True
2018-10-30
Lotti e Del Sette, processo in vista per le spifferate sul caso Consip
ANSA
Per il Giglio magico ieri è stata una giornata double face. Dopo quasi due anni la Procura di Roma ha concluso l'inchiesta Consip e ha spedito a sette persone una comunicazione quasi sempre propedeutica alla richiesta di rinvio a giudizio. Tra i destinatari dell'avviso di chiusura indagini l'ex ministro Luca Lotti e il generale Emanuele Saltalamacchia, sotto inchiesta per favoreggiamento personale (pena sino a 4 anni): per gli inquirenti avrebbero messo in guardia l'ex ad di Consip, Luigi Marroni, su un'indagine che riguardava la società e su un'attività di intercettazione sulla sua utenza personale. Per questo ora rischiano il processo. All'ex comandante generale dei carabinieri Tullio Del Sette è stata contestata anche la rivelazione di segreto a favore dell'ex presidente di Consip Luigi Ferrara: dopo essere stato informato ufficialmente delle investigazioni era tenuto al riserbo. Giornata più dolce per Tiziano Renzi. Secondo i pm non si è macchiato di traffico di influenze illecite né ha millantato conoscenze per ottenere soldi; per l'accusa è stato un suo stretto collaboratore, Carlo Russo, a chiedere decine di migliaia di euro all'imprenditore Alfredo Romeo, usando il nome del babbo ignaro. L'avvocato dei Renzi, Federico Bagattini, nonostante sia oberato di lavoro (i suoi assistiti sono coinvolti in diverse inchieste), si è rallegrato: «Questi ultimi giorni hanno dimostrato che il tempo è galantuomo: prima il riconoscimento del risarcimento del danno a titolo di diffamazione (da parte del Fatto Quotidiano, ndr) ora la richiesta di archiviazione nel procedimento Consip». Certo un gip dovrà confermare la richiesta e la «soddisfazione (…) del dottor Tiziano Renzi (…) risulta menomata dalla considerazione della campagna subita nel corso degli ultimi due anni» che ha prodotto «gravi e irreversibili danni sul piano personale, familiare ed economico».
Ma torniamo a chi non gioisce per niente.
Il presunto favoreggiamento di Lotti ha una data precisa: 3 agosto 2016. L'1 agosto i carabinieri del Noe avevano piazzato le microspie negli uffici romani della Romeo gestioni, il 2 le avevano accese e il 3, con incredibile coincidenza di tempi, l'ad della Consip venne convocato in uno degli uffici della presidenza del Consiglio dall'allora sottosegretario Lotti.
L'avvocato di Marroni, Luigi Li Gotti, ci spiega come sarebbero andate le cose nell'estate di due anni fa: «Il mio assistito andò a trovare il politico nello studio che si trova nel complesso della galleria Borghese. Lo abbiamo provato con diversi elementi. Quel giorno la segreteria di Marroni avvertì l'autista e diede le indicazioni per l'appuntamento, che avvenne, se non ricordo male, in Santa Maria in Via (dove si trova la sala polifunzionale della presidenza del Consiglio, ndr). Da lì Lotti e Marroni sono andati a piedi a Palazzo Chigi, a un centinaio di metri».
Rimane invischiato nell'inchiesta anche Filippo Vannoni, presidente di Publiacqua, ex amico di Marroni e inizialmente suo coaccusatore di Lotti. Vannoni, durante il procedimento, ha cambiato linea e ha detto di aver incolpato Lotti, intimorito dai modi spicci del pm Henry John Woodcock e dei suoi segugi. Gli inquirenti non devono aver creduto alla genuinità della retromarcia e lo hanno iscritto per favoreggiamento.
Resta nei guai pure l'aspirante lobbista Carlo Russo. Nell'avviso di chiusura indagini si legge che «si faceva promettere» da Romeo 100.000 euro annui «come prezzo della propria mediazione». Inoltre si faceva garantire altre somme per singole operazioni, sempre millantando conoscenze altolocate, dall'Inps a Grandi stazioni alla politica: per esempio 32.500 euro «nella prospettazione del Russo» andavano destinati ogni mese a lui (2.500) e a Tiziano Renzi (30.000) per la mediazione nei confronti di Marroni, per ottenere vantaggi nelle gare Consip.
Ma per la Procura Russo sarebbe solo un fanfarone, sebbene lo stesso Lotti nel 2015 garantì per lui con il governatore della Puglia Michele Emiliano, a nome proprio e di Maria Elena Boschi: «Lo conosciamo (…) Ha un buon giro ed è inserito nel mondo della farmaceutica. Se lo incontri per 10 minuti non perdi il tuo tempo».
