene che porti fortuna. Quelli raffinati bevono i rossi internazionali, quelli che si avviano a essere ricchi le bottiglie cinesi da oltre 70 dollari, il popolo vini dolciotti, zuccherini, ma rossi. Nelle metropoli più occidentalizzate però ora si fa spazio anche il bianco che piace soprattutto alle donne tant’è che vi è un progetto di espansione della coltivazioni di Chardonnay: 50.000 ettari in un quinquennio! Ma chi coltiva illusioni di colonizzazione di questo immenso mercato si dovrà ricredere perché come informa la China association for liquor and spirits, i vini cinesi continuano a dominare la scena, con una quota di mercato del 70%. Con velleità di esportare fuori dalla Cina. Basta considerare che per due anni di fila, nel 2016 e 2017, la Cina aveva il primato di vini iscritti al Concours mondial de Bruxelles nella categoria di prezzo 35-50 euro e che nel 2017 i suoi 11 campioni sono stati i leader incontestati nella categoria dei vini venduti a oltre 70 euro, tant’è che quattro di questi vini sono stati premiati con la medaglia d’oro.
Dunque l’offensiva cinese è lanciata. E ora pare anche il fronte dell’olio extravergine di oliva, che i cinesi ricchi hanno imparato a consumare come alimento salvavita. E ne importano tanto. Il governo perciò ha varato un piano monstre: nella valle del Biadong sono stati piantati 59 milioni di ulivi. Prepariamoci alla dieta mediterranea sì, ma made in Cina.
C'era una volta il lieto Novello
È da poco passata l’estate di San Martino e in campagna s’usava bere vino nuovo con le castagne. Negli anni del boom del vino italiano tra la fine degli Ottanta e l’inizio dei Novanta il Novello divenne una specie di vino di culto, certamente di moda. Dovevamo copiare i francesi che hanno fatto del loro Beaujolais Nouveau un vino-marchio e così ci siamo buttati anche noi a produrre il Novello. Ma i francesi avevano una giustificazione enologica: hanno tantissimo Gamay che è destinato a dare vini beverini e dunque con un processo di vinificazione del tutto particolare (la macerazione carbonica che significa fare il vino praticamente in assenza di ossigeno esaltando al massimo il fruttato delle uve) riescono a dare valore a una produzione massiva. Da qui la nascita del Beaujolais che una Aoc (corrisponde alle nostre Doc) della regione omonima che si estende nei dintorni di Lione. Noi al contrario abbiamo cominciato a fare Novello dalle uve più pregiate: quelle delle Dominazioni. Così piano piano questa moda del vino delle castagne è andata scemando. Si è passati dal record produttivo di metà degli anni Novanta con otre 15 milioni di ettolitri ai 2 milioni scarsi imbottigliati quest’anno.
E a poco è servito l’anticipo di commercializzazione. Quasi volessimo battere i francesi sul tempo. Ma ci manca la capacità di sostenere con adeguato marketing l’uscita del vino nuovo che infatti quest’anno è passata in sordina. Un tempo infatti il Novello usciva il 10 novembre. Dal 2012 il nuovo regolamento consente di immettere al consumo il Novello, che (ecco il paradosso) può essere fatto solo con denominazioni Doc o Igt, a partire dal 30 ottobre con almeno dieci giorni di vinificazione. La vinificazione deve essere fatta con macerazione carbonica per almeno il 40% delle uve e il Novello, sia fermo che frizzante, non può avere meno di 11 gradi e non più di 10 grammi per litro di zucchero. Insomma deve assomigliare molto al suo vino Doc o Igt di riferimento. E questa è forse la principale ragione del crollo di domanda che si è portato dietro quello produttivo. Più che una novità, si tratta di un anticipo. E infatti a produrlo sono rimaste solo le grandi cantine che hanno uve in quantità e possono “sacrificare” parte della materia prima in cambio di un finanziamento immediato derivante dalla vendita del Novello. Fa eccezione il Sud dove l’anticipo delle vendemmie consente di destinare una parte della produzione di uve specificamente a fare il Novello.
Diverso il discorso del Beujolais Nouveau dove in Francia gli dedicano addirittura una festa. Ogni terzo giovedì di novembre si celebra l’arrivo di questo vino che quest’anno cade il 15 novembre e a Beaujeau che è la capitale del Beaujolias si fanno corse di carette colme d’uva e grandi degustazioni. Il Beaujolais è una denominazione importante che ha ben 10 cru, ma per fare il novello si usano - al contrario che in Italia - le uve non destinate a dare i vini di maggiore qualità.
Ma già che ci siamo vediamo di segnalare almeno cinque etichette di Novello che potremmo acquistare se non altro per andare contro corrente. Oggi che tutti snobbano il Novello (ebbe anche una sua fiera a Vicenza e progettarono perfino un bicchiere adatto, i tanta ubriacatura ebbero negli anni Novanta l’accortezza di non sottrarre uva bianca alla vinificazione normale dacché i Novelli frizzanti o fermi sono quasi tutti da baca rossa) torniamo a degustarlo.
Antinori - San Giocondo - È un Sangiovese in purezza che viene dalla uve del Chianti. Espressione accentuata di marasca, mammola con bocca ampia e vellutata. Un vino che si può accompagnare a pasta con il ragù, formaggi molli, salumi. Sui 10 euro.
Cavit - Terrazza della Luna Teroldego - Novello molto profumato, su note di ribes e prugna, con una leggera sfumatura di fiori rossi. Assai piacevole al palato, beverino si accompagna a formaggi d’alpeggio molli, a canederli, a speck, a verdure al forno e anche con besciamella. Sui 9 euro.
Velenosi – Novello - Vino marchigiano che ha i profumi della ciliegia, della viola, di leggero sottobosco. Nasce da uve Lacrima di Morro d’Alba che danno pienezza di fruttato e Montepulciano che ha sfumatura di geranio e di prugna cotta. Bene su carni alla brace, su pecorini morbidi, paste salsate. Sui 7 euro.
Ippolito – Notturno - Arriva dalla Calabria che si è scoperta negli ultimi anni una vocazione al Novello e ha la pienezza delle uve Gaglioppo regalando sentori di rosa appassita, di melograno e cotognata. Tannini quasi inavvertibili. Da carni arrosto, da salumi, da paste alle erbe. Regge anche un fritto leggero. Sui 6 euro.
Rocca delle Macie – Novello - Arriva anche questo dal cuore del Chianti ed è un Novello con Sangiovese in purezza. Regala al naso viola, ciliegia croccante, un sottofondo di confettura di lamponi. Al palato è carezzevole. Da carni in griglia, fegatini, formaggi molli e zuppe. Sui 6,50 euro.





