2025-03-15
Lo zar tratta e i media tifano contro l’accordo
Il fatto che Putin si sieda al tavolo manda all’aria la narrazione dei giornali. Che reagiscono augurandosi che quello del «cattivo» sia soltanto un bluff. È il riflesso di un Occidente che prova a rivendicare la sua superiorità morale, anche se è smentita dai fatti.Vladimir Putin avrebbe dovuto fare un favore a tutti e continuare a combattere. Avrebbe dovuto rifiutare per principio ogni trattativa e anzi alzare il tiro: bombardare l’Ucraina, minacciare le nazioni vicine, farsi lanciare da un aereo a cavallo di una bomba atomica. Sì, avrebbe dovuto agire così, e l’Occidente tutto ne sarebbe stato confortato: non soltanto avrebbe finalmente ritrovato in lui tutti i tratti demoniaci che gli attribuisce, ma avrebbe persino potuto rincuorarsi riguardo al proprio destino traballante. Del resto serve un super cattivo se ci si vuole sentire buoni, e allo zar era richiesto esattamente questo: facesse il cattivo e non disturbare la narrazione. Invece Putin accetta la trattativa proposta da Donald Trump. Certo, come si fa in ogni trattativa, egli appunto tratta. Sa di essere in una posizione di relativa forza, in questo momento, e pianta dei paletti. Che, del resto, sono gli stessi resi noti fin da subito, tanto che sulle medesime basi si sarebbe potuto discutere anche tre anni fa, forse addirittura con qualche vantaggio in più. Viene a trattare, Putin, e per il propagandista unico militante che imperversa nello scenario politico-mediatico italiano tutto ciò è semplicemente intollerabile. Ne derivano reazioni psicotiche, anche se in forme diverse. La posizione condivisa è più o meno quella esplicitata ieri da Anna Zafesova sulla Stampa. A suo dire, Putin «prepara il no al cessate il fuoco». La sua è un’«apertura con il veleno dentro». È una trattativa che, dice Riccardo Barenghi, «se fosse vera sarebbe una notizia». Poi c’è l’ex consigliere per la sicurezza, John Bolton, che a Repubblica dichiara: «Trump sbaglia a fidarsi, Putin attaccherà di nuovo». E ancora Ursula von der Leyen, che spinge per il riarmo con tutte le sue forze: «Putin ha dimostrato di essere un vicino ostile, non ci si può fidare di lui, si può solo dissuaderlo», afferma. Più comprensibile la posizione di Volodymyr Zelensky, l’unico direttamente coinvolto: «Il dittatore russo Vladimir Putin vuole respingere la proposta degli Stati Uniti di un cessate il fuoco di 30 giorni con l’Ucraina e, per riuscirci, pone richieste impossibili», si sfoga con i media. Ora, può anche darsi che la trattativa vada a monte, e che non si faccia alcun accordo, per carità. A lasciare vagamente perplessi, tuttavia, è il riflesso pavloviano della stampa e dei commentatori in vista: il percorso è appena all’inizio e loro sanno già che andrà tutto a ramengo, che la Russia mente, che Putin non ha intenzione di accordarsi. Già, perché invece Stati Uniti, Unione europea e Regno Unito erano motivatissime a venire a patti... Hanno passato tre anni a fare fuoco e fiamme (verbali) contro il perfido nemico, ne hanno auspicato la morte e la deposizione, hanno mortificato e vessato chiunque chiedesse la pace e adesso vengono a recitare la parte dei pacifisti? Non scherziamo. Il punto, al solito, è che l’Occidente ha bisogno di confermare, soprattutto a sé stesso, un’inesistente superiorità morale. Si accetta che Trump tratti, ma lo si biasima per questo, ci si lamenta e si assume un atteggiamento passivo-aggressivo. E nel contempo si continua a malignare sul nemico. Anche se in una posizione di forza ci si è messo con la complicità occidentale, e con la stessa complicità l’Ucraina si è sfibrata. Però Zelensky può trattare sul prezzo, e guai a Trump se lo rimbrotta. Putin invece dovrebbe cedere subito, non si capisce bene in virtù di che cosa, di quale contropartita, oppure dovrebbe appunto continuare le ostilità così almeno saremmo felici di ritrovare il caro vecchio Male assoluto. Noi siamo buoni, l’importante è che sia chiaro. Infatti - dopo aver esaltato per tre anni la sola igiene del mondo, e nonostante una galattica operazione di riarmo in avviamento - ora dobbiamo atteggiarci tutti ad agnellini amanti della pace, perché questa è la nuova narrazione. Emblematico, in tal senso, il mezzo atto di contrizione richiesto ad Antonio Scurati. Qualche giorno fa il noto scrittore, forse convinto che fosse ancora il tempo della retorica di guerra, si era lanciato in una commovente celebrazione dei guerrieri d’Europa del passato, oggi purtroppo assenti. Ebbene, a stretto giro ha dovuto correggere la mira. Gli hanno fatto sapere che ora la sinistra è contro le guerre, o almeno deve fingere di esserlo per non gettare a mare decenni di snervante retorica sull’Europa della pace. Ieri, dunque, Scurati ha dovuto scrivere che lui si dichiara pacifista, che serve una difesa comune che non significa riarmo, che c’è bisogno di un «esercito europeo unitario di pace, democratico, esclusivamente difensivo, affiancato ad apparati specializzati nella soluzione diplomatica dei conflitti, non in competizione ma al servizio del welfare». Esercito democratico? E che fa, vota per decidere chi va all’assalto? La tesi è talmente insostenibile da richiedere una clamorosa arrampicata sugli specchi della lingua: un esercito di pace che lotti per il welfare è come un obeso magro che corra la maratona in salotto. Questo richiedono i tempi: bisogna essere per la guerra, ma che la combattano gli altri; per il riarmo, ma pacifico e europeo; per la pace, ma sperando che il conflitto continui e che Putin muoia; per la diplomazia, ma schifandola. Per tutto e il suo contrario, a patto che serva per preservare il nostro trucco carnevalesco da buoni e giusti. Di Putin non ci si può fidare, ma di noi invece...
Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 12 settembre con Carlo Cambi
iStock
Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
Continua a leggereRiduci