In tutto questo Russo, al contrario di Marroni, con i pm non ha fatto chiamate di correo e così dentro al Giglio magico qualcuno in futuro potrebbe costruirgli un monumento. Intanto rischia un processo per millantato credito (da 2 a 6 anni di carcere), anziché per traffico di influenze illecite, reato di cui era accusato inizialmente (pene da 1 a 3 anni).
Dunque accettando di accollarsi tutte le responsabilità si è preso un bel rischio. Come ha fatto un altro ex collaboratore e coindagato di Renzi senior, Mariano Massone, che senza mai rilasciare dichiarazioni ha patteggiato presso il Tribunale di Genova una pena di 26 mesi per bancarotta.
Nell'avviso di chiusura indagini, tra i sette indagati, chi sembra avere i problemi più seri è il maggiore Gianpaolo Scafarto, il carabiniere del Noe sospettato di aver imbrogliato le carte pur di incastrare Tiziano Renzi. È accusato dagli inquirenti di falsità ideologica (da 3 a 10 anni di detenzione), rivelazione di segreto (da 6 mesi a 3 anni) e di depistaggio (da 3 a 8 anni), insieme con il suo ex superiore, il colonnello Alessandro Sessa. Scafarto in questi mesi ha subìto 8 interrogatori, 2 perquisizioni e gli sono stati sequestrati 4 cellulari e un computer. Nell'inchiesta di Roma l'uomo nero pare essere diventato lui. Infatti del procedimento originario istruito a Napoli per presunti reati contro la pubblica amministrazione rimane poco: per 8 indagati (tra cui l'ex parlamentare Italo Bocchino e l'ex presidente di Consip Domenico Casalino) è stata chiesta l'archiviazione, il manager Marco Gasparri ha patteggiato e a processo è finito solo il suo presunto corruttore, l'avvocato Romeo.
Giacomo Amadori
I pm dopo aver sentito la versione di Renzi padre: «Totale inaffidabilità»
La Procura di Roma ha chiesto l'archiviazione per Tiziano Renzi perché non avrebbe millantato conoscenze e raccomandazioni per spillare quattrini all'imprenditore Alfredo Romeo, ma, nel contempo, ha evidenziato «la sua inverosimile ricostruzione dei fatti e della natura dei rapporti» con l'aspirante lobbista Carlo Russo.
L'immagine che esce dall'inchiesta Consip del padre dell'ex premier è davvero ammaccata. Anzi macchiata. Per dirla con le parole dello stesso Romeo: «È un chiacchierone eh (…) è logorroico proprio, si è presentato con un bermuda, con una polo tutta sbavata». Sì, perché per i magistrati il famoso incontro tra Romeo e Tiziano Renzi, sempre negato dai diretti interessati, potrebbe essere avvenuto. Come aveva rivelato l'ex tesoriere del Pd campano Alfredo Mazzei in un'intervista alla Verità. La presunta cena romana tra il babbo, Russo e Romeo, secondo i magistrati potrebbe essere avvenuta in una rosa di 9 date (comprese tra 1 aprile e 3 novembre 2015), quando i cellulari dei tre personaggi agganciarono contemporaneamente le stesse celle telefoniche. I tre potrebbero essersi visti anche il 16 luglio 2015 in zona via Pier Capponi a Firenze. In quei mesi, nella stessa strada, Renzi senior incontrava l'imprenditore Luigi Dagostino, per il quale faceva il piccolo lobbista, ottenendo in cambio una consulenza da quasi 200.000 euro, secondo la Procura di Firenze per un'operazione inesistente. Nei medesimi giorni avrebbe visto anche Romeo, che voleva essere riabilitato agli occhi di Matteo Renzi, dopo aver finanziato con 60.000 euro l'ex Rottamatore ed essere stato assolto in un'inchiesta per corruzione.
«Le risultanze acquisite consentono di stabilire, al più, un probabile incontro Renzi-Romeo in tempi assai precedenti rispetto all'estate 2016 cioè quando Russo e Romeo iniziano a pianificare il loro progetto (…) A prescindere dall'effettività di tale incontro deve censurarsi la totale inattendibilità delle dichiarazioni rese a questo ufficio da Tiziano Renzi», sanciscono i magistrati. Per le toghe «non vi è dubbio» che tra il babbo e Carlo Russo «vi sia una stretta relazione personale e che gli stessi si frequentino (…)», ma i due non avrebbero condiviso il piano di Russo che chiese a Romeo 100.000 euro all'anno per sé e altri 32.500 ogni mese per sé e Tiziano. Renzi senior nel 2017 ha dichiarato agli inquirenti di aver condiviso con Russo sia «esperienze lavorative» che alcuni viaggi, come i pellegrinaggi di gruppo a Medjugorje, e di «aver instaurato un rapporto tale da aver fatto il padrino di battesimo del figlio» ma ha escluso di aver “parlato mai con lui di Consip" né di aver “spinto per lui su Consip"». Qui i magistrati si spazientiscono: «Queste ultime affermazioni non paiono punto credibili, confrontate con quanto dichiarato da Luigi Marroni in modo dettagliato, con alcuni puntuali riscontri su luoghi e tempi degli incontri avuti con Tiziano Renzi, considerando poi che tale teste non aveva interesse ad affermare il falso, ricostruendo circostanze che semmai potevano metterlo in difficoltà».
