2022-04-01
«Più che hub mediterraneo del gas l'Italia può diventare un mercato rilevante per tutta Europa»
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Parla l’avvocato Lorenzo Parola, esperto del settore energia: «La richiesta di pagare il gas in rubli mi sembra più una boutade di Putin. Economicamente sarebbe un'azione suicida. Temo che sul breve periodo, probabilmente, qualche intervento sulla domanda sia necessario, perché oggi non stiamo riuscendo a riempire gli stoccaggi per il prossimo inverno». La guerra in Ucraina ha riportato il tema energetico al centro di tutto. Nel solo mese di marzo la crisi tra Mosca e Kiev, con immediati effetti su tutta Europa, ha provocato in Italia un’impennata dei prezzi delle materie prime con una proiezione del +6,7% su base annua e il costo dell’energia schizzato su del 53%. Sono giornate di grande incertezza con l’Occidente a caccia di fonti alternative per affrancarsi dalla fornitura del gas russo e Vladimir Putin che un giorno minaccia di farsi pagare il metano in rubli e quello dopo di chiudere addirittura i rubinetti in direzione Europa. Una situazione delicata e non facile da comprendere, soprattutto per le famiglie che hanno a che fare con importanti aumenti in bolletta e per le imprese che rischiano di trovarsi di fronte a un fornitore inadempiente. Per provare ad avere un quadro più chiaro, specie dal punto di vista giuridico, abbiamo contattato l’avvocato Lorenzo Parola dello studio legale Herbert Smith Freehills, uno dei maggiori esperti di diritto dell’energia, premiato per quattro volte con il riconoscimento «Avvocato dell’anno Energy & Utilities». Avvocato, il conflitto ha riportato al centro la crisi energetica, lei che idea si è fatto? «I problemi dell'approvvigionamento europeo di energia partono da molto lontano, perché la scelta di essere fortemente dipendenti dal gas russo risale agli anni Ottanta, non è una scelta recente. In realtà la guerra in Ucraina ha acuito un problema che però era già esistente, perché i prezzi dell’energia sono schizzati alle stelle in Italia e in Europa già prima della guerra, in particolare da settembre dello scorso anno». Come mai? «Si è verificato un combinato disposto di eventi che hanno a che fare con la ripresa economica, in particolare in Cina e nei Paesi dell’Estremo Oriente, a seguito del Covid. Una riduzione dei flussi di gas dalla Russia, una serie di condizioni meteorologiche sfortunate come scarse precipitazioni per gli impianti idroelettrici o una scarsa ventosità nel Mare del Nord, tutti questi fattori insieme avevano portato dei prezzi fuori controllo già da settembre». Putin ha chiesto il pagamento del gas in rubli. È una minaccia reale? Può farlo? «Innanzitutto sembrerebbe che questa richiesta sia rientrata. Io penso che sia più una boutade. Ma per ragione tecniche, perché si dice che al momento serva porre in essere degli accorgimenti tecnici prima di poter richiedere ai propri acquirenti il pagamento in rubli». Dal punto di vista giuridico cosa significa? «I contratti cosiddetti “take or pay” con cui è obbligatorio pagare il gas alla Russia, indipendentemente da quelli che sono i profili di prelievo, che sono i contratti di lunghissima durata stipulati da vari operatori italiani, come per esempio Eni, prevedono obbligatoriamente il pagamento in euro o in dollari, quindi non si può pensare con un’entrata a gamba tesa di cambiare questi contratti». E se qualcuno lo facesse? «Si esporrebbe al rischio di un’azione risarcitoria in sede arbitrale, perché quello che succederebbe, se effettivamente il fornitore rifiutasse il pagamento in euro o in dollari e quindi sospendesse la fornitura, sarebbe l'apertura verso una strada per un risarcimento dei danni di fronte ai sensi delle clausole arbitrali previste da questi contratti. Si è come creato un equilibrio del terrore». In che senso? «Abbiamo più bisogno noi del gas di Putin o ha più bisogno Putin che gli finanziamo la guerra. Già questa domanda pone un tema etico, perché è un po’ lo stesso dilemma che ci si poneva con i “blood diamond” qualche anno fa, perché noi acquistando gas siamo in difficoltà a sentirci eticamente corretti, visto che sappiamo che la prima fonte del bilancio russo sono i pagamenti per l’import di gas con cui viene finanziata la guerra. Anzi, c’è un messaggio particolarmente negativo». Quale? «Dopo che è stata dichiarata la guerra i prezzi del gas sono ancora saliti ulteriormente, come a dire: “Se fai la guerra ti pago di più il gas”. Ed è un messaggio eticamente molto più sbagliato». Pensa che Putin arriverà in fondo nella richiesta di essere pagato in rubli? «Sembrerebbe di no, anche perché si farebbe del male da solo, sarebbe un’azione di seppuku, quell’antico rituale suicida dei samurai. Economicamente non gli converrebbe». Perché? «Io non sono così convinto che sia una mossa giusta per la Russia