2020-11-04
Loro ci massacrano noi rispondiamo coi gattini sui social
Follia Web: foto della strage coperte da quelle di felini. Resta l'autobavaglio sul terrorismo islamico. E Paolo Gentiloni dà l'esempio.Loro ci ammazzano, noi pubblichiamo i gattini sui social network. Lunedì sera, mentre un gruppo di jihadisti in assetto da guerra spargeva panico e morte per le strade di Vienna, le forze dell'ordine austriache hanno invitato - al fine di non creare ulteriore caos - a non diffondere immagini e video dell'attacco tramite Internet. La richiesta, in sé, non era stupida: in un momento di crisi meglio evitare il diluvio di opinioni e informazioni, magari sbagliate. Ed ecco che, in un lampo, la Rete e Twitter in particolare hanno cominciato a riempirsi di foto di gattini corredate da frasi sull'attentato, come già accadde nel 2017 dopo la strage di Barcellona. Nemmeno di fronte all'ennesimo massacro gli internauti sono riusciti a tenere a freno il narcisismo. Hanno dovuto «esprimersi», proferire qualche banalità e - convinti di dare un contributo alla causa - si sono limitati a sostituire le immagini già disponibili dello scempio con qualche tenero cucciolo. Così il fiume dei commenti inutili non si è arrestato, l'attenzione mediatica è rimasta comunque alta, e la violenza dell'assalto è stata depotenziata, è scolorata nell'ennesima ondata d'emozione destinata a schiumare nel giro di poche ore. Loro ci ammazzano, noi pubblichiamo i gattini. In fondo non c'è descrizione più efficace e sintetica dell'atteggiamento europeo nei confronti della guerra scatenata dall'islam salafita. Da una parte la vocazione alla morte, il fanatismo che rende disponibili a uccidere ed essere uccisi. Dall'altro la scomposta mollezza di chi osserva la tragedia da uno schermo, senza rendersi conto di essere parte in causa, senza il coraggio di guardare negli occhi il nemico. I politici e i capi di Stato europei - con pochissime eccezioni - non hanno reagito esponendo gattini pelosi. Però hanno miagolato, atteggiandosi a cuccioli loro stessi. «La vita e la libertà vinceranno. Contro ogni fanatismo», ha scritto il sempre vigile Enrico Letta. Difficile risultare più vaghi. Del resto questi sono i valori a cui s'appiglia la classe dirigente: il generico «stile di vita» occidentale, l'altrettanto generica «libertà» che - come sanno bene gli italiani - può essere in qualunque momento revocata. Di ciò si compone la nostra evanescente identità. C'è pure chi ha osato di più, intendiamoci, ma con l'unico risultato di apparire ancora più ridicolo. «Ferma condanna dell'attentato che questa sera ha colpito la città di Vienna. Non c'è spazio per l'odio e la violenza nella nostra casa comune europea», cinguetta Giuseppe Conte. «L'Europa offre piena solidarietà all'Austria», fa eco Ursula Von Der Leyen. «Siamo più forti dell'odio e del terrore». A scendere, ecco Laura Boldrini: «Ci stringiamo a tutto il popolo austriaco. Il terrorismo è un male che va estirpato. L'Europa sia unita in questo obiettivo». Non uno che abbia pronunciato il fatidico aggettivo: islamico. Non uno che abbia saputo descrivere le fattezze degli assassini: si sono limitati a evocare un generico e orwelliano «nemico». L'unica ad aver citato l'islam in maniera piuttosto diretta è stata Angela Merkel: «Noi tedeschi siamo solidali con i nostri amici austriaci», ha dichiarato. «Il terrorismo islamico è il nostro nemico comune. La nostra lotta comune è combattere questi assassini e i loro sostenitori». Parole giuste, e anche coraggiose. Peccato che arrivino dalla donna che - per proteggere i propri interessi - ha spinto l'Ue a firmare un accordo capestro con il sultano Erdogan sull'immigrazione. La donna che ha spalancato le porte ai migranti, anni fa, convinta di poterne sfruttare il potenziale produttivo. La donna che, nel 2018 - mentre le associazioni islamiche turche rifiutavano di prendere le distanze dai terroristi - dichiarava: «L'islam è parte della Germania». Ora, forse perché a fine carriera, ha cambiato tono. Ma a quale prezzo... Persino il cancelliere austriaco, Sebastian Kurz, ha scelto di mantenersi politicamente corretto: «Non è un conflitto tra cristiani e musulmani, né fra Austria e migranti. Ma fra civiltà e barbarie», ha detto. Suggestivo distinguo, ed è senz'altro vero che non tutto l'islam è in guerra contro di noi. Resta che ad aver paura di avvicinarsi ai luoghi di culto devono essere ebrei e cristiani, non i fedeli islamici. Resta che gli assassini gridano «Allah Akbar», non «viva la barbarie». Fa bene papa Francesco (il quale nei giorni scorsi si è dimenticato dei cristiani martirizzati in Francia) a ribadire che «solo l'amore spegne l'odio». Il nostro però non è amore: è afasia. È lo spaesamento di chi è fuori dalla realtà. Come Paolo Gentiloni, che twitta deciso: «Un pensiero alle vittime e al popolo austriaco. E una certezza: l'Europa risponderà più forte e unita che mai. Non passeranno». Peccato che siano già passati. Anche dall'Italia, fra l'altro, e a ripetizione. Solo una volta l'Europa unita seppe fermare i soldati musulmani: era il 1683, e a riunire le armate cristiane fu il dimenticato frate cappuccino Marco D'Aviano, che prima della battaglia decisiva pregò il «Dio degli eserciti» di preservare il suolo europeo «dai piedi di questi cani». Tirò in ballo i cani, sì, ma di gattini neanche l'ombra.