In effetti Renzi senior, per perorare la causa di Russo, aveva incontrato Marroni a ottobre 2015 e nella primavera 2016. «È un amico, se l'ascolti mi fa piacere, se puoi dargli una mano», gli dice la prima volta.
«Luigi avrei bisogno che te incontri di nuovo Russo, c'ha dei bei progetti, è un bravo figliolo, ci sono affezionato», insiste la seconda. Però, «si sarebbe trattato in base a quanto riferito da Marroni di una generica raccomandazione che non avrebbe avuto alcun esito». A onor del vero il 17 novembre 2015 l'amministratore delegato vede Romeo «ma l'incontro», sottolineano gli inquirenti, «non è stato procurato da Russo». L'ad di Consip, a partire da primavera 2016, non avrebbe avuto altri abboccamenti con Tiziano Renzi. Occorre rammentare che dal giugno di quell'anno, nell'ambito del Giglio magico, inizia a circolare la notizia dell'inchiesta e delle intercettazioni. A inizio autunno Tiziano è spaventato per le indagini e lo riferisce a chi gli sta intorno. Ha paura di essere intercettato. A settembre gli investigatori annotano due incontri con Russo organizzati con modalità un po' carbonare. Il 28 ottobre Marroni fa annullare un appuntamento con Russo e questi «accoglie la notizia con rassegnazione», nonostante sia in compagnia di Tiziano Renzi. Per i pm, però, il mancato intervento dell'illustre genitore non è motivato dal timore per l'inchiesta in corso, ma è un punto a favore dell'indagato: «È ragionevole ritenere» che il babbo «non fosse a conoscenza delle operazioni di avvicinamento di Marroni che Russo intendeva realizzare» per favorire Romeo.
Continua a leggereRiduci
Avviso di chiusura indagini all'ex ministro, così come al generale dei carabinieri. Una fuga di notizie avrebbe messo in guardia i soggetti al centro dell'inchiesta sugli appalti di Stato. Si complica la posizione di Giampaolo Scafarto. Per il genitore dell'ex premier c'è la richiesta di archiviazione. Ma il suo interrogatorio non ha convinto le toghe: «Inverosimile».Lo speciale contiene due articoli Per il Giglio magico ieri è stata una giornata double face. Dopo quasi due anni la Procura di Roma ha concluso l'inchiesta Consip e ha spedito a sette persone una comunicazione quasi sempre propedeutica alla richiesta di rinvio a giudizio. Tra i destinatari dell'avviso di chiusura indagini l'ex ministro Luca Lotti e il generale Emanuele Saltalamacchia, sotto inchiesta per favoreggiamento personale (pena sino a 4 anni): per gli inquirenti avrebbero messo in guardia l'ex ad di Consip, Luigi Marroni, su un'indagine che riguardava la società e su un'attività di intercettazione sulla sua utenza personale. Per questo ora rischiano il processo. All'ex comandante generale dei carabinieri Tullio Del Sette è stata contestata anche la rivelazione di segreto a favore dell'ex presidente di Consip Luigi Ferrara: dopo essere stato informato ufficialmente delle investigazioni era tenuto al riserbo. Giornata più dolce per Tiziano Renzi. Secondo i pm non si è macchiato di traffico di influenze illecite né ha millantato conoscenze per ottenere soldi; per l'accusa è stato un suo stretto collaboratore, Carlo Russo, a chiedere decine di migliaia di euro all'imprenditore Alfredo Romeo, usando il nome del babbo ignaro. L'avvocato dei Renzi, Federico Bagattini, nonostante sia oberato di lavoro (i suoi assistiti sono coinvolti in diverse inchieste), si è rallegrato: «Questi ultimi giorni hanno dimostrato che il tempo è galantuomo: prima il riconoscimento del risarcimento del danno a titolo di diffamazione (da parte del Fatto Quotidiano, ndr) ora la richiesta di archiviazione nel procedimento Consip». Certo un gip dovrà confermare la richiesta e la «soddisfazione (…) del dottor Tiziano Renzi (…) risulta menomata dalla considerazione della campagna subita nel corso degli ultimi due anni» che ha prodotto «gravi e irreversibili danni sul piano personale, familiare ed economico». Ma torniamo a chi non gioisce per niente.Il presunto favoreggiamento di Lotti ha una data precisa: 3 agosto 2016. L'1 agosto i carabinieri del Noe avevano piazzato le microspie negli uffici romani della Romeo gestioni, il 2 le avevano accese e il 3, con incredibile coincidenza di tempi, l'ad della Consip venne convocato in uno degli uffici della presidenza del Consiglio dall'allora sottosegretario