da un punto di vista economico e per gas exports obbligarci al pagamento in rubli. Magari ci fanno fare addirittura un buon affare, perché pagare in una valuta che sta decrescendo di valore sembrerebbe quasi fare un dispetto a se stessi. Non ci dimentichiamo poi che gas exports utilizza in buona parte la valuta pregiata che riceve in dollari e in euro per pagare i propri debiti e le proprie forniture. Nel momento in cui il pagamento avvenisse in rubli, questa fonte di cassa in valuta pregiata verrebbe meno». E se invece fosse direttamente Putin a decidere di tagliare il gas? «Questo sarebbe il caso estremo. Dal momento in cui Putin considera noi inadempienti all’obbligo del pagamento del gas in rubli, la reazione contrattuale potrebbe essere la sospensione della fornitura. Però in realtà il problema da un punto di vista giuridico è a monte». Ovvero? «Puoi tu, mia controparte, legittimamente cambiare le carte in tavola e prevedere che un obbligo contrattuale, che sia il pagamento in dollari e in euro, sia convertito in rubli? È illegittima l’azione a monte, così come illegittima sarebbe una sospensione della fornitura». In caso di disputa cosa accadrebbe? «Teniamo presente che questi sono contratti internazionali regolati non dalla legge russa, ma da leggi neutrali e in caso di dispute non è che si va a litigare davanti al tribunale russo, ma di fronte a dei tribunali arbitrali costituiti a Stoccolma, Ginevra e così via, e quindi da questo punto di vista il rischio poi sarebbe quello di una condanna al pagamento di danni, e una volta che gas exports fosse condannata, gli acquirenti europei potrebbero richiedere l’esecuzione di questo lodo arbitrale». Le imprese italiane possono stare tranquille quindi? «Da un punto di vista legale sì, ma il problema è politico, perché poi comunque gli arbitrati hanno i loro tempi. È chiaro che se effettivamente a Putin non interessa il problema reputazionale e nemmeno le cause per danni che rischia di subire, un problema lo avremmo. È il rischio controparte: il problema non è solo avere delle tutele giuridiche nel caso in cui la controparte sia inadempiente, ma essere sicuri che sia affidabile e devo dire che, da questo punto di vista, la controparte russa non si è dimostrata particolarmente affidabile». Da un punto di vista invece pratico, al di là di azioni legali, come potremmo noi europei tutelarci? «Sicuramente attraverso l’incremento dell’utilizzo di terminali di gnl (gas naturale liquefatto, ndr) e delle forniture via tubo alternative dalla Norvegia, dall’Azerbaigian attraverso il Tap, dall’Algeria, dalla Libia, dagli Stati Uniti e così via. Così probabilmente riusciremmo a superare l’inverno senza grossi problemi, poi però si pone un problema più pesante». Quale? «Quello di riuscire a riempire gli stoccaggi in primavera e mettere fieno in cascina per l’inverno successivo. E senza la fornitura russa è ben difficile che si possa arrivare a un livello di riempimento tale da renderci sereni». C’è il rischio razionamento?«Se nel brevissimo periodo siamo tranquilli, nel medio lo siamo già molto meno con uno scenario non così tranquillizzante, e a quel punto è facile aspettarsi, e sarebbe inevitabile, un intervento sulla domanda e non solo sull’offerta». Cosa significa per le famiglie e le imprese? «Una riduzione della domanda termoelettrica, quindi, che ci piaccia o no, dovremmo massimizzare la produzione di energia elettrica non solo da gas, ma anche per esempio da carbone, purtroppo, perché tutti sappiamo qual è l’impatto del carbone in termini di CO2. E poi dovremmo intervenire anche sulla domanda industriale, quindi è facile che alcune nostre aziende si vedano interrotte le forniture e poi probabilmente in ultima istanza anche un intervento sulle utenze non solo termoelettriche industriali, ma anche civili. È possibile per esempio che il prossimo anno ci venga chiesto di ridurre di un grado la temperatura nelle nostre case». E nel lungo periodo? «Gli scenari potrebbero essere un po’ più rassicuranti perché è chiaro che con un incremento delle fonti rinnovabili, con una maggiore diversificazione del mix di importazione, probabilmente nel giro di qualche anno riusciremmo a renderci indipendenti dalla Russia, ma non sicuramente nel giro di qualche mese». Ridurre di due terzi la dipendenza dalla Russia entro la fine di quest’anno è quindi un obiettivo reale?