2021-08-24
Locatelli & c. denunciati per la morte d’una ragazza
Elisabetta Federico e Franco Locatelli (Ansa)
Maurizio Federico: «Mia figlia aveva una malattia del sangue benigna, però al Bambino Gesù hanno deciso per un trapianto di midollo anche se il sangue del donatore, tedesco, non era compatibile. Lisa è morta dopo due settimane di sofferenze. Il prof ha commentato: “Dalla Germania ci hanno fatto uno scherzetto"» Un anno fa era da poco iniziato il calvario di Elisabetta Federico, «Lisa», morta a soli 17 anni il 3 novembre del 2020 per un trapianto fatale di midollo osseo all'ospedale Bambino Gesù di Roma. Di quella dolorosa vicenda molto si è scritto, indugiando sulle emozioni dei genitori che anche attraverso un appello su Change.org hanno portato a introdurre importanti novità nel protocollo clinico, entrate in vigore il 3 agosto scorso. Prevedono l'individuazione di un donatore di riserva, che le strutture devono garantire, affinché i trapianti non si trasformino in una roulette russa. Quello su cui si tace, invece, è il lungo elenco di «disattenzioni», possibili errori, chiare mancanze, silenzi vergognosi che hanno forse provocato, sicuramente accompagnato le ultime due settimane di agonia atroce di una ragazza piena di vita, ricoverata nel reparto di oncoematologia e terapia cellulare e genica dell'ospedale pediatrico, diretto da Franco Locatelli. Proprio lui, il coordinatore del Cts nonché presidente del Consiglio superiore di sanità (Css), che tanto si dimostra interessato alle sorti di bambini e adolescenti caldeggiando le vaccinazioni anti Covid. I genitori di Lisa, il biologo Maurizio Federico, responsabile del Centro per la salute globale presso l'Iss e Margherita Eichberg, soprintendente a Belle arti e archeologia per l'area metropolitana di Roma, Viterbo e l'Etruria meridionale, hanno deciso di presentare denuncia contro il suo reparto, una delle eccellenze nel panorama italiano ma che secondo l'ipotesi accusatoria dovrebbe rispondere di omicidio colposo, a meno che la Procura non intenda contestare un reato più grave. «È stato difficilissimo trovare periti disposti a valutare quello che è successo», racconta il dottor Federico. «Quando sentivano parlare del reparto di Locatelli, tutti si tiravano indietro. Perfino il Codacons, per la difesa dei diritti degli utenti e dei consumatori, mi rispose che l'avrebbe fatto volentieri ma il figlio del loro ematologo di fiducia era stato appena assunto dal Bambino Gesù». Alla fine i genitori hanno potuto contare sulla collaborazione di un insigne ematologo di Bologna e su quella di un suo collega sardo, ultranovantenne e quindi al di sopra di eventuali «pressioni», oltre che su una perizia medico legale. Hanno messo insieme una documentazione di oltre 1.500 pagine. Ricostruiamo i fatti, con l'aiuto di papà Maurizio. «Lisa era una ragazza piena di vita. L'avevamo adottata quando aveva cinque anni, assieme al fratello Bodgan di sei. Vivevano in un orfanatrofio dell'Ucraina, noi non potevamo avere figli e non volevamo pratiche di inseminazione artificiale: ci sono troppi bambini nel mondo senza più genitori», racconta il biologo. Nell'estate dello scorso anno a Lisa viene diagnosticata una citopenia refrattaria, si tratta di una malattia benigna del sangue derivata da un alterato funzionamento del midollo osseo che non riesce più a produrre in numero sufficiente alcune linee cellulari del sangue. «Venne deciso il trapianto, anche se con mia moglie avremmo provato con terapie immunosoppressive, molto meno invasive», spiega Federico. «Nel frattempo, però, dal 17 giugno all'8 agosto Lisa era stata costretta a un lungo, quanto inutile - come confermato dai nostri periti - ricovero al Bambino Gesù, durante il quale la ragazza si prende un germe antibioticoresistente, lo Pseudomonas Aeruginosa, infezione risultata fatale assieme a una pessima donazione di cellule staminali». Il 7 ottobre la ragazza entra nuovamente nel reparto del professor Locatelli per il trapianto di midollo osseo. Non c'era nessun famigliare compatibile, quindi l'ospedale del Papa trova in Germania un donatore idoneo. «Però aveva un peso diverso da quello di mia figlia, che era di corporatura robusta, e con un gruppo sanguigno incompatibile», precisa il biologo. In epoca Covid, malgrado le raccomandazioni del Centro nazionale trapianti di stabilire un percorso sicuro e protetto, non si pensa a un donatore di riserva. Prima ancora che arrivi il sangue midollare tedesco, Lisa viene sottoposta a una chemioterapia immunosoppressiva detta di «condizionamento». Serve a inattivare il sistema immunitario del paziente, per impedire il rigetto del trapianto, e una volta concluso il percorso di circa cinque giorni non è più possibile tornare indietro: le sue cellule staminali sono distrutte, così pure i globuli bianchi, rossi, le piastrine. «Quando arrivò il midollo del donatore, purtroppo fu evidente che era inadeguato. Non presentava il quantitativo sufficiente di cellule staminali utili per Lisa», spiega Federico. «Nel reparto diretto da Locatelli se ne accorsero, ma decisero di non privare il midollo del plasma del gruppo sanguigno incompatibile, per evitare di impoverirlo maggiormente. Effettuarono una plasmaferesi che, come scrive uno dei nostri periti “è efficace nel ridurre il titolo anticorpale anti A e anti B. Ma non abbastanza dallo scongiurare l'incompatibilità dell'infusione della sospensione midollare"». Infatti gli anticorpi non scendono abbastanza e nella cartella clinica si raccomanda di prestare attenzione, di trasfondere con cautela perché si rischiava una crisi emolitica. Alle 8 del mattino, nel sancta sanctorum della trapiantologia ematologica inizia la trasfusione e già dopo il primo quarto d'ora Lisa comincia ad accusare forti dolori, crisi respiratorie, tutti segnali di un'emolisi acuta grave. «Furono 12 ore di urla. Noi genitori impotenti non sapevamo che cosa fare. Nessuno ci diceva nulla. Non interruppero la trasfusione, tutto quel sangue incompatibile finì nel corpo di Lisa», ricorda con la voce rotta. Le due settimane seguenti furono un crescendo di sofferenze, con gli organi sempre più compromessi «ma nessun medico ci disse mai nulla, nessuno disse che il trapianto era stato inutile e che Lisa era spacciata», interviene Margherita. «Il professor Locatelli l'abbiamo visto solo un paio di volte, di sfuggita. Una volta si è fermato per dirci: “In Germania ci hanno fatto uno scherzetto". Nulla più». Il 3 novembre è il responsabile della rianimazione, non dell'ematologia, a dire per la prima volta ai coniugi Federico che Lisa non ce l'avrebbe fatta. «Due ore dopo nostra figlia era morta». Da quel giorno Maurizio e Margherita combattono, con un dolore che non si attenua, per impedire che altri ragazzi possano morire come la loro figlia. Hanno controllato ogni cartella clinica, chiesto perizie, trovando muri di ostilità perché «nessuno vuole mettere in discussione un centro di eccellenza». Hanno messo insieme tanti quesiti, che non trovano risposte e che nella denuncia pesano assai. «Ha pesato tantissimo anche l'incomunicabilità tra medici e familiari dei pazienti. Servono mediatori sanitari, non solo linguistici per gli stranieri». Se lo dicono un dirigente dell'Iss e un'archeologa, possiamo crederci.