2018-08-04
L'onda giapponese alza lo spread ma Elliott può cambiare tutto
La tempesta è partita dalla nuova politica monetaria di Tokyo, che ha causato ingenti vendite di titoli di Stato. Sull'Italia l'effetto è più forte a causa dell'alto debito pubblico.Il nuovo proprietario del Milan starebbe pensando di entrare in Mediobanca: secondo indiscrezioni potrebbe promuovere la scissione di Generali. Dietro c'è una strategia più ampia di investimento sulle medie imprese made in Italy.Lo speciale contiene due articoliLa globalizzazione parte da lontano e mentre il vicepremier Matteo Salvini parlava ai microfoni di Sky dalla spiaggia di Milano Marittima, spiegando i suoi desideri per la manovra futura, forse non immaginava che il caos sullo spread italiano ha un forte accento giapponese. La maggior parte dei media italiani collega il picco di 270 punti base dei nostri titoli rispetto al Bund tedesco alle incertezze sulla Finanziaria 2019. Addirittura alle lacune del decreto Dignità, reo di fare perdere posti di lavoro. In effetti le diverse componenti del governo ieri si sono riunite per discutere delle linee guida della prossima manovra. Non avevano smentito una presunta riunione che si sarebbe dovuta tenere giovedì, né hanno spiegato perché sia saltata. In ogni caso nemmeno l'incontro di ieri ha fornito alcun numero ai mercati. La cosa di per sé non aiuta a dare un messaggio, tanto meno di univocità. Sarebbe stato meglio far presente ai media e agli investitori che le linee guida sulla Finanziaria saranno definite a settembre. Se poi si aggiunge che il comparto bancario tricolore resta il più debole d'Europa, è facile immaginare la tensione in corso. Solo che nelle ultime 36 ore a salire non è stato solo lo spread italiano. Stessa sorte è capita anche ai Bonos spagnoli, ai titoli finlandesi, a quelli ungheresi e francesi. Salvo poi in serata sterzare improvvisamente. Insomma, una grande volatilità che arriva in Europa con due giorni di ritardo rispetto alle dichiarazione del governatore della Boj (Banca centrale del Giappone), Haruhiko Kuroda, il quale ha annunciato agli investitori internazionali di voler aprire a una nuova era della flessibilità. Roba da 15 o 20 punti base, che per noi italiani è una nocciolina, ma per una nazione che da decenni è inchiodata e considerata portatrice di valuta rifugio è una sorta di rivoluzione. In un solo giorno il rendimento del decennale di Tokyo è salito allo 0,12. Ci dilunghiamo perché questa semplice mossa ha spinto i grandi investitori a vendere miliardi di Bond governativi per testare la tenuta della Boj e ha innescato un mega effetto a catena.In Europa, il rendimento delle obbligazioni decennali in Germania è salito a un massimo di sette settimane a quasi lo 0,495% e si è attestato su 5 punti base al giorno.Anche i rendimenti dei titoli decennali francesi hanno raggiunto i massimi di sette settimane, raggiungendo lo 0,74%. La maggior parte dei rendimenti obbligazionari della zona euro a lungo termine è aumentata di 4-7 punti base al giorno. Un massiccio allentamento monetario in Giappone ha contribuito a ridurre i costi di finanziamento in altre parti del mondo e ha incoraggiato gli investitori giapponesi ad acquistare attività a più alto rendimento all'estero.Le obbligazioni con rating superiore nell'area dell'euro, come il debito francese e tedesco, hanno beneficiato di questo acquisto giapponese, ma ciò significa anche che sono a rischio se l'aumento dei rendimenti dei bond giapponesi tenterà gli investitori asiatici a tornare a casa. «Alla fine del 2017 detenevano più di 170 miliardi di euro di Bond francesi», secondo le stime di Commerzbank riportate da Reuters lo scorso 1° agosto. Ovviamente l'effetto sui titoli americani e su quelli periferici dell'area euro, come l'Italia, è stato sequenziale, ma diverso. Tutto ciò che è più volatile e incerto viene venduto. I Btp sono in questo paniere. Il dato relativo di crescita dello spread è assolutamente in linea con l'onda lunga giapponese. Se poi si prende il dato assoluto, questo fa più effetto perché lo spread parte da un gradino più alto rispetto al resto dell'Europa. L'Italia è parte del tutto e il suo maxi debito la penalizza in ogni occasione. Il piccolo tsunami partito da Tokyo spiega come l'espansione all'infinito del debito pubblico non sia più possibile. Il Giappone da oltre una decina di anni ha avviato una politica di continui stimoli monetari (più o meno il Qe modello Mario Draghi) per sostenere una crisi da deflazione. Il rapporto tra debito e Pil è arrivato più o meno al 250%. «La continua espansione monetaria ha favorito gli investitori locali e spaventato quelli esteri», scrive Alieno gentile, un blogger dietro il quale si nasconde un bravo gestore, «Di conseguenza la crescita della ricchezza pro capite è stata azzoppata». La situazione di impasse impone ora a Tokyo il tentativo di provare nuove strade con grosse incognite. I grandi acquirenti di debito pubblico sono gli stessi in giro per il mondo. Per cui se il Giappone è sotto stress si spostano altrove in massa e l'onda generata colpisce chi sta nel mezzo. Nel frattempo si discute di dazi tra Cina e Usa, di eventuali nuovi rialzi dei tassi da parte della Federal reserve americana e giovedì Bank of England ha annunciato il suo primo vero rialzo dopo undici anni. Al di là del ritocco avvenuto dopo il referendum a favore della Brexit, quello dell'altro ieri segna un cambio di passo radicale. Non a caso i mercati avevano già nei tre giorni prima prezzato la probabilità di un rialzo dei tassi di almeno 25 punti base. La Banca centrale guidata da Mario Draghi si apprezza a mettere in cantina il bazooka. Se aggiungiamo che almeno dal 2009 ogni agosto segna una turbolenza, si capisce come questi giorni siano caldi. Pensare che il decreto di Luigi Di Maio influenzi i mercati fa sorridere. Diverso sarà per la Finanziaria, che potrebbe renderci meno stabili su un vascello che già per i fatti suoi è sconvolto dalle onde. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/lo-spread-sale-in-tutta-lue-colpa-del-giappone-non-del-governo-gialloblu-2592474663.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="dopo-tim-gli-usa-puntano-a-mediobanca" data-post-id="2592474663" data-published-at="1757886179" data-use-pagination="False"> Dopo Tim, gli Usa puntano a Mediobanca Il fondo Elliott è tra i più antichi. Nasce a New York nel 1944, da allora ha continuato a crescere. Da sempre aggressivo soprattutto nelle questioni legali, mantiene una struttura snella (solo 440 persone) nonostante gestisca oltre 34 miliardi di valore. Conosce bene l'Italia. Era già stato coinvolto nei vari passaggi di mano di Telecom e negli ultimi anni si è dedicato ad Anstaldo sts (già Finmeccanica), l'azienda ligure della quale ha oltre il 31%. È conosciuto dai fan del Milan perché subentrato alla proprietà cinese. Ma è dallo scorso maggio che un giorno sì e un giorno no conquista le prime pagine dei giornali. L'ingresso a gamba tesa in Tim ha letteralmente cambiato la governance e ha fermato la strategia ideata dal finanziere bretone Vincent Bolloré. Nulla sarebbe potuto succedere senza l'arrivo in parallelo di Cassa depositi e prestiti che di Tim ha acquisito in pochi giorni quasi il 5%. A maggio c'era ancora il governo Gentiloni. L'ingresso di Elliott era sicuramente ostile ai francesi di Vivendi con la consapevolezza di dare una mano al mondo di Silvio Berlusconi. Il cambio di governo non ha interferito sulle strategie del fondo Usa, anzi la nuova vicinanza alla Casa Bianca di Donald Trump ha dato una forte accelerazione. Sull'attivismo della creatura gestita da Paul Singer girano tanti rumor, come quello di un interessamento di Fca, ma anche notizie supportate non solo da fonti da dossier. Sicuramente aperti e non ancora conclusi. Ieri Repubblica ha anticipato le mire di Elliott su Mediobanca, l'istituto che fu di Enrico Cuccia. Ha scritto che il fondo avrebbe già acquisto l'1% della banca. Elliott ha smentito. Ma due fonti contattate dalla Verità spiegano che sarebbe solo una questione di tempo. Dietro ci sarebbe un'operazione più ampia che porterebbe ad arrotondare la quota per riformare la governance di Piazzetta Cuccia e poi arrivare alla scissione del 13,2% detenuto in Generali. L'amministratore dell'istituto milanese, Alberto Nagel, non ha escluso cessioni di quote maggiori a fronte di un'operazione «transformational». Fra le opzioni sul tavolo, è stata citata la possibilità di conferire l'intera quota di Generali a una holding in cui entrerebbero investitori istituzionali con una quota di minoranza. Il tutto dopo che l'azionariato di Generali ha visto nell'ultimo periodo un rafforzamento della compagine italiana, con Edizione e il gruppo Caltagirone che hanno aumentato le proprie quote. Se l'interesse di Elliott nelle prossime settimane diventasse concreto si aprirebbe un nuovo scenario di scontro con i francesi guidati da Bolloré, che in Generali detiene ancora una quota di rilievo. Conquistare Mediobanca, consentirebbe a Elliott di spacchettare Generali e costruirsi un posto di rilievo dentro l'assicurazione triestina. Nulla di tutto ciò potrebbe avvenire senza l'accordo con Jean Pierre Mustier, attuale amministratore delegato di Unicredit, banca che a sua volta è presente in Generali tramite le quote di Piazzetta Cuccia. Ma c'è anche un tema di banche dati. Per Elliott entrare in Mediobanca significa avere accesso a uno degli advisor più importanti del made in Italy. Se l'intenzione è puntare ingenti fondi sul nostro Paese non ci sarebbe modo migliore di farlo attraverso l'istituto che ha fatto (per metà) la storia d'Italia. Tanto più che ora i prezzi degli asset italiani sono ai minimi. Vale per il manifatturiero quanto per le banche. Ieri Paolo Scaroni ha smentito di aver incontrato il ministro Giovanni Tria e di aver anticipato al Mef l'interessamento di Elliott per Mediobanca. Infatti, a Tria potrebbe essere stato riferito un altro interesse del fondo. Nel mirino potrebbe esserci anche Carige che sta attraversando un momento di grave difficoltà. A settembre l'assemblea potrebbe ridisegnare la governance della banca. Ma Elliott non si muoverebbe mai in disaccordo con la Sga, la società del Tesoro che gestisce oltre 18 miliardi di euro di crediti deteriorati. La società pubblica, nata come bad bank del banco di Napoli, si è ritrovata con il 5,4% del capitale dell'istituto genovese. Voterà il prossimo settembre e farà la differenza. Soprattutto se il fondo si affaccerà a Genova. Non è dato capire se Sga ed Elliott staranno con la famiglia Malacalza (azionista di maggioranza relativa) o con il finanziere Raffaele Mincione. Il tema è delicato perché il governo non vuole correre il rischio che a fine ottobre, mentre sta varando la manovra, scoppi un nuovo caso bancario in totale conflitto con la Bce. Il tavolo di Elliott, insomma, è pieno di opzioni, non le sceglierà tutte ma per l'Italia del 2019 il fondo farà la differenza.
Jose Mourinho (Getty Images)