2023-03-19
L’Annunziata fa l’anti Meloni (col posto in Rai)
Lucia Annunziata (Imagoeconomica)
Dopo aver definito di «destra estrema» il governo, la conduttrice di «Mezz’ora in più» ha coordinato il fronte «anti Papeete» dal palco del congresso Cgil. Chiamando «fratello» Maurizio Landini. Va bene che la Vigilanza è ancora ferma, ma c’è un limite a tutto.Stavo per scrivere: «È troppo». Ma, per farmi capire meglio dalla grande Lucia Annunziata, che sa sempre come affascinarci con il suo personalissimo idioma anglo-italo-salernitano, punterei su un più adeguato: «It’s too much». È veramente «too much», Lucia, credimi. Forse hai esagerato. Le alternative sono facili da mettere sul tavolo: o punti al martirio, sperando in un fallo di reazione della destra; o ritieni che a te, gran sacerdotessa della sinistra, sia consentita qualunque cosa, senza limiti e senza freni; oppure vuoi semplicemente testare la resistenza altrui, vedere fino a che punto ci si può spingere.Intendiamoci bene: qui non siamo così rigidi da ritenere che un volto della Rai, pur profumatamente pagato, debba essere politicamente neutro o asessuato, né lì né quando parla o scrive altrove. Anzi, per tanti versi una parzialità evidente, esibita, perfino ostentata, crea forse - nel telespettatore - più anticorpi di una finta indipendenza. Vero: anzi, that’s true. E però esisterebbe anche il limite di una certa continenza; come anche la delicatezza di non prendere metaforicamente a schiaffi in pieno viso la metà (abbondante) di abbonati di destra che pagano il canone (e quindi anche i tuoi emolumenti). Ricapitoliamo. Oltre a condurre il programma domenicale su Rai 3, sei firma di punta della Stampa di Torino, ormai ferro di lancia di una scatenata campagna antigovernativa. Molto bene, anzi very well: non vogliamo certo discutere di questo. Su quel giornale, l’altro venerdì, il 10 marzo, hai firmato un editoriale di rara violenza contro Giorgia Meloni e il governo, dopo il naufragio di Cutro. Cito fior da fiore: «La destra scappa dai suoi fantasmi»; «il senso di colpa pare inseguire il vertice delle nostre istituzioni»; «il Consiglio dei ministri […] è stata un’impietosa messa in scena di questa fuga»; «il corteo delle grandi monovolumi con vetri oscurati […], modello favorito anni fa dai dittatori sudamericani». E ancora, lunghi e commossi passaggi sui familiari delle vittime («urla disperate di resistenza, corpi abbracciati alle bare...»), contrapposti a un governo descritto come gelido, disumano, quasi bestiale («cancellare le vittime, e se non è possibile cancellarle, farle diventare corresponsabili delle loro disgrazie»). Gran finale con attacco alla Meloni, colpevole perfino di aver ignorato un orsetto di peluche «rimasto sull’asfalto, guardato da un poliziotto in tenuta antisommossa» (sic). Tesi legittime, ci mancherebbe: ma, di tutta evidenza, più che un commento, uno sparare a palle incatenate contro il governo. Qualche giorno dopo, con un umore decisamente trasformato, ti sei trasferita a Rimini, per un congresso della Cgil in versione talk show, una specie di edizione infrasettimanale del tuo programma. Qui, eri improvvisamente tutta un sorriso, la gioia di vivere fatta persona: intervista iniziale per presentare il tuo libro (600 pagine, ma «vanno via che è un piacere», garantiva chi ti intervistava), e poi finalmente a te la regia del grande confronto con Maurizio Landini («ci chiamiamo sorella e fratello», hai specificato), Elly Schlein («hai cinque minuti più degli altri»), Giuseppe Conte, Nicola Fratoianni, Carlo Calenda. Se convergevano, ti si allargava il cuore e il sorriso. Se non convergevano, li invitavi a farlo: «Chiamiamolo coordinamento anti Papeete». Se c’erano frizioni, facevi da forza di interposizione Onu: «Meglio se ci diciamo le cose. E dico “ci” perché non sono in televisione e la Commissione di vigilanza non è ancora stata formata». Fair and balanced, direbbero i fessacchiotti che ancora parlano di servizio pubblico radiotelevisivo. E perché questo coinvolgimento, questo sentirti parte in causa? Elementare, Watson: perché al governo c’è la «destra estrema». Testuale. Sembrandoti ancora poco, ieri sei tornata a illuminarci sulla Stampa, e si è capito che la performance della Meloni al congresso di Landini non ti è proprio piaciuta. Certo, imperdonabile questa Meloni, anzi unforgivable: non ti ha neanche chiesto di approvare preventivamente il suo discorso. Infatti - ci spieghi - la premier ha chiuso «la porta in faccia al sindacato», ha consegnato «alla Cgil il suo no a tutti i programmi del sindacato, contrapponendogli il programma di governo». Ma guarda: la Meloni non ha stracciato il suo programma per adottare quello del ticket Annunziata-Landini. Peggio: la Meloni vuole perfino abbassare le tasse (e qui scatta l’evocazione di Ronald Reagan, un incubo per Lucia). Morale: siamo a un «punto di non ritorno». E si rende inevitabile pure una bacchettata al capo della Cgil, autore dell’incauto invito: «Quali conseguenze trarrà Landini da questa porta in faccia?».E allora cosa resta di questa settimana, di questa Lucia’s week? La meravigliosa sensazione di aver a che fare con una giornalista grande, anzi grandissima, che nei giorni pari schiaffeggia il governo, in quelli dispari convoca e dà la linea alle opposizioni, nel tempo libero gioca a «sorella e fratello» con Landini, e a fine mese è pagata anche dai contribuenti Rai. È tutto, anzi that’s all.
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