2022-01-30
Lo psicodramma di una notte, poi tutti in ginocchio al Colle. Così si è scivolati verso il bis
L’ex dc riconfermato presidente con 759 voti: più di Giorgio Napolitano, meno di Sandro Pertini. In serata usa la retorica del «sacrificio»: avevo idee diverse ma non mi sottraggo.Il mio regno per un cavillo, mentre la «sacra Costituzione» finisce a coriandoli in anticipo sul Carnevale. La partita per il Quirinale si conclude con uno zero a zero devastante per la politica, Sergio Mattarella torna lassù per mancanza di alternative. Sfonda il quorum all’ottavo scrutinio: 759 voti (secondo solo a Sandro Pertini con 832) davanti a Carlo Nordio (90) che per una settimana è stato il baluardo di Fratelli d’Italia. La destra ha piegato la testa e la sinistra, che solo qualche mese fa si strappò le vesti contro il semipresidenzialismo evocato da Giancarlo Giorgetti, ora inneggia al ritorno della monarchia. «Avevamo bisogno di lui», è la resa di Matteo Salvini. «È il segno della profonda crisi dei partiti, meglio non festeggiare troppo», è la sinfonia di Enrico Letta. «Hanno svenduto sette anni di Quirinale per sette mesi di stipendio», è il disgustato finale di Giorgia Meloni. Un Parlamento liquido applaude per consunzione il presidente che più volte aveva detto no categorici alla rielezione. Mattarella spiega così la sua retromarcia: «Desidero ringraziare per la fiducia espressa nei miei confronti. I giorni difficili trascorsi per l’elezione nel corso della grave emergenza che stiamo tuttora attraversando sul versante sanitario, economico e sociale richiamano al senso di responsabilità e al rispetto delle decisioni del Parlamento. Queste condizioni impongono di non sottrarsi».Tutto si compie nella notte dell’Innominato. Dopo il fallimento della prova di forza del centrodestra con Maria Elisabetta Casellati; dopo l’implosione di Forza Italia; dopo la consapevole impotenza del centrosinistra di condividere anche solo un candidato, i numeri uno dei tre partiti numericamente decisivi (Movimento 5 stelle, Pd e Lega) puntano tutto su Elisabetta Belloni. Alto profilo, bipartisan, soprattutto donna. Forza Italia è contraria e rilancia Pierferdinando Casini, Italia viva entra in fibrillazione quando Matteo Renzi cavalca il refrain «Mai il capo dei servizi segreti al Quirinale» (con tutte le inchieste che gli volano sulla testa c’è da capirlo). Ma sono dettagli, si arriverebbe a 600 e Giuseppe Conte - che per primo la indicò - tiene la barra dritta. Più che consiglio, la notte porta invece la restaurazione. Il primo a sciogliersi è il fronte piddino: Base riformista (i renziani), Giovani turchi, Area dem di Dario Franceschini si mettono di traverso e fanno sapere al segretario: «Stai andando al massacro, noi non la votiamo». È notte fonda e anche dai pentastellati arrivano segnali di affanno. Conte vacilla davanti al no di Luigi Di Maio e della sua pattuglia. Salvini conta i suoi 208 grandi elettori («Mai una defezione, noi siamo fatti così») mentre gli altri si esibiscono in scene da otto settembre. La svolta avviene all’alba. Letta parla con Silvio Berlusconi, poi con gli altri. Il trio Lescano va da Mario Draghi per comunicargli il nuovo scenario: tutti convergono su Mattarella. In casa pentastellata è decisivo l’intervento di Beppe Grillo; l’Elevato ha troppe grane giudiziarie per perdere l’interlocutore sul Colle più alto. È Casini, ultimo baluardo degli illusi, a far capire con tre tweet che la partita è finita. «Togliete il mio nome dalla corsa alla presidenza», «Il Parlamento chieda a Mattarella di restare», «Tutto è bene quel che finisce bene». Prima e meglio dell’Ansa.Ai capi delegazione l’ex inquilino del Colle non vede l’ora di rivelare: «Non nascondo che avrei avuto altri progetti, ma se necessario sono a disposizione». Dopo tanti no arriva il sì e il ritorno al passato è compiuto. Mattarella prende 387 voti nella prova generale del mattino e sfonda il quorum a sera lasciando la Costituzione in portineria. Giurerà il 2 febbraio per un mandato pieno; se va bene sono 14 anni, un re fuori dal tempo nella penombra della Repubblica. Ad essere felici sono lui (mai creduto alla pantomima del trasloco), gli apparati dem del Quirinale e la sinistra polverosa degli Andrea Orlando e dei Roberto Speranza. Tutti gli altri fanno finta. Soprattutto Draghi, che sperava di compiere il salto triplo e invece si ritrova impantanato a palazzo Chigi pur «grato a Mattarella per avere assecondato la volontà del parlamento» . Ha perso Letta che si rifugia nelle banalità: «È una bella giornata per l’Italia, la ragione vera del successo è la capacità di giocare di squadra» (alle tre di notte aveva contro mezzo partito). E ancora: «Ci sono state frizioni è un corto circuito mediatico con gli alleati, ma ora è tutto alle spalle». Ha perso Salvini che deve prendere un’autobotte di Alka Seltzer per digerire la Balena bianca: «Andiamo a testa alta, abbiamo scelto noi per il bene del paese. Ci sono stati troppi veti e la situazione andava sbloccata. Abbiamo dimostrato grande compattezza, forse ho esagerato in lealtà e generosità». Ora dovrà ricucire strappi interni. Giorgetti, draghiano di ferro, butta lì: «Qualcuno va al Quirinale e qualcun altro va a casa»; qualche sito scrive di possibili dimissioni da ministro ma lui smentisce. Ha perso Conte, che ha avuto la conferma di parlare per se stesso in un movimento ingestibile. Ha perso Matteo Renzi, irrilevante Signorno dentro la pancia della sinistra, considerato un Richelieu solo dai giornali amici. Ha perso Berlusconi che si è visto bruciare un candidato dai suoi e con la decisione di «cercare accordi da soli» ha mandato in frantumi la coalizione. Giorgia Meloni assiste al rogo della casa con compìta rassegnazione. Quando Salvini si arrende con la frase «Abbiamo bisogno di lui», lei twitta: «Non voglio crederci». Poi tira le somme: «Il Parlamento dimostra di non essere all’altezza degli italiani che dovrebbe rappresentare, i partiti hanno scelto di tirare a campare. Noi abbiamo avuto una sola parola, il centrodestra in parlamento mi pare non esista più. È maggioranza nel Paese ma va rifondato». Finisce a pesci in faccia, non tutto rimane immobile nella palude Italia. «In fondo si risparmia sulle foto nei pubblici uffici», ride amaro un leghista smarrito. Sarà la stessa anche nei santuari della giustizia malata, dove Mattarella guarda spesso da un’altra parte.
Francesca Albanese (Ansa)
Andrea Sempio. Nel riquadro, l'avvocato Massimo Lovati (Ansa)