«Sarà complesso e potrebbe non passare, ahimé, solo da una diversificazione delle fonti ma potrebbe andare a richiedere un intervento sulla domanda termoelettrica industriale e magari anche residenziale. Non ci dimentichiamo comunque che la fonte di energia più importante che abbiamo è il risparmio e l'efficienza energetica».Il governo italiano si sta muovendo in maniera opportuna? «Secondo me sì, perché c’è una dimensione europea. Il problema non è solo italiano, c’è chi sta messo peggio di noi, pensiamo all’Austria o alla Germania che sono molto più dipendenti di noi dal gas russo. È molto importante che ci sia un allineamento europeo e mi sembra che si stia andando in questa direzione. Per quello che specificamente invece si può fare nel breve termine in Italia mi sembra che il governo Draghi si stia muovendo nella direzione giusta attraverso lo sbottigliamento delle autorizzazioni delle rinnovabili, attraverso il riavvio di progetti di rigassificazione e attraverso il rafforzamento di rapporti con quei Paesi come Qatar, Algeria e Congo, che ci possono fornire del gas alternativo». Per quanto riguarda la fornitura promessa dagli Stati Uniti, che ne pensa? «L’acquisto di gnl dagli Stati Uniti non avviene da un governo ma dalla parte di liberi imprenditori che ovviamente saranno incentivati a venderci il loro gnl solo a condizione che glielo paghiamo al prezzo di mercato. Quindi queste affermazioni che abbiamo sentito da Biden per cui si cercherà di attuare un incremento di 15 miliardi all’anno degli export dagli Stati Uniti all’Europa hanno comunque degli interrogativi». Quali? «Primo, a che prezzo avverranno? Secondo, da dove si tirano fuori questi 15 miliardi aggiuntivi? È vero che ci sono degli impianti in corso di realizzazione, però non dobbiamo dimenticare una cosa, che la catena del gnl oltre che a limitazioni tecniche che stanno a monte, di capacità di liquefazione, è soggetta anche a limitazioni tecniche a valle. Noi dobbiamo poterlo ricevere questo gnl e in Europa l’unico Paese che ha capacità sovrabbondante è la Spagna. Il problema è che la Spagna non è sufficientemente collegata al resto d’Europa per immettere nelle reti europee questo gnl. Il sistema europeo è sempre stato un sistema pensato per portare il gas da Est a Ovest e mai viceversa, e quindi una volta che questo gas venisse rigassificato in Spagna, ci sarebbero dei colli di bottiglia tra la Spagna e la Francia per far fluire questo gas nei gasdotti europei. Ci sono una serie di progetti di rigassificazione nuovi in Europa, in particolare la Germania pare che abbia contrattualizzato due unità galleggianti di rigassificazione, l’Italia pare che con Snam si stia muovendo giustamente e opportunamente in questa stessa direzione, però ci vuole un po’ di tempo». Può aprirsi un’opportunità per l’Italia di diventare un hub europeo di gas? «Sicuramente ci sono dei progetti interessanti in Italia. Pensiamo a quei progetti di rigassificazione che avevano trovato una serie di ostacoli autorizzativi qualche anno fa, progetti molto promettenti come per esempio quello di Gioia Tauro che è di proprietà del gruppo Iren e Sorgenia, ci sono una serie di progetti anche via tubo interessanti, come il raddoppio della capacità del Tap che potrebbe passare da 10 bcm a 20 bcm, e così via. E poi soprattutto, il gasdotto Eastmed per portare il gas prodotto nella parte più orientale del Mediterraneo in Italia. Questa serie di progetti, che erano stati poco opportunamente accantonati per forze politiche contrarie, potrebbero trovare una nuova vita o un’accelerazione. In quel caso si rafforzerebbe la posizione dell’Italia come hub mediterraneo del gas». E sull’opportunità di estrarre il gas direttamente dai nostri pozzi? «In Italia il gas c’è, anche se non in abbondanza, ma c’è. La coltivazione di giacimenti italiani è stata sottovalutata o ostacolata per tanti anni. Probabilmente, oltre a questi vecchi e nuovi progetti di import, potremmo guardare con interesse ad attività di exploration and production di gas naturale. Sarebbe molto più auspicabile avere un gas a chilometro zero o un gas che arriva via tubo da aree prossime all’Italia o comunque l’utilizzo di giacimenti nel mar Adriatico, rispetto all’import del gnl americano che è veramente poco environment friendly». E poi c’è la questione delle rinnovabili. «Esattamente. L’opportunità secondo me è nel settore delle energie rinnovabili perché in Italia oltre ad avere il gas abbiamo il sole e abbiamo il vento in determinate aree, e quindi è chiaro che uno sbottigliamento delle fonti rinnovabili aiuterebbe molto l’economia italiana, diversificherebbe maggiormente il nostro mix produttivo, e addirittura più che un hub mediterraneo del gas potremmo diventare un mercato rilevante dell’energia per tutta l’Europa». Che ne pensa del REPowerEU?«È un piano che va nella giusta direzione. Mi sembra che finalmente si stiano superando certi ideologismi di cui forse la Commissione aveva inizialmente peccato. La transizione energetica la vogliamo tutti ma deve essere una transizione energetica sostenibile non solo in termini di emissioni ma anche in termini di sostenibilità sociale, con i traguardi che devono essere raggiunti non in modo istantaneo e violento, ma attraverso una transizione energetica che sia giusta e graduale».
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