2023-03-31
«Lo sconto sul payback non basta a fermare i ricorsi delle aziende»
Il paracadute del governo solo a chi rinuncia alle cause. Però Pmi sanità avverte: «Tanti andranno avanti».Il tema del payback a carico delle aziende fornitrici di dispositivi medici è tutt’altro che archiviato. Ci sono circa 2.000 ricorsi di aziende che giacciono al Tar, di cui 500 straordinari al presidente della Repubblica, su un bacino di 4.500 imprese coinvolte dal problema, che non intendono fare marcia indietro nonostante le offerte contenute nel decreto varato martedì scorso dal Consiglio dei ministri. È questo lo scenario tracciato dall’imprenditore Gennaro Broya de Lucia, fondatore di Eukon, una delle realtà rimaste schiacciate dal payback, nonché presidente di Pmi sanità, associazione che riunisce qualche centinaio di aziende del settore. E da queste, riferisce, ha ricevuto, nell’arco di nemmeno 48 ore, il mandato di adottare una linea di estrema fermezza. Dialogo sì con il governo, ma per disinnescare questo meccanismo infernale.«Temo che ci arriveranno altri ricorsi e il contenzioso si protrarrà per anni, con danni a tutto il settore e conseguenze per gli ospedali». Intanto, anche le banche si sono fatte avanti. «Chiamano le imprese, vogliono conoscere l’esatta esposizione debitoria, se sono solvibili» commenta il presidente di Fifo sanità, Giacomo Guasone, altra associazione di imprese del settore. Eppure il governo ha varato, con il decreto, una serie di paracadute, ha messo sul piatto 1,1 miliardi e si farà garante dei prestiti dalle banche. Ma non basta. L’eredità lasciata dall’ex ministro della Salute, Roberto Speranza, è troppo pesante. Per il periodo dal 2015 al 2018, il payback vale 2 miliardi di euro, quindi il provvedimento del governo ne copre solo la metà. Inoltre non riguarda gli anni dal 2019 al 2022, che richiedono 3,6 miliardi. Non bruscolini. Già sono in corso contatti tra le associazioni rappresentative delle imprese e il governo per trovare una via d’uscita ma la coperta è corta per i vincoli di bilancio. Il decreto prevede poi che lo «sconto» del payback valga solo per le aziende che non hanno attivato il contenzioso o che ci rinunciano se l’hanno fatto. Il punto è che, secondo quanto riferisce Broya de Lucia, le imprese sono decise ad andare avanti. «C’è chi dovrebbe pagare oltre 1 milione di euro a fronte di un fatturato inferiore e, anche se c’è la garanzia dello Stato sui prestiti delle banche, un debito non preventivato è sempre un fardello». Vale a pena di riassume l’antefatto per capire la catena delle responsabilità. La trovata è opera della coppia Daniele Franco (ex ministro dell’Economia) e Roberto Speranza che nel 2022 rianimano il payback ideato da Matteo Renzi, nel 2015 premier, per risolvere lo sforamento dei tetti di spesa da parte delle Regioni. Queste avrebbero dovuto ripianare solo per il 50% mentre il resto sarebbe stato a carico delle imprese fornitrici. I decreti attuativi non vennero mai varati ma ecco che Speranza, pressato dalle maggiori spese della pandemia, ha la bella pensata di riesumare il meccanismo. All’improvviso le aziende si trovano a dover tappare i buchi delle Regioni. Secondo i dati 2020 del Rapporto sulla Finanza pubblica della Corte dei conti del 2021, la spesa pubblica in dispositivi medici rappresenta il 5,3% (8,44 miliardi) del totale della spesa sanitaria e il 12,8% è andato all’acquisto di dispositivi per il Covid. «Per salvare le Pmi sarebbero bastati 200 milioni di euro. Basti pensare che il 40% del payback è in capo a sole 20 aziende, perlopiù multinazionali; il 10% (circa 450 imprese) genera l’80% del payback e il restante 90% (circa 4.050), che ne genera il 20%, è il più massacrato» spiega Broya de Lucia. Il grande sbaglio, forse nella fretta di recuperare i soldi, è stato di aver applicato lo stesso modello di rientro degli sforamenti utilizzato da anni nel settore dei farmaci. «Un errore perché il prezzo dei medicinali viene stabilito a monte con l’Aifa, mentre la fornitura di dispositivi medici avviene a seguito di gare pubbliche al ribasso rispetto a una base d’asta iniziale». Dati alla mano l’imprenditore spiega il paradosso generato dalla decisione di Speranza. «Abbiamo calcolato che la somma dello sconto offerto in gara e del payback, in molti casi, conduce a un ribasso del 70-75% con una perdita per le imprese di non meno del 5%».
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