2020-05-18
«L'Italia salva Silvia Romano, ma lascia imprenditori italiani innocenti in carcere in Qatar»
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Luigi Di Maio e Mohammed bin Abdulrahman Al-Thani (Ansa)
Ferruccio Cerruti e Riccardo Scalzi della società Etea, imprenditori italiani che hanno aiutato a realizzare la metropolitana di Doha, sono stati sequestrati per mesi dalle autorità qatarine. Il primo è dovuto scappare a nuoto, il secondo è stato anche arrestato senza aver commesso alcun reato, come una sentenza gli ha riconosciuto. Lasciati soli dall'ambasciata e dal ministro degli Esteri per tornare in Italia hanno dovuto cavarsela da soli.«L'Italia non lascia indietro nessuno» ama spesso ripetere il ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Lo faceva quando era ministro dello Sviluppo Economico, lo ha ripetuto dopo il ritorno in patria della cooperante italiana Silvia Romano, a bordo di un aereo dell'Aise, il nostro servizio segreto estero e dopo il pagamento di un riscatto. Eppure non va sempre così. Tanti italiani nel mondo in questi anni hanno dovuto cavarsela da soli. E questo non è accaduto in contesti difficili come quello della Somalia dove spesso i dipendenti delle Ong vengono mandati allo sbaraglio. Ma succede in paesi cosiddetti amici, dove l'imprenditoria italiana in teoria dovrebbe essere valorizzata. E' il caso del Qatar di Tamim bin Hamad Al Thani, grande amico del nostro ministro degli Esteri, anche grazie ai buoni uffici dell'ex ambasciatore italiano a Doha Pasquale Salzano, ora in Simest e compaesano di Di Maio: entrambi sono di Pomigliano D'Arco. Come già raccontato dalla Verità in Qatar ci sono decine di italiani prigionieri delle leggi qatarine. Chi vuole fare impresa spesso rischia soldi e persino la violazione dei propri diritti, senza che la Farnesina possa muover un dito. Lo «sponsor», ovvero il socio che gestisce una società con uno straniero, ha il potere di negare il permesso di uscita dal Paese. In pratica i diritti dei dipendenti di una società sono spesso nelle mani del proprio azionista di maggioranza, un'assurdità che anche Amnesty International ha condannato più volta. E' la cosiddetta Kafala, legge che permette quindi all'azionista qatarino di fermare nel paese fino al 5% del personale apicale che lavora nella società. A raccontarlo al nostro giornale è stato l'imprenditore Ferruccio Cerruti, titolare della Etea ,società specializzata in sicurezza industriale e civile. Fu contattato da Hamad bin Suhaim Al Thani, della famiglia regnante di Doha e creò nel 2015 la Etea Gulf con la promessa di importanti commesse nel paese. Peccato che 4 anni dopo Cerruti sia stato costretto a scappare in kayak dal Qatar, via Barhein (7 ore di navigazione) per ritornare in Italia. Rischiava di essere arrestato, nella totale indifferenza dell'ambasciatore Salzano. Ma in quel periodo a fare le spese delle leggi del paese arabo sono stati anche i suoi dipendenti, che sono stati rinchiusi in carcere con accuse del tutto inventate e solo a scopo di ricatto. Riccardo Scalzi è uno di questi. E' super visore, deputy manager della Etea. Nel 2017 si trova a Doha per lavorare alla realizzazione della metropolitana. Tutto va bene fino ai primi di maggio del 2018. «Avevo prenotato un aero per ritornare in Italia in ottobre, anche perché avevo un'operazione fissata in Italia per motivi di salute. Quando mi ritrovo al gate di imbarco mi bloccano. Non posso lasciare il paese» spiega Scalzi alla Verità. «Mi dicono rivolgiti al tuo sponsor e non posso andarmene, è duopo precisare che l'exit permit era in carico al general manager Cerruti e non