Lotti. L'avvocato di Marroni, Luigi Li Gotti, ci spiega come sarebbero andate le cose nell'estate di due anni fa: «Il mio assistito andò a trovare il politico nello studio che si trova nel complesso della galleria Borghese. Lo abbiamo provato con diversi elementi. Quel giorno la segreteria di Marroni avvertì l'autista e diede le indicazioni per l'appuntamento, che avvenne, se non ricordo male, in Santa Maria in Via (dove si trova la sala polifunzionale della presidenza del Consiglio, ndr). Da lì Lotti e Marroni sono andati a piedi a Palazzo Chigi, a un centinaio di metri».Rimane invischiato nell'inchiesta anche Filippo Vannoni, presidente di Publiacqua, ex amico di Marroni e inizialmente suo coaccusatore di Lotti. Vannoni, durante il procedimento, ha cambiato linea e ha detto di aver incolpato Lotti, intimorito dai modi spicci del pm Henry John Woodcock e dei suoi segugi. Gli inquirenti non devono aver creduto alla genuinità della retromarcia e lo hanno iscritto per favoreggiamento.Resta nei guai pure l'aspirante lobbista Carlo Russo. Nell'avviso di chiusura indagini si legge che «si faceva promettere» da Romeo 100.000 euro annui «come prezzo della propria mediazione». Inoltre si faceva garantire altre somme per singole operazioni, sempre millantando conoscenze altolocate, dall'Inps a Grandi stazioni alla politica: per esempio 32.500 euro «nella prospettazione del Russo» andavano destinati ogni mese a lui (2.500) e a Tiziano Renzi (30.000) per la mediazione nei confronti di Marroni, per ottenere vantaggi nelle gare Consip. Ma per la Procura Russo sarebbe solo un fanfarone, sebbene lo stesso Lotti nel 2015 garantì per lui con il governatore della Puglia Michele Emiliano, a nome proprio e di Maria Elena Boschi: «Lo conosciamo (…) Ha un buon giro ed è inserito nel mondo della farmaceutica. Se lo incontri per 10 minuti non perdi il tuo tempo». In tutto questo Russo, al contrario di Marroni, con i pm non ha fatto chiamate di correo e così dentro al Giglio magico qualcuno in futuro potrebbe costruirgli un monumento. Intanto rischia un processo per millantato credito (da 2 a 6 anni di carcere), anziché per traffico di influenze illecite, reato di cui era accusato inizialmente (pene da 1 a 3 anni).Dunque accettando di accollarsi tutte le responsabilità si è preso un bel rischio. Come ha fatto un altro ex collaboratore e coindagato di Renzi senior, Mariano Massone, che senza mai rilasciare dichiarazioni ha patteggiato presso il Tribunale di Genova una pena di 26 mesi per bancarotta. Nell'avviso di chiusura indagini, tra i sette indagati, chi sembra avere i problemi più seri è il maggiore Gianpaolo Scafarto, il carabiniere del Noe sospettato di aver imbrogliato le carte pur di incastrare Tiziano Renzi. È accusato dagli inquirenti di falsità ideologica (da 3 a 10 anni di detenzione), rivelazione di segreto (da 6 mesi a 3 anni) e di depistaggio (da 3 a 8 anni), insieme con il suo ex superiore, il colonnello Alessandro Sessa. Scafarto in questi mesi ha subìto 8 interrogatori, 2 perquisizioni e gli sono stati sequestrati 4 cellulari e un computer. Nell'inchiesta di Roma l'uomo nero pare essere diventato lui. Infatti del procedimento originario istruito a Napoli per presunti reati contro la pubblica amministrazione rimane poco: per 8 indagati (tra cui l'ex parlamentare Italo Bocchino e l'ex presidente di Consip Domenico Casalino) è stata chiesta l'archiviazione, il manager Marco Gasparri ha patteggiato e a processo è finito solo il suo presunto corruttore, l'avvocato Romeo. Giacomo Amadori<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/lotti-e-del-sette-processo-in-vista-per-le-spifferate-sul-caso-consip-2616312003.