2024-03-22
Luca Ricolfi: «Creiamo delle zone franche anti censura»
Il sociologo: «Atenei contro Israele? Il mondo è già abbastanza turbolento: sport, cultura, ricerca siano ambiti in cui non si boicotta e si collabora con tutti. Ma le proteste che non impediscono di parlare, come quella subita dalla Di Cesare, devono restare legittime».pensiero progressista. Su questi temi ha scritto anche un fulminante pamphlet assieme a Paola Mastrocola: Manifesto del libero pensiero. La sua voce, dunque, è tra le più interessanti da sentire a proposito di quanto sta accadendo in diverse università italiane, fra proteste varie e boicottaggi. Professore, l’università di Torino ha deciso di non partecipare a un bando di cooperazione scientifica con Israele, anche in seguito alle pressioni degli studenti. Alla Normale di Pisa gli attivisti hanno chiesto di tagliare i rapporti con lo Stato ebraico, ma il rettore si è opposto. A Bologna i collettivi protestano chiedendo un boicottaggio analogo. Sono istanze legittime e sensate secondo lei? «Il caso di Torino mi tocca particolarmente, perché ho insegnato all’Università di Torino quasi tutta la vita e purtroppo non è la prima volta che succedono episodi di questo genere. In realtà non sono sicuro che le notizie che ci sono state riferite sulla vicenda siano precise. Da quello che ho capito, l’ateneo ha mantenuto tutti gli accordi precedenti con Israele, ma ha rinunciato appunto a partecipare a un bando, almeno così ho capito».Sì, è quello che ha detto anche il rettore: non c’è boicottaggio, che hanno rifiutato un bando su una questione molto specifica, ma le collaborazioni con gli atenei israeliani rimangono in piedi. I collettivi però mi pare che chiedano boicottaggi. «La mia idea in proposito è molto semplice, l’ho anche espressa in qualche articolo in passato. Proprio perché il mondo è turbolento e i conflitti sono molto radicali e inquietanti, penso che debbano esistere delle zone franche, non solo nella cultura. Ad esempio, quando furono boicottati i russi alle paralimpiadi, io scrissi un articolo contro questa decisione. Lo sport, la cultura, l’arte, ma anche la ricerca spaziale sono tutti ambiti nei quali bisognerebbe mantenere una libera circolazione delle persone e delle idee, perché questo può anche essere un elemento di attenuazione dei conflitti. Non abbiamo proprio bisogno di peggiorare la situazione». In effetti spesso le università sono state anche luoghi di dissenso, capita che i docenti prendano posizioni critiche verso i loro governi e forse non è corretto fare di tutta l’erba un fascio. «Sì, credo che nel caso israeliano addirittura ci sia una situazione particolare, del tipo che il grosso dei professori è contro il governo Netanyahu. Quindi paradossalmente si cerca di interrompere i rapporti con un mondo che non è affatto schierato con la politica del governo attuale, ma che spesso è critico. Comunque io ritengo cose di questo tipo assurde e inaccettabili in tutte le sfere che dovrebbero essere esenti da conflitti di questo genere. Come dicevo lo sport, la ricerca spaziale, la ricerca scientifica sono tutti ambiti in cui non ha senso fare entrare la politica». Di recente si è discusso molto di altri due casi. Da una parte la contestazione al direttore di Repubblica, Maurizio Molinari, all’Università Federico II di Napoli. Dall’altra la vicenda della professoressa Donatella di Cesare, contestata per un post sulla brigatista Barbara Balzerani. In entrambi i casi è stato evocato lo squadrismo, si è parlato di libertà di espressione negata. «Sulla di Cesare ho una posizione doppia, nel senso che da un lato sono contrarissimo a qualsiasi tipo di sanzione nei suoi confronti perché uno su Internet, sui social, può fare quello che vuole e l’università non deve metterci il becco. Tra l’altro questo lo penso da tempo, perché c’è un precedente importante in Italia, il caso del professor Marco Bassani, che è stato sanzionato per aver fatto circolare una vignetta su Kamala Harris. Questo non ha senso, le università non possono in base ai loro codici etici sanzionare quello che uno fa fuori dagli atenei. Se questo fare naturalmente si limita all’esprimere dei pensieri, perché è chiaro che se la Di Cesare avesse invitato alla lotta armata la vedrei diversamente: quello sarebbe un reato. Ma finché esprimono delle opinioni, non si devono toccare i professori universitari, gli assistenti, chi lavora nell’università. Il discorso è diverso riguardo alla interruzione della lezione o della conferenza di Molinari».Ovvero?