2019-09-17
Tre nuove tasse: noi paghiamo, incassa l’Ue
Sotto gli slogan sulla «rivoluzione verde» si nasconde un tris di stangate: Web, Tobin e Carbon tax. Gabelle con cui la Commissione vuole garantirsi un gettito fisso. In cambio, agli Stati, chiederà meno contributi per il bilancio. Ma è un'altra picconata alla sovranità.Contro l'impasse sull'imposta digitale l'Unione cambierà il sistema di voto comunitario.Lo speciale contiene due articoli.La strategia è sotto traccia, ma avanza in modo inesorabile verso un duplice obiettivo: ridurre la sovranità fiscale dei singoli Paesi Ue e dare il via a un trittico di tasse transnazionali che ciascun governo dovrà fare proprie per poi versare a Bruxelles tutto il gettito prodotto. Si tratta della Tobin tax, della Web tax e della Carbon tax. L'inglese serve a creare un'allure sul modello Greta Thunberg. Lo storytelling europeista comincia, infatti, a descrivere il progetto come qualcosa che servirà a rendere il mondo più bello e giusto, in realtà le tre imposte mirano quasi esclusivamente a rafforzare il potere centrale della Commissione Ue. L'obiettivo è individuare un gettito costante che finisca nelle casse di Bruxelles, in modo da avere un budget diretto e avviare progetti e strategie sovranazionali. Non si trova la quadra sull'immigrazione? Ecco che Bruxelles potrà decidere di gestire l'intero flusso senza nemmeno coinvolgere i singoli governi. D'altronde, chi ha il banco vince. Con la conseguenza che la Commissione andrebbe a castrare la sovranità fiscale degli Stati, creando un precedente irreversibile. Saremmo costretti a immaginare un futuro - nemmeno troppo lontano - in cui separare tasse di natura «federale» dalle imposte di competenza locale, ovvero dei singole nazioni. Attualmente il bilancio dell'Ue è composto per l'80% dai contributi degli Stati membri. Con il trittico fiscale in arrivo si abbasseranno i contributi statali a un 50% o meno, e contemporaneamente aumenteranno le risorse proprie di Bruxelles di un 50% o più. Ovviamente nulla di cui gioire. È facile immaginare la rivoluzione verso cui si va incontro e i pericoli in stile Urss che si profilano all'orizzonte.Inutile ribadire che, per portare avanti il piano, i politici e i burocrati sono dovuti partire da lontano. Per prima cosa era necessario creare le condizioni e fare passare il messaggio che solo l'Ue nel suo complesso sarebbe stata in grado di aggredire le multinazionali «sporche e cattive». Per questo, sei anni fa, è iniziata la lotta ai paradisi fiscali a colpi di scoop giornalistici e rivelazioni sospette che spesso sono sembrate sotto il diktat di intelligence nazionali. L'assalto dell'Ue è stato spacciato come battaglia alle disparità d'imposizione, ai favoritismi e alle agevolazioni nei confronti delle grandi corporation della Silicon Valley.Ma se domani Facebook, o una delle altre big, non pagherà le tasse in Italia sui profitti italiani, ma verserà tutto a Bruxelles, non è questa una forma di elusione?Eppure la propaganda di Bruxelles alla fine ha realizzato i desiderata della burocrazia: distruggere i paradisi fiscali accusandoli per anni di impoverire il resto del mondo. Solo che ora si comprende come le ultime decisioni in tema di scambi d'informazione tributaria si stiano rivelando nient'altro che una forma di pressione per avviare trattative dirette e avere accesso ai dati fiscali. Bruxelles vuole una fetta dei miliardi che prima andavano negli Usa o nelle isole dei Caraibi. E ora che tutte le barriere del segreto bancario sono cadute si tratta solo di avviare le due tasse relative alle transazioni finanziare e alle attività online. Infatti, la Tobin tax è stata al centro dell'Ecofin che si è tenuto la scorsa settimana. Il neo ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri, l'ha ammesso candidamente, confermando che la nuova tassa Ue partirà già da ottobre. Subito dopo, come da copione, è stata la volta di Paolo Gentiloni. Il neo commissario all'Economia, nell'intervista rilasciata alla Stampa, ha elogiato la tassa sui colossi dell'online. Come la Tobin tax, anche la Web tax è stata approvata dal Parlamento italiano ma non è mai partita. Perché Gentiloni sente la necessità di tornare sul tema solo ora che è stato nominato commissario Ue? La risposta è semplice: perché i progetti impositivi dei singoli Stati vanno bloccati o rallentati così come gli schemi multilaterali di cui si parla in ambito Ocse. Al contrario tutto dovrà essere incardinato a favore del gettito unico europeo. Obiettivo finale al quale manca il terzo tassello: cioè la Carbon tax. Lo schema legislativo in realtà è già pronto all'Europarlamento da circa due anni, ma non è mai stato convertito in legge. Il motivo appare semplice: non era stato ancora creato il contesto. Esattamente ciò che la nuova Commissione (così come il governo giallorosso) ha avviato con l'insediamento di Ursula von der Leyen. Il Green new deal nasconde una grande fregatura. Il tam tam sugli investimenti verdi servirà, il prossimo anno, a giustificare la Carbon tax. Chi è buono investe nelle tecnologie verdi, gli altri sono il male e quindi dovranno pagare una tassa aggiuntiva. L'Italia ormai senza manifatturiero avrà poco da convertire, ma molto da versare se le