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="i-pm-dopo-aver-sentito-la-versione-di-renzi-padre-totale-inaffidabilita" data-post-id="2616312003" data-published-at="1765744114" data-use-pagination="False"> I pm dopo aver sentito la versione di Renzi padre: «Totale inaffidabilità» La Procura di Roma ha chiesto l'archiviazione per Tiziano Renzi perché non avrebbe millantato conoscenze e raccomandazioni per spillare quattrini all'imprenditore Alfredo Romeo, ma, nel contempo, ha evidenziato «la sua inverosimile ricostruzione dei fatti e della natura dei rapporti» con l'aspirante lobbista Carlo Russo. L'immagine che esce dall'inchiesta Consip del padre dell'ex premier è davvero ammaccata. Anzi macchiata. Per dirla con le parole dello stesso Romeo: «È un chiacchierone eh (…) è logorroico proprio, si è presentato con un bermuda, con una polo tutta sbavata». Sì, perché per i magistrati il famoso incontro tra Romeo e Tiziano Renzi, sempre negato dai diretti interessati, potrebbe essere avvenuto. Come aveva rivelato l'ex tesoriere del Pd campano Alfredo Mazzei in un'intervista alla Verità. La presunta cena romana tra il babbo, Russo e Romeo, secondo i magistrati potrebbe essere avvenuta in una rosa di 9 date (comprese tra 1 aprile e 3 novembre 2015), quando i cellulari dei tre personaggi agganciarono contemporaneamente le stesse celle telefoniche. I tre potrebbero essersi visti anche il 16 luglio 2015 in zona via Pier Capponi a Firenze. In quei mesi, nella stessa strada, Renzi senior incontrava l'imprenditore Luigi Dagostino, per il quale faceva il piccolo lobbista, ottenendo in cambio una consulenza da quasi 200.000 euro, secondo la Procura di Firenze per un'operazione inesistente. Nei medesimi giorni avrebbe visto anche Romeo, che voleva essere riabilitato agli occhi di Matteo Renzi, dopo aver finanziato con 60.000 euro l'ex Rottamatore ed essere stato assolto in un'inchiesta per corruzione. «Le risultanze acquisite consentono di stabilire, al più, un probabile incontro Renzi-Romeo in tempi assai precedenti rispetto all'estate 2016 cioè quando Russo e Romeo iniziano a pianificare il loro progetto (…) A prescindere dall'effettività di tale incontro deve censurarsi la totale inattendibilità delle dichiarazioni rese a questo ufficio da Tiziano Renzi», sanciscono i magistrati. Per le toghe «non vi è dubbio» che tra il babbo e Carlo Russo «vi sia una stretta relazione personale e che gli stessi si frequentino (…)», ma i due non avrebbero condiviso il piano di Russo che chiese a Romeo 100.000 euro all'anno per sé e altri 32.500 ogni mese per sé e Tiziano. Renzi senior nel 2017 ha dichiarato agli inquirenti di aver condiviso con Russo sia «esperienze lavorative» che alcuni viaggi, come i pellegrinaggi di gruppo a Medjugorje, e di «aver instaurato un rapporto tale da aver fatto il padrino di battesimo del figlio» ma ha escluso di aver “parlato mai con lui di Consip" né di aver “spinto per lui su Consip"». Qui i magistrati si spazientiscono: «Queste ultime affermazioni non paiono punto credibili, confrontate con quanto dichiarato da Luigi Marroni in modo dettagliato, con alcuni puntuali riscontri su luoghi e tempi degli incontri avuti con Tiziano Renzi, considerando poi che tale teste non aveva interesse ad affermare il falso, ricostruendo circostanze che semmai potevano metterlo in difficoltà». In effetti Renzi senior, per perorare la causa di Russo, aveva incontrato Marroni a ottobre 2015 e nella primavera 2016. «È un amico, se l'ascolti mi fa piacere, se puoi dargli una mano», gli dice la prima volta. «Luigi avrei bisogno che te incontri di nuovo Russo, c'ha dei bei progetti, è un bravo figliolo, ci sono affezionato», insiste la seconda. Però, «si sarebbe trattato in base a quanto riferito da Marroni di una generica raccomandazione che non avrebbe avuto alcun esito». A onor del vero il 17 novembre 2015 l'amministratore delegato vede Romeo «ma l'incontro», sottolineano gli inquirenti, «non è stato procurato da Russo». L'ad di Consip, a partire da primavera 2016, non avrebbe avuto altri abboccamenti con Tiziano Renzi. Occorre rammentare che dal giugno di quell'anno, nell'ambito del Giglio magico, inizia a circolare la notizia dell'inchiesta e delle intercettazioni. A inizio autunno Tiziano è spaventato per le indagini e lo riferisce a chi gli sta intorno. Ha paura di essere intercettato. A settembre gli investigatori annotano due incontri con Russo organizzati con modalità un po' carbonare. Il 28 ottobre Marroni fa annullare un appuntamento con Russo e questi «accoglie la notizia con rassegnazione», nonostante sia in compagnia di Tiziano Renzi. Per i pm, però, il mancato intervento dell'illustre genitore non è motivato dal timore per l'inchiesta in corso, ma è un punto a favore dell'indagato: «È ragionevole ritenere» che il babbo «non fosse a conoscenza delle operazioni di avvicinamento di Marroni che Russo intendeva realizzare» per favorire Romeo.
