2021-02-24
«L’Italia ha detto il falso all’Oms»,. Il «Guardian» smaschera Speranza
L'autorevole quotidiano britannico ricostruisce bugie e depistaggi dei giallorossi sul piano pandemico Il nostro Paese si è promosso a pieni voti durante l'emergenza coronavirus facendo leva su dati fasulli «L'Italia ha mentito all'Oms sul piano pandemico». L'accusa, piuttosto grave, stavolta non è stata mossa da qualche fonte di parte o dai parlamentari di Giorgia Meloni. No, a bacchettare il nostro Paese, nelle scorse ore, è stato nientemeno che il Guardian, lo storico quotidiano britannico che, in un articolo a firma di Angela Giuffrida, ha ricostruito un altro tassello del mosaico che illustra le responsabilità del ministro della Salute Roberto Speranza e, in generale, della compagine giallorossa. Il giornale inglese è partito da una premessa: tutti gli Stati membri dell'Oms sono ogni anno tenuti, a norma di regolamento sanitario internazionale, a fornire una valutazione – un'autocertificazione, di fatto – riguardante il loro effettivo grado di preparazione nel contrasto a una possibile emergenza sanitaria. Un passaggio che evidentemente non è solo formale, ma serve a fornire un quadro completa della situazione sanitaria europea e internazionale.Ebbene, secondo quanto ricostruito dal Guardian (che ha potuto visionare documenti di cui, nelle scorse settimane, anche La Verità aveva in parte dato conto) in data 4 febbraio 2020 l'Italia ha clamorosamente mentito. Vediamo di spiegare. Nella sezione C8 della autovalutazione, agli Stati viene richiesto di fornire informazioni sulla capacità complessiva a fronteggiare un'emergenza in materia di salute. Ogni nazione è chiamata a darsi un punteggio in base al proprio grado di preparazione. Ebbene, l'Italia aveva segnalato un «livello 5». Il massimo. Un anno fa il «siamo prontissimi» di Giuseppe Conte non risuonava quindi solo nello studio di Lilli Gruber. Veniva pure messo nero su bianco e comunicato all'Oms e, attraverso di essa, a tutti gli altri Stati del globo. Abbiamo detto al mondo di essere preparatissimi ad affrontare una pandemia. E lo abbiamo detto proprio mentre il Covid si stava abbattendo su di noi. I giallorossi si sono vantati, hanno offerto all'organizzazione sovranazionale garanzie che in realtà non potevano fornire. Come siano andate le cose in seguito è ormai noto. E infatti il Guardian ci va giù pesante. «Lo scorso anno è emerso che l'Italia non aveva aggiornato il suo piano pandemico nazionale dal 2006, fattore che potrebbe aver contribuito ad almeno 10.000 vittime per Covid-19 durante la prima ondata», dice il quotidiano britannico. Non è finita. Il Guardian, evidentemente estraneo alla sudditanza istituzionale di certa nostra stampa, ha pure ricordato che l'autovalutazione fornita dall'Italia all'Oms non era in parte, ma quasi tutta fasulla. A tal riguardo, è stata richiamata un'analisi di Pier Paolo Lunelli, autore di protocolli pandemici in diversi Stati europei già intervistato dalla Verità, secondo cui 60 risposte su 70 di quelle fornite dai nostri vertici sanitari nell'autovalutazione sono da considerarsi «infondate». In quest'analisi, ora nella disponibilità della Procura di Bergamo, il report di autovalutazione viene definito come «un castello di prove che comprova il livello d'impreparazione» con cui, come Italia, ci siamo «avvicinati all'emergenza coronavirus». Le panzane dette all'Oms, dunque, sono ben più di uno sgarbo istituzionale ma rappresentano, a detta del giornale inglese, una pistola fumante davanti alla quale, se da un lato restano da definire bene le responsabilità, dall'altro non v'è dubbio alcuno sul fatto che il grilletto sia stato premuto. «Abbiamo mentito ai cittadini italiani sostenendo che eravamo pronti», ha spiegato Lunelli al Guardian, aggiungendo: «Peggio ancora, abbiamo cercato di ingannare anche l'Oms, l'Ue e gli altri Paesi europei più previdenti».In effetti, qui di mezzo non c'è più soltanto, sempre che sia poco, l'Oms, bensì l'intera comunità internazionale, che ha inevitabilmente fatto le spese del nostro sventurato dirci «prontissimi». Fortuna che ai pur vigili inglesi è sfuggito un dettaglio raccontato su queste pagine ieri, e cioè che se è vero che avevamo un piano pandemico superato, quello ormai famigerato del 2006, è altresì indubbio come la tempestiva attivazione dello stesso a gennaio 2020 avrebbe comunque potuto aiutare. Il pur datato programma, infatti, prevedeva misure come la «protezione del personale sanitario», l'«individuazione di percorsi specifici per i malati o sospetti tali», la «sospensione degli eventi di massa», l'«uso delle mascherine» e tanto altro. Di più: si accennava persino a una campagna vaccinale. Beninteso: la pandemia non sarebbe comunque stata una passeggiata. Ciò tuttavia non toglie che, se agli inizi dello scorso anno Conte e Speranza avessero suonato i campanelli di allarme, anziché farci passare come i primi della classe, gli eventi avrebbero preso probabilmente un'altra piega. Invece, nell'ordine: non si è attivato subito il piano del 2006, si è presa per i fondelli la comunità internazionale raccontando bugie, e si sono pure invitati gli italiani darci dentro con gli abbracci e gli aperitivi. A confronto, l'orchestra sul ponte del Titanic, rimasta impassibile mentre la nave si inabissava, fu esempio di zelo. Il quadro dell'azione giallorossa è sconfortante. Hanno mentito sul piano pandemico. Hanno mentito all'Oms. Hanno mentito pure sul cosiddetto piano segreto di cui parlò in una intervista al Corriere della sera il dirigente del ministero della Salute Andrea Urbani. Obbligati dal Tar a darne copia dopo che Galeazzo Bignami e Marcello Gemmato di FdI ne avevano fatto richiesta, Speranza e i suoi hanno fornito prima un documento, poi un altro, poi hanno inviato una comunicazione ufficiale sostenendo che il piano segreto non è mai esistito. Insomma, hanno costruito un gigantesco castello di bugie che ora sta crollando balla dopo balla. Purtroppo, però, i responsabili dello sfascio sono ancora tutti al loro posto.
(Guardia di Finanza)
I peluches, originariamente disegnati da un artista di Hong Kong e venduti in tutto il mondo dal colosso nella produzione e vendita di giocattoli Pop Mart, sono diventati in poco tempo un vero trend, che ha generato una corsa frenetica all’acquisto dopo essere stati indossati sui social da star internazionali della musica e del cinema.
In particolare, i Baschi Verdi del Gruppo Pronto Impiego, attraverso un’analisi