2022-12-02
Lorenzin dalla Salute all’innamoramento per i piani di Sanofi. Tutto regolare?
Beatrice Lorenzin (Imagoeconomica)
La senatrice dem, ex titolare della Salute, sponsorizza Big Pharma con un entusiasmo che stride con la sua figura.C’è chi si innamora di un uomo. Chi si innamora di una donna. Chi si innamora di un quadro. Chi si innamora di un film, di un libro, di un tramonto al mare. Beatrice Lorenzin no: lei si innamora dei progetti delle case farmaceutiche. Che ci volete fare? L’ex ministro della Salute è fatta così: quando sente parlare di vaccini si emoziona. Quando incontra un produttore di medicine le palpita il cuore. Per lei il bacio è un apostrofo rosa tra le parole Big Pharma. E così l’altro giorno ha confessato con un tweet: «Sono innamorata di Make to care», un progetto dell’azienda farmaceutica Sanofi. Per essere più chiara la senatrice Pd, attuale membro della commissione bilancio, ha esplicitato, dentro il suo tweet pieno di sentimento, anche il riferimento commerciale @sanofiIT. Pubblicità progresso. Del resto perché negare la possibilità ad altri di innamorarsi? Giuro che, colpito da tanto trasporto, sono andato a documentarmi su questo importante progetto che, secondo la Lorenzin, dovrebbe presto «trovare una piattaforma pubblica per ampliarne le possibilità». Addirittura?, mi sono chiesto. Una piattaforma pubblica a disposizione di Sanofi? E per che cosa esattamente? Dopo un’attenta ricerca ho capito che «Make to care» è un contest, ovviamente open&user, legato a Maker Faire Rome, attento alla design-driver innovation e alla med-tech innovation, dove ci sono l’enabling system, i winners, il soul e la patient innovation, oltre che il fondamentale progetto Talking Hands. Chiaro? Il contest nasce «dalla volontà di far emergere iniziative e progetti della comunità maker», qualsiasi cosa ciò significhi. Per chiarirmi meglio le idee ho cercato qualcosa scritto in italiano, ma ho trovato solo un riferimento a soldi in palio (parecchi) e qualche altra parola vaga, tipo «ecosistema». Chissà se è questo che ha fatto breccia nell’ex ministro Lorenzin: al cuor non si comanda. All’ecosistema neppure. Naturalmente abbiamo il massimo rispetto per il progetto Sanofi, anche se ne avremmo avuto anche di più se solo fossimo riusciti a capire di che si tratta. E saremmo anche favorevoli ad «aumentarne le possibilità», come vuole la senatrice Pd, purché si riducano un po’ i termini in inglese. Ciò di cui ci permettiamo di dubitare è che tutto ciò, per quanto importante, possa far addirittura «innamorare». E soprattutto che a innamorarsi sia un ex ministro della Salute, nonché parlamentare della Repubblica, la quale almeno in teoria dovrebbe avere a cuore più i destini del popolo italiano che quelli delle aziende farmaceutiche. Vederla lì, nel video da lei stesso postato, seduta nei tavoli della serata di gala, mentre parla al microfono riuscendo in un minuto a dire per tre volte che il progetto è «bellissimo, bello, bellissimo», con gli occhi a cuoricino, qualche dubbio lo fa venire. Non tanto sull’iniziativa, ovviamente. Quando nel distacco dell’ex ministro nel giudicarla. Si può essere «innamorati» del progetto di un’azienda farmaceutica? E si può rivendicare questo amore con orgoglio, tramite social? Possibile che nemmeno ci si accorga di quanto sia inopportuno, per chi si è occupato e si occupa della salute degli italiani, essere così vicini a chi sulla salute costruisce business? Chi produce farmaci non va demonizzato, è chiaro. Ma può nemmeno essere l’oggetto di un innamoramento. Anche perché, al di là dell’espressione alquanto infelice, ad essere sbagliata è l’idea stessa che tutto ciò che ruota intorno alla salute (progetti, iniziative, ricerche, università, etc) sia sostenuto da Big Pharma. In effetti: siamo sicuri che sia giusto lasciare le leve del sistema (contributi ai medici e alle Asl compresi) nelle mani chi produce farmaci? Non c’è il rischio che, costoro, legittimamente, mettano la cura dei loro bilanci davanti alla cura delle persone?Non so se la Lorenzin si sia mai fatta queste domande. L’unica volta che gliene ho parlato mi ha detto: «Sono pochi i giornalisti che indagano su questi temi», e non ho capito se era un invito a proseguire o un invito a non rompere le scatole. Beatrice era una militante dei giovani di Forza Italia nei primi anni Duemila. Tosta e aggressiva, consigliera comunale di Roma, collaboratrice del portavoce Bonaiuti per l’editoria, fermamente avversaria della sinistra. Venne eletta in Parlamento nel 2008 nelle fila del centrodestra, poi confermata nel 2013, e divenne ministro della Salute con Enrico Letta. Da quel momento in lei cambiò qualcosa. Passò con Alfano, poi con il Pd, riuscendo a conservare l’amata poltroncina anche nei governi Renzi e Gentiloni. La salute degli italiani, purtroppo, non ne ha tratto gran giovamento considerati i tagli subiti dal settore. La sua carriera invece sì. Uno dei passaggi più importanti per Beatrice Lorenzin fu la firma nel 2014 della Global Healty Security Agenda: alla Casa Bianca, alla presenza del presidente americano Barak Obama, venne siglato l’accordo che faceva dell’Italia la «capofila delle strategie vaccinali nel mondo». «Dobbiamo rafforzare i processi di vaccinazione verso tutte le persone che vivono in Europa», profetizzò l’allora ministro della Salute. Pochi anni dopo, nel 2017, approvò un decreto per imporre l’obbligo di dodici vaccini (poi ridotti a dieci) per andare a scuola. Il provvedimento fu preceduto da una campagna allarmistica su una presunta epidemia di morbillo che non c’era. Fu una specie di prova generale del Covid. Ovviamente, durante la pandemia, Beatrice Lorenzin si è più volte pronunciata a favore dell’obbligo vaccinale, giurando sulla sicurezza dei sieri e negando l’esistenza di effetti avversi. Il fatto che, mentre diceva queste cose, collaborasse con una casa farmaceutica, ovviamente non c’entra nulla. Lo sappiamo benissimo che lei era entrata nel 2021 nella giuria di Make to care della Sanofi e continua oggi a sostenere con trasporto i progetti di Big Pharma soltanto per amore. Il problema è che l’amore, come è noto, rende ciechi.
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