iStock
L’allarme sul nuovo capitolo - quello che riguarda le bottiglie da spumante o da vini da invecchiare e l’olio extravergine d’oliva (che teme come la peste la luce del sole) - è stato lanciato dal presidente del Coreve, il consorzio italiano per il riciclo del vetro che detiene il record europeo, con l’81% di vetro «circolare», pari a 2,1 milioni di tonnellate nel 2024 (ben sei punti sopra le quote massime richieste da Bruxelles). Che dice: vogliono cancellare le bottiglie scure per il Prosecco. Spiega il presidente Gianni Scotti che tutto nasce dall’idea di Germania e Danimarca d’imporre in Ue solo le bottiglie da birra. S’attaccano al fatto che i lettori ottici, quando devono selezionare una bottiglia scura, la scambiano per ceramica e non la mandano alla fusione, abbassando il tetto delle quantità riciclate. «Abbiamo dimostrato», spiega Scotti, che le nostre macchine arrivano a scartare meno dell’1% del vetro. Speriamo di convincere l’Europa che le indicazioni che vengono da loro sono obsolete». E anche Assovetro, il cui presidente è Marco Ravasi e che usa il rottame di vetro, si dice preoccupata per la piega che sta prendendo Bruxelless. La speranza è l’ultima dea, ma la concorrenza interna all’Ue può molto di più. Gli attacchi al vino da parte dei Paesi del Nord, che lamentano il fatto che sulla birra c’è una (minima) accisa e sul vino no, si ripetono a ondate. Prima l’Irlanda ha imposto le etichette con scritto «il vino fa male», violando i trattati, ma Ursula von der Leyen ha dato loro ragione; poi la Commissione ha approvato il Beca (documento anti cancro che deve passare dall’Eurocamera) per ipertassare il vino, restringerne la vendita e abolirne la promozione; ora si passa dal vetro. Tutto a danno dei Paesi mediterranei, ignorando che in premessa, nel regolamento sugli imballaggi, c’è scritto: «Imballaggi appropriati sono indispensabili per proteggere i prodotti».
Senza bottiglie scure non si può fare la rifermentazione in bottiglia. Solo Cristal in Champagne usa bottiglie bianche, ma tenute al buio. Lo stesso vale per il metodo classico italiano (sempre di rifermentazione in bottiglia si parla), ma anche per gli spumanti fatti in autoclave (il Prosecco appunto). Per avere un’idea, s’imbottigliano 300 milioni di Champagne, gli italiani tappano un miliardo di bottiglie, gli spagnoli 250 milioni. Va bene solo ai tedeschi che fanno tante bollicine ma così leggere che, comunque, non passerebbero l’anno e dunque non hanno bisogno di protezione dal sole, né di contenere le pressioni di rifermentazione. Il caso dei vetri confermerà invece agli inglesi che la Brexit è stata una mano santa. Sono i più forti consumatori di spumanti al mondo, ma sono anche coloro i quali li hanno resi possibile e ora ne producono di ottimi (ad esempio Bolney).