auto diesel o gli impianti di riscaldamento a gasolio saranno dichiarati fuori legge. Per chiudere il cerchio, però, manca un ultimo passo. «Parleremo di riforma del patto di stabilità solo il prossimo anno», ha ammesso Gualtieri di ritorno dall'Ecofin, senza essere più preciso né lasciare intendere quali direttive di discussione si seguiranno. Il progetto di revisione, a quanto risulta alla Verità, comprenderà la modifica dei versamenti individuali e la creazione del budget comune, insomma il mega progetto fiscale Ue. E se qualche Stato deciderà di opporsi, Bruxelles medita di abolire l'unanimità di voto sui temi fiscali. Risultato: se una nazione non vuole applicare la Carbon tax o una delle altre due imposte non potrà più rifiutarsi. Dovrà comunque mettere le mani nei portafogli dei propri cittadini e versarla a Bruxelles. P.s. Notizia dell'ultima ora. Irene Tinagli eletta tra le fila del Pd è stata nominata presidente della commissione Affari economici del Parlamento europeo. Al grido di «più Europa», chissà se difenderà la sovranità fiscale tricolore o quella di Bruxelles...<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/lue-ci-frega-con-il-gioco-delle-tre-tasse-2640387917.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="per-far-ingoiare-le-gabelle-ai-paesi-bruxelles-togliera-il-diritto-di-veto" data-post-id="2640387917" data-published-at="1757896179" data-use-pagination="False"> Per far ingoiare le gabelle ai Paesi Bruxelles toglierà il diritto di veto Si punta tutto sulla digital tax europea. L'Italia sta aspettando il progetto dell'Unione europea in materia di tassazione digitale, così come l'Ocse che non sembra intenzionata a voler dare una risposta globale al problema della tassa sui colossi del Web. Il nostro Paese, decidendo di non pubblicare il decreto attuativo entro il 30 aprile, ha infatti bloccato la digital tax nazionale. L'ex ministro dell'Economia e finanze Giovanni Tria, nel suo ultimo G7 in Francia, ha infatti sottolineato come l'Italia preferisce aspettare una decisione comune a livello europeo piuttosto che agire in modo individuale. L'attuale governo sta invece pensando di rivedere in toto il progetto di tassazione digitale messo in campo dal governo gialloblù, per dar vita ad una nuove digital tax. Questo significa però allungare i tempi, dato che tutto l'iter legislativo dovrà essere rifatto da zero. E finirà con il lanciare un assist all'Europa che avrà più tempo per definire la propria Web tax e scavalcarci dal punto di vista del gettito. Da parte su l'Ocse sembra voler ripassare la palla della digital tax ai singoli Stati membri, che a loro volta aspettano la decisione a livello di Unione europea. L'Organizzazione internazionale sta infatti pianificando di costruire un recinto fiscale dentro cui far muovere autonomamente i singoli Stati, che dovranno cavarsela da soli, siglando accordi bilaterali fra loro. Questo approccio non andrebbe però a risolvere il problema della tassazione digitale, dato che lascerebbe i singoli Paesi liberi di agire come meglio credono. Ci si troverebbe dunque nella stessa situazione di incertezza normativa di adesso. E dunque l'Unione europea avrebbe gioco facile per intervenire. Paolo Gentiloni, commissario designato per gli affari Economici e monetari, ieri ha infatti sottolineato come se l'obiettivo di arrivare ad una tassa globale sui colossi del Web a livello Ocse, entro il 2020, non si dovesse realizzare, la Commissione si impegna a portare a termine il progetto di digital tax Ue. Sembrerebbe dunque che le carte in tavola siano state sistemate ad hoc, per far prendere la decisione finale in materia di tassazione digitale all'Unione europea. Questa si troverà però a dover iniziare i lavori sulla digital tax Ue non prima del 2021. Dopo cioè aver constato che l'Ocse non è stata in grado di fornire una soluzione globale al problema della tassazione digitale. Dovendo portare a casa, a tutti i costi, il risultato, l'Unione europea dovrà far di tutto per approvare il progetto di digital tax. E questo significa modificare il sistema di voto sulle questioni fiscali. La modifica risulta essere fondamentale, dato che fino ad oggi le decisioni in materia fiscale vengono adottate solo se tutti e 28 gli stati membri sono d'accordo. Questo modo di votare ha fatto però naufragare il primo progetto di digital tax Ue, perché stati come l'Olanda, l'Irlanda e il Lussemburgo si sono opposti fin dal principio alla tassa sui colossi del Web. Se dunque non ci si vorrà ritrovare nella medesima situazione del 2018, si dovrà cambiare il sistema di voto sulle materie fiscali. Si sta infatti pensando di passare dal principio dell'unanimità a quello della maggioranza qualificata. Soluzione che già l'anno scorso, quando non si era riusciti a raggiunge un accordo unanime sulla digital tax Ue, Jean-Claude Juncker e Pier Moscovici avevano proposto come soluzione. Con la votazione secondo maggioranza qualificata si sbloccherebbero, senza dubbio, proposte rimaste ferme per anni (come la digital tax), ma al tempo stesso si obbligherebbero stati membri che non sono d'accordo con determinate decisioni fiscali ad applicarle nel proprio ordinamento nazionale, senza potersi opporre.
Jose Mourinho (Getty Images)