«A Molinari è stato impedito fisicamente di parlare, alla Di Cesare no, per quel che ne so io. Stando a ciò che ho letto sui giornali, c’è stata una breve interruzione educata con l’esibizione di fotografie di vittime del terrorismo da parte di ragazzi di Forza Italia. Lei ha svolto la sua lezione, quindi parlare di squadrismo non ha senso, perché squadrismo sarebbe impedire fisicamente una manifestazione e l’espressione del pensiero: quella è stata una contestazione». Quindi se i collettivi filo palestinesi avessero contestato ad esempio Molinari mostrando cartelli, senza fermare la conferenza, avrebbero avuto diritto di farlo? «Secondo me sì, mi spiace dirlo perché io non ho nessuna simpatia per i filo palestinesi, però secondo me tutto ciò che è civile e si limita all’espressione di opinioni e non interrompe un pubblico servizio naturalmente è legittimo».Mi pare però che dalle nostre parti ci sia sempre un po’ un’ipocrisia. Ricordo che ad esempio che quando Eugenia Roccella, da ministro, è andata al Salone del libro di Torino per presentare il suo libro è stata fischiata, contestata, e alla fine lei non è riuscita a parlare come avrebbe voluto e dovuto. In quel caso i commenti sui media furono piuttosto concilianti verso i contestatori...«Sì, assolutamente, ricordo quell’episodio, anche questo mi colpì perché accaduto ancora una volta nella mia città. Purtroppo succede molto sovente che a Torino si impedisca di parlare alla gente. In quell’occasione, quello che mi colpì fu che la stampa progressista non prese una posizione chiara e netta a favore del ministro Roccella. E che il direttore del Salone, Nicola Lagioia, fece ben poco per metterla in condizione di parlare. C’è modo e modo di intervenire in questi casi. Lui a un certo punto disse: vabbè non mi stanno a sentire, buonanotte me ne vado. Non è bello: un direttore di Salone avrebbe avuto il dovere di intervenire con energia e fare tutto il possibile perché al ministro fosse concesso di parlare. E se questo non fosse stato possibile, avrebbe dovuto a posteriori compiere un gesto clamoroso per rimarcare il suo rifiuto di quell’atto. Invece tutto questo non è accaduto, quindi abbiamo il solito doppio standard purtroppo».Forse anche un triplo standard... Ci sono infatti delle questioni di cui nessuno parla mai. Penso al caso del professor Francesco Benozzo, sospeso a Bologna per aver rifiutato il green pass. La sensazione è che ci siano alcuni argomenti di cui semplicemente non si può discutere in termini critici. Se uno contesta la «rivoluzione verde» è un negazionista climatico, se contesta le teorie gender è un omofobo, un transfobico (vedi quanto accaduto a J.K. Rowling). E non mi pare che si levino poi così tante voci a difesa della libertà di espressione, in quei frangenti.«Sì, i temi a cui lei fa riferimento sono tre o quattro, in definitiva. La questione Ucraina, su cui bisogna ritenere che la posizione europea e americana sia nobile e indiscutibile. Poi c’è tutta la vicenda del Covid e anche questa è indiscutibile. Infine ci sono le rivendicazioni woke, tipo quelle che citava lei, sui diritti trans e dintorni, su cui è estremamente difficile prendere posizioni critiche. In Italia, per esempio, mi colpisce molto il silenzio delle femministe: Marina Terragni è una delle pochissime voci libere e critiche nei confronti della deriva trans. Questi sono i tabù molteplici che ci portiamo dietro purtroppo». Mi pare che ciascuno guardi soltanto il proprio orticello. Oggi mi lamento perché mi censurano, ma se domani censurano uno che non la pensa come me va bene. «Ma per questo io le dicevo che un’eventuale interruzione come quella che è stata subita dalla Di Cesare io l’avrei considerata legittima, a prescindere dalle basi politiche. La cosa molto difficile è riuscire a difendere sia le posizioni che si condividono sia le posizioni che non si condividono quando sono espresse in un modo non violento e rispettoso del prossimo. Invece purtroppo abbiamo una forma di strabismo».
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