Il metodo di rifermentazione fu codificato da due marchigiani: Andrea Bacci (De naturalis vinorum historia del 1599) e Francesco Scacchi (1622, De Salubri potu dissertatio) mettono a punto la tecnica, tant’è che si potrebbe parale di un metodo Scacchi. Dom Pierre Pérignon arriva sessant’anni dopo. Ma i due italiani hanno un limite: le bottiglie di vetro soffiato scoppiano. In rifermentazione si arriva fino a 6 atmosfere di pressione. Però nel 1652 sir Kelem Digby cambiò tutto. Giorgio I aveva impedito di tagliare alberi per alimentare i forni vetrai, cosi Digby usò il carbone. Questo gli consentì di alzare le fusioni e mescolare carbonio alla pasta vitrea: nacque l’iper-resistente «English Bottle». Gli inglesi, primi clienti dei vini francesi, fecero con il vetro la fortuna dello Champagne. E questo spiega perché le bottiglie sono pesanti e scure (fino a 9 etti per il metodo classico, 700 grammi quelle da Prosecco, mezzo chilo quelle da vino, anche se l’italiana Verallia ha prodotto la Borgne Aire di soli tre etti). Ma l’Europa non lo sa o fa finta. Perché attraverso le bottiglie (produrre un chilo di vetro vergine vale 500 grammi di CO2, ma nel 2024 l’Italia col riciclo ha risparmiato quasi 1 milione di tonnellate di anidride carbonica, 358.000 tonnellate di petrolio e 3,8 milioni tonnellate di materiali) ha capito che può frenare la crescita di alcuni Paesi. Solo che ora dovranno spiegarlo ai vigneron francesi, che da mesi protestano e hanno già estirpato 12.000 ettari di vigna. Ci sta che a Bruxelles dalle cantine arrivi un messaggio in bottiglia: o lasciate perdere, o i trattori che il 18 stanno per circondare palazzo Berlaymont sono solo un aperitivo.
Continua a leggereRiduci
Maurizio Gasparri (Ansa)
Sono le 20.30, Andrea finisce il suo turno e sale negli spogliatoi, al piano superiore, per cambiarsi. Scendendo dalle scale si trova davanti ad un uomo armato che, forse in preda al panico, apre il fuoco. La pallottola gli buca la testa, da parte a parte, ma invece di ucciderlo lo manda in coma per mesi, riducendolo a un vegetale. La sua vita e quella dei suoi genitori si ferma quel giorno.
Lo Stato si dimentica di loro. Le indagini si concludono con un nulla di fatto. Non solo non hanno mai trovato chi ha sparato ma neppure il proiettile e la pistola da dove è partito il colpo. Questo perché in quel supermercato le telecamere non erano in funzione. Nel 2018 archiviano il caso. E rinvio dopo rinvio non è ancora stato riconosciuto alla famiglia alcun risarcimento in sede civile. Oggi Andrea ha 35 anni e forse neppure lo sa, ha bisogno di tutto, è immobile, si nutre con un sondino, passa le sue giornate tra il letto e la carrozzina. Per assisterlo, al mattino, la famiglia paga due persone. Hanno dovuto installare un ascensore in casa. E ricevono solo un indennizzo Inail che appena gli consente di provvedere alle cure.
Il senatore di Forza Italia, Maurizio Gasparri, membro della commissione Giustizia del Senato, è sconcertato: «Sono profondamente indignato per quanto accaduto a questa famiglia, Andrea e i suoi genitori meritano la giustizia che fino ad oggi gli è stata negata da lungaggini e burocrazia. Non si capisce il motivo di così tanti rinvii. Almeno si giunga a una sentenza e che Andrea abbia il risarcimento che merita dall’assicurazione. Anche il datore di lavoro ha le sue responsabilità e non possono non essere riconosciute dai giudici».
Il collega senatore di Forza Italia, nonché avvocato, Pierantonio Zanettin, anche lui membro della stessa commissione, propone «che lo Stato si faccia carico di un provvedimento ad hoc di solidarietà se la causa venisse persa. È patologico che ci siano tutti questi rinvii. Bisognerebbe capire cosa c’è sotto. Ci devono spiegare le ragioni. Comunque io mi metto a disposizione della famiglia e del legale. La giustizia ha l’obbligo di rispondere».
Ogni volta l’inizio del processo si sposta di sei mesi in sei mesi, quando va bene. L’ultima beffa qualche giorno fa quando la Corte d’Appello calendarizza un altro rinvio. L’avvocato della famiglia, Matteo Mion, non sa darsi una ragione: «Il motivo formale di tutti questi rinvii è il carico di lavoro che hanno nei tribunali, ma io credo più nell’inefficienza che nei complotti. In primo grado era il tribunale di Padova, adesso siamo in Corte di Appello a Venezia. Senza spiegazioni arriva una pec che ci informa dell’ennesimo rinvio. Ormai non li conto più. L’ultima volta il 4 dicembre, rinviati all’11 giugno 2026. La situazione è ingessata, non puoi che prenderne atto e masticare amaro».
