
Prima del reddito di cittadinanza Roberta Saraceni percepiva quello d'inclusione, provvedimento studiato dagli uomini del Bullo. «Mia figlia, prima di percepire il reddito di cittadinanza, percepiva quello di inclusione, varato dal governo di cui faceva parte la Madia». L'ex toga rossa Luigi Saraceni, fondatore di Magistratura democratica, poi deputato dei Democratici di sinistra e infine con i Verdi, babbo di Federica Saraceni, la brigatista individuata dalla Verità fra gli assegnatari del reddito di cittadinanza (durante la detenzione ai domiciliari), se la prende con la ex ministra renziana Marianna Madia la quale, quando fu cooptata dal Rottamatore nel governo del Giglio Magico, dalle pagine del suo blog sparava elucubrazioni sul contrasto alla povertà e fu tra i promotori del reddito di inclusione. L'allora ministra della Funzione pubblica, però, non poteva immaginare che persino una brigatista accedesse al reddito di inclusione. Paradossalmente, ora che il caso è deflagrato, c'è anche la stessa Madia fra quelli che si affrettano ad annunciare interrogazioni: «La norma è sbagliata e bisogna intervenire». Peccato che, in base alla sua stessa valutazione, pure la norma precedente - varata dal governo di cui faceva parte - presentasse le medesime falle. La Saraceni, stando ai dati pubblicati a giugno dal Sole 24 Ore, fa parte del battaglione composto da oltre 248.000 nuclei familiari in precedenza percettori del reddito di inclusione, che sono entrati a far parte della fetta di popolazione che oggigiorno percepisce reddito o pensione di cittadinanza. Una quota delle domande accolte dall'Inps dopo il varo del provvedimento bandiera del M5s, insomma, godeva già di forme di sostegno economico. Il reddito di inclusione - comunemente chiamato Rei - è stato quindi in parte inglobato del reddito di cittadinanza e dal marzo scorso non può più essere richiesto, non è più riconosciuto e non può essere rinnovato. Giuliano Poletti, a quel tempo ministro del Lavoro, lo presentò come una delle riforme più significative del governo di Matteo Renzi, ereditate in seguito da Paolo Gentiloni. E per diversificarlo da quella che all'epoca era solo un'idea dei pentastellati, Poletti il Rei lo descriveva così: «Noi ci occupiamo di lotta alla povertà, interveniamo sui nuclei familiari in condizioni di difficoltà, puntiamo a far uscire questi soggetti dalla loro condizione. Quindi, non è un intervento generalizzato e indifferenziato».Una misura che andava a sostituire il vecchio assegno del Sia (Sostegno per l'inclusione attiva), che veniva assegnato solo sulla base dell'Isee e con un tetto molto basso: 3.000 euro. Con il Rei, invece, in aggiunta all'Isee - il cui limite fu portato a 6.000 euro - si considerò anche il reddito disponibile. Facendo un po' i conti in tasca alla Saraceni, che con i suoi due figli ha un nucleo familiare di tre persone, nelle casse con il Rei (oltre ovviamente agli aiuti familiari che, come ha confermato babbo Saraceni nelle interviste rilasciate ieri, arrivavano sia dalla sua famiglia che da quella del papà dei figli) le sono arrivati circa 382 euro mensili, per un tetto massimo di 4.584 euro annuali, come previsto dalla scala di equivalenza pensata da Poletti. E se per il reddito di cittadinanza, tra le regole ostative, ci sono quelle sulla detenzione in carcere e quelle legate a condanne ricevute nei 10 anni che precedono la richiesta, nel caso del Rei l'esclusione era prevista solo per aspetti reddituali: nessun componente del nucleo doveva percepire prestazioni di assicurazione sociale per l'impiego o altri ammortizzatori sociali di sostegno al reddito (per esempio la disoccupazione); né possedere autoveicoli o motoveicoli immatricolati la prima volta nei 24 mesi antecedenti la richiesta (non c'era limite di cilindrata e, così, un «povero» da Rei poteva possedere tranquillamente una Mercedes 3.000, purché con tre anni almeno di immatricolazione), fatta esclusione per i mezzi per disabili; e anche navi e imbarcazioni da diporto erano motivo di esclusione. Per il resto nessun accenno a condanne penali - pesanti o meno - né a reati gravi o meno gravi. Dopo essersi fatta due conti, a Corleone presentò una pratica anche la moglie di un boss mafioso, che la stampa locale indicò come «il signore degli appalti di Binnu Provenzano». Il servizio Politiche sociali del Comune (ufficio che già in passato si occupò del bonus bebè chiesto dalla figlia di Totò Riina), ha ricostruito Repubblica, diede il via libera all'Inps perché in base alla legge non c'erano apparenti ostacoli. Si scoprì perfino che dagli uffici comunali qualcuno telefonò alla signora per informarla che la domanda non era corretta. La signora presentò quindi una seconda istanza. E non è detto che non le sia andata bene. Sono stati sfortunati, invece, un gruppo di furbetti in Campania, epicentro dei controlli della Guardia di finanza sul reddito di inclusione renziano: un anno fa gli investigatori beccarono 55 finti poveri (che dopo la denuncia persero l'assegno). Avevano dichiarato il falso e truccato l'Isee pur di incassare l'assegno d'inclusione. E anche in Calabria si arrivò a 25 segnalazioni all'Inps e alla Procura. In realtà poche, rispetto al reddito di cittadinanza: a pochi mesi dal suo avvio ha fatto già il pienone. Ma, fanno notare dall'Inps, sotto questo aspetto le maglie del reddito d'inclusione erano più larghe.
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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