2021-08-07
Neviana Calzolari: «Lo Zan è un’arma di distrazione di massa»
Per il solo fatto di essere stata citata in un articolo della «Verità», la sociologa è stata attaccata ferocemente da attivisti Lgbt che le rimproverano di non essere fedele alla linea. Ma lei resiste: «Il ddl è ideologico e nasconde le vere esigenze dei trans»Neviana Calzolari, sociologa e scrittrice, è una trans «Male to Female» ( passata dal sesso maschile a quello femminile) che ha una caratteristica rara: ha un coraggio leonino. Nei suoi scritti e nelle interviste scardina i dogmi del pensiero dominante nel mondo Lgbt. Critica, ad esempio, il concetto di identità di genere, e non è fra i corifei del ddl Zan. Di recente ha espresso le sue idee su MicroMega, rilasciando dichiarazioni che La Verità ha ripreso presentando il libro Il regime del gender (ora in edicola con il nostro giornale e Panorama). Subito dopo, Neviana è stata oggetto di attacchi feroci. «Controllando le notifiche su Facebook, mi sono imbattuta in un post di Antonia Monopoli, che fa parte di un’associazione trans milanese», racconta. «Nel suo post mostrava solo alcune righe dell’articolo della Verità in cui appariva il mio nome e commentava: “Ecco un’attivista trans che si è bevuta il cervello”. In quel post non veniva riportato nulla dell’articolo, non venivano citate le mie parole». Però lei veniva insultata. «Veniva dato per scontato che, essendo stata citata in un articolo della Verità, mi fossi fatta strumentalizzare dalla destra, che fossi una fascista». Dopo quel post sono arrivati parecchi altri commenti...«Me ne hanno dette molte: fascista, kapò... Quel primo post è stato una sorta di chiamata alle armi affinché iniziasse una pressione intimidatoria nei miei confronti. In seguito c’è stato un altro post di Simone Alliva, giornalista che scrive sull’Espresso, che invitava i fan a segnalarmi in massa, solo perché mi ero permessa di reagire al commento della Monopoli e di non accettare l’intimidazione». Non è la prima volta che accade, purtroppo. Chi esce dai binari del pensiero dominante, oggi viene trattato così. «Il problema del movimento Lgbtq e delle persone che dicono di rappresentarlo solo perché sono a capo di associazioni è che alla fine si pongono sempre in modo estremamente aggressivo e verbalmente violento nei confronti di chi esprime delle posizioni divergenti dal manistream del movimento. Cercano di intimidirti, e se reagisci ribaltano la frittata». Cioè? «Ti accusano di avere un atteggiamento aggressivo, mentre gli aggressivi sono loro. Ma la cosa più ridicola è questa: nel vostro articolo, avete citato delle frasi che ho detto a MicroMega. Ebbene, poiché MicroMega è un santuario della sinistra, l’articolo uscito lì non ha suscitato reazioni, nessuno mi ha criticato. Ma non appena le stesse parole sono state riportate sulla Verità è successo il finimondo. Ciò dimostra la profonda malafede di certe persone, che non si danno nemmeno la pena di leggere e documentarsi. Però è accaduto anche qualcosa di inaspettato. Io non faccio più parte di associazioni, quando prendo posizione pubblicamente lo faccio a titolo personale. Ma sui social dopo gli attacchi ho ricevuto un grande sostegno. Chi mi segue ha iniziato a segnalare i post aggressivi nei miei confronti, e alla fine Facebook li ha rimossi. I miei accusatori non avevano previsto che accadesse una cosa simile». Quali cose, fra le tante che ha detto, hanno provocato gli attacchi?«In particolare ciò che ho detto sui bloccanti della pubertà». Secondo lei non si dovrebbero somministrare ai minori. Per quale motivo?«Non mi permetto di entrare nel merito delle singole situazioni personali, mi limito a esprimere una posizione a partire dalla mia esperienza. Secondo me il vero problema è il concetto di identità di genere. Sesso e genere sono cose diverse. La transessualità ha a che fare con il sesso, mentre i fautori dell’identità di genere sostanzialmente dicono che le persone transessuali rientrino nell’ombrello transgender. Io però non sono dentro questo ombrello. La transessualità ha a che fare con una spinta forte, insopprimibile a lungo andare, a cambiare le caratteristiche del proprio corpo a favore del sesso di elezione». Lei, attraverso un percorso anche chirurgico, è passata dal sesso maschile a quello femminile. «Sì. Ma chi non ha ancora finito di sperimentare lo sviluppo fisico e sessuale pieno del proprio corpo non può sapere con certezza se davvero quel che vuole cambiare di sé è il sesso. Faccio un esempio. Un ragazzo che non è ancora uscito dalla pubertà, magari è attirato da stereotipi di genere associati all’altro sesso. Ma nessuno può avere la certezza che voglia cambiare anche il proprio corpo. Può darsi che sia semplicemente un ragazzo attirato da cose considerate femminili nella nostra società». Senza voler cambiare sesso.«Sì. Una persona che non ha completato la pubertà può decidere di intraprendere un percorso di transizione solo sulla base di fantasie legate a stereotipi di genere. E poi pentirsene. Pensiamo a quello che vediamo in altri Stati a questo proposito, ai numerosi casi di detransizionamento. Per affrontare la transizione ci vuole una grande maturità personale. Ma oggi viene proposta una vulgata banalizzante, come se cambiare sesso fosse cambiare un giocattolo. È una cosa da irresponsabili. E il fatto di aver messo in discussione questa vulgata mi ha resa invisa ai sostenitori dell’identità di genere». Chi sostiene il ddl Zan dice che nel progetto di legge non si parla di bloccanti della pubertà o di cambio di sesso dei minori. «È un’ipocrisia. Questo è il segreto di Pulcinella. È chiaro che il concetto di identità di genere è stato introdotto come caposaldo perché si vuole puntare proprio a questo: a rendere indistinguibili, come se si trattasse di cose intercambiabili, transizione di sesso e genere». Lei è molto critica verso il ddl Zan. Perché? «Per tanti motivi. Mi dica: perché mai il genere, che ha che fare con il vissuto e la percezione, dovrebbe avere rilevanza pubblica e legale? Cercare di ancorare ipotesi di reato penale a vissuti soggettivi ci porterebbe al caos più completo. Altro che certezza del diritto: ogni giudice andrebbe a ruota libera. E poi, così come è scritto, il ddl Zan è un’arma di distrazione di massa dai veri problemi dei transessuali». E quali sono?«Il vero problema è che c’è un sistema di aiuti e assistenza socio sanitaria che fa pena, che è inadeguato rispetto alla creazione di un benessere personale e una vera integrazione sociale. Ma le associazioni trans e il movimento Lgbtq hanno interesse a rimuovere questi problemi - che sono prioritari per la salute delle persone - e preferiscono concentrarsi su aspetti repressivi di carattere penale. Funziona così: poiché non sono in grado di garantire alle persone trans assistenza e benessere, queste ultime sono spesso frustrate e insoddisfatte. E allora le associazioni dicono: la responsabilità non è nostra, o dello Stato, ma del mondo infame che non riconosce le soggettività trans. In realtà credo che gli attivisti che mi attaccano abbiano paura di affrontare i temi che metto sul piatto. Ad esempio quello che non va nei consultori per le persone trans, su cui le associazioni mettono la bandierina politica». Questo però sarebbe un tema da affrontare politicamente, no? «Nella mia regione, l’Emilia Romagna, il centrosinistra non potrebbe mai mettere in discussione il modo in cui le associazioni trans fanno presidio politico nei consultori. Per farlo dovrebbe negare sé stesso. Dunque non c’è un pensiero politico di ampio respiro su questi temi. Il ddl Zan non lo è di sicuro. Intendiamoci: io penso che una legge contro omofobia e transfobia serva. Però l’esigenza prioritaria non è una legge repressiva. Ma una azione positiva riguardante l’assistenza sociosanitaria».Forse un approccio meno ideologico e più pragmatico aiuterebbe, anche su questioni che suscitano molte tensioni. Ad esempio l’ingresso delle trans negli spazi riservati alle donne. «C’è una grossa differenza fra le trans che sono medicalizzate e quelle che non lo sono. Io non sono d’accordo sul fatto che negli spazi delle donne possano accedere uomini che si definiscono donne transgender ma non hanno fatto un percorso chirurgico. Questa è una vera e propria violenza, è mancanza di rispetto in una situazione che è e deve essere di intimità». Poi c’è il tema dello sport. «Nello sport il tema della prestanza fisica è dominante. Non ho princìpi generali da proporre, ma penso che si potrebbero creare commissioni super partes che proponessero parametri che davvero consentano di evitare certi divari. Evitare cioè che le donne trans siano privilegiate rispetto alle donne biologiche. Tutta questa caciara sull’inclusività nelle competizioni femminili la trovo pretestuosa, superficiale e ideologica. Ciò non significa che le trans non possano mai essere incluse: magari in alcune discipline si potrebbe riuscire a farlo». Lei, in sostanza, continua a ricordare che il corpo conta eccome. «Io ho iniziato la transizione a 45 anni: perché sapevo che il percorso mi avrebbe esposta a delle grandissime difficoltà, anche nel costruire delle relazioni di tipo sessuale. Alla fine non ti puoi identificare completamente nel sesso di elezione. Io specifico sempre che sono una donna transessuale. Non perché mi faccia piacere, ma perché è un dato di realtà. Non è vero che le donne trans possono essere e fare tutto quello che fanno le donne biologiche. Bisogna tenere conto delle differenze, e sapere appunto che il corpo conta, e parecchio. Credo che tutto questo puntare sul genere sia finalizzato, anche inconsapevolmente, a rimuovere la difficoltà che molte trans (e non solo loro) hanno con i corpi». Anche per questo non è il caso di portare questa confusione ideologica nelle scuole, non crede?«Sono assolutamente contraria al fatto che si parli di identità di genere nella fascia della scuola dell’obbligo. Magari dalla fine delle medie in poi qualcosa si può fare, ma prima… Non credo sia giusto condizionare. Perché poi, di fatto, mandare le associazioni nelle scuole sarebbe un condizionamento. I bimbi e ragazzi in fase puberale devono essere lasciati da soli a esplorare il mondo e il loro corpo, eventualmente con un supporto specialistico. Ma l’ideologia - perché di questo si tratta - non deve assolutamente entrare. Anche per questo non riesco a mandare giù i ragionamenti sui bloccanti della pubertà. Educare è anche aiutare ad avere pazienza, a fare i conti con i limiti».
Lo ha dichiarato il presidente del Consiglio europeo in occasione del suo incontro con il premier greco Kyriakos Mitsotakis.
Antonella Bundu (Imagoeconomica)