In primo grado, il giudice Roberto Beghini, prova addirittura a negare che Andrea avesse diritto a un indennizzo Inail, sostenendo che quello non fosse un infortunio sul lavoro. Poi sentenzia che non c’è alcuna connessione, nemmeno indiretta, tra quanto successo ad Andrea e l’attività lavorativa che stava svolgendo, in quanto aveva già timbrato il cartellino, era quindi fuori dall’orario di lavoro, non era stata sottratta merce dal supermercato, né il ragazzo era stato rapinato personalmente. Per lui non è stata una rapina finita male. Nessuna merce sottratta, nessuna rapina. Il giudice Beghini insinua addirittura che potrebbe essere stato un regolamento di conti. Solo congetture, nessuna prova, nulla che possa far sospettare che qualcuno volesse fare del male al ragazzo. Giusto giovedì sera, alle 19.30, in un altro Prix market, stavolta a Bagnoli di Sopra (Padova), due banditi hanno messo a segno una rapina armati di pistola. Anche stavolta non c’erano le telecamere. Ed è il quarto colpo in nove giorni.
Ciò che è certo in questa storia è che il crimine è avvenuto all’interno del posto di lavoro dove Andrea era assunto, le telecamere erano spente e chi ha sparato è entrato dal retro dell’edificio attraverso un ingresso lasciato aperto. In un Paese normale i titolari del Prix, se non delle colpe dirette, avrebbero senz’altro delle responsabilità. «L’aspetto principale è l’assenza di misure di sicurezza del supermercato», conclude Mion, «che avrebbero tutelato il personale e che avrebbero consentito con buona probabilità di sapere chi ha sparato. C’è una responsabilità della sentenza primo grado, a mio avviso molto modesta».
Per il deputato di Forza Italia, Enrico Costa, ex viceministro della Giustizia e oggi membro della commissione Giustizia della Camera, «ancora una volta giustizia non è fatta. Il responsabile di quell’atto non è stato trovato, abbiamo un ragazzo con una lesione permanente e una famiglia disperata alla quale è cambiata la vita da un momento all’altro. È loro diritto avere un risarcimento e ottenere giustizia».
L’assicurazione della Prix Quality Spa, tace e si rifiuta di pagare. Sapete quanto hanno offerto ad Andrea? Cinquantamila euro. Ecco quanto vale la vita di un ragazzo.
Continua a leggereRiduci
Beppe Sala (Ansa)
«Il Comune di Milano ha premiato la Cgil con l’Ambrogino, la più importante benemerenza civica. Quello che vorremmo capire è perché lo stesso riconoscimento non sia stato assegnato anche alla Cisl. O alla Uil. Insomma, a tutto il movimento sindacale confederale», afferma Abimelech. Il segretario della Cisl richiama il peso organizzativo del sindacato sul territorio e il ruolo svolto nei luoghi di lavoro e nei servizi ai cittadini: «È una risposta che dobbiamo ai nostri 185.000 iscritti, ai delegati e alle delegate che si impegnano quotidianamente nelle aziende e negli uffici pubblici, alle tantissime persone che si rivolgono ai nostri sportelli diffusi in tutta l’area metropolitana per chiedere di essere tutelate e assistite».
Nel merito delle motivazioni che hanno accompagnato il riconoscimento alla Cgil, Abimelech solleva una serie di interrogativi sul mancato coinvolgimento delle altre sigle confederali. «Abbiamo letto le motivazioni del premio alla Cgil e allora ci chiediamo: la Cisl non è un presidio democratico e di sostegno a lavoratori e lavoratrici? Non è interlocutrice cruciale per istituzioni e imprese, impegnata nel tutelare qualità del lavoro, salute pubblica e futuro del territorio?», dichiara.
Il segretario generale elenca le attività svolte dal sindacato sul piano dei servizi e della rappresentanza: «Non offre servizi essenziali, dai Caf al Patronato, agli sportelli legali? Non promuove modelli di sviluppo equi, sostenibili e inclusivi? Non è vitale il suo ruolo nel dibattito sulle dinamiche della politica economica e industriale?».
Nella dichiarazione trova spazio anche il recente trasferimento della sede della sigla milanese. «In queste settimane la Cisl ha lasciato la sua “casa” storica di via Tadino 23, inaugurata nel 1961 dall’arcivescovo Giovanni Battisti Montini, il futuro Papa Paolo VI, per trasferirsi in una più grande e funzionale in via Valassina 22», ricorda Abimelech, sottolineando le ragioni dell’operazione: «Lo ha fatto proprio per migliorare il suo ruolo di servizio e tutela per i cittadini e gli iscritti».
La presa di posizione si chiude con un interrogativo rivolto direttamente all’amministrazione comunale: «Dobbiamo pensare che per il Comune di Milano ci siano sindacati di serie A e di serie B? Dobbiamo pensare che per il Comune di Milano ci siano sindacati amici e nemici?». Al sindaco Sala non resta che conferire con Abimelech e metterlo a parte delle risposte ai suoi interrogativi.
Continua a leggereRiduci