allo sponsor qatarino in quanto io non ero inquadrato con posizione apicale in seno all'azienda, inutile dire che ero autorizzato al rientro da Cerruti». In quei mesi Cerruti è in Italia. Lo sponsor vuole che ritorni. Ci sono stati dei problemi. Ma i lavori sulla metropolitana devono continuare e i legali gli sconsigliano di rientrare: è troppo pericoloso. Scalzi inizia a chiamare l'ambasciata e chiede spiegazioni. «Mi dissero che non sapevano nulla, che fino a quando non ci fosse stato un arresto non avrebbero potuto aiutarmi», continua Scalzi. Subito dopo però succede qualcosa di strano. «Avevamo appena ricevuto un pagamento importante per una commessa. Dovevo pagare i fornitori e i dipendenti. Per questo motivo chiedo alla segretaria egiziana di procedere ai pagamenti » continua Scalzi. Ma c'è qualcosa che non va. «Mi disse che i soldi non c'erano, anche se non c'erano mai stati problemi nei mesi passati. Il problema è che era d'accordo sia con il nostro Cfo Tamer Gamal sia con lo sceicco» aggiunge. «Perché dopo qualche giorno paga gli stipendi, ma poi risvuota il conto». Qui accade qualcosa di incredibile. Dopo aver chiesto di controllare la cassetta di sicurezza, di cui aveva il codice solo la segretaria, Scalzi viene arrestato dalla polizia qatarina. «Mi accusa di aver cambiato il codice, cosa che non era possibile. E in un paio d'ore mi portano alla stazione di polizia». Incomincia un incubo vero e proprio. «Non posso avere un avvocato di fiducia, l'unico permesso deve essere del Qatar. Mi costa 3500 euro. Rimango nel posto di polizia per più di 8 ore. Spiego che sono un dipendente. Ferruccio manda anche un mail dove spiega che era mio diritto poter visionare la cassetta di sicurezza. Ma con un escamotage mi accusano di aver insultata la segretaria perché aveva il capo coperto, una delle più gravi violazioni delle legge islamica, punibile con la carcerazione immediata perché c'è il rischio della pena di morte». E l'ambasciata? «Li ho chiamati e non si è fatto vedere nessuno». Quindi Scalzi finisce in prigione. Con lui ci sono tanti altri casi come il suo, dall'infermiere filippino che ha seguito gli ordini di un medico per fare un'iniezione finita male a un paziente fino al titolare cingalese di un negozio di Doha che si era lamentato perché una signora gli aveva sbarrato l'entrata con l'auto. «Quella notte è arrivato anche un ragazzo maghrebino che ha iniziato a tagliarsi le vene con una palettina del caffè che era riuscito a nascondere nelle pieghe della felpa». La mattina dopo c'è il processo. E' in arabo. Non ci sono traduttori. La sentenza è di non luogo a procedere. Ma comunque Scalzi resta dentro. Viene rilasciato il giorno dopo ma non può lasciare il paese di sicuro fino a quando Cerruti non ritornerà in Qatar. A novembre rientra, Scalzi viene liberato e può rientrare in Italia. «Quando sono riuscito a uscire dal carcere l'ambasciata mi ha convocato per sapere cosa era successo. Gli ho risposto che mi sarei aspettato una maggiore attenzione e aiuto durante la prigionia». Non solo. «Alcuni giorni dopo la mia scarcerazione venni a sapere che il mio blocco in Qatar era stato ordinato da Tamer Gamal che d'accordo con la segretaria della nostra azienda aveva orchestrato il mio arresto per forzare Cerruti a rientrare in Qatar» conclude Scalzi. I problemi non finiscono qui. Perché poi sarà Cerruti a dover fuggire da Doha, prima a nuoto e poi in kayak. A distanza di mesi la Farnesina non ha ancora voluto fare approfondimenti sulla vicenda. Salzano nel frattempo è stato spostato in una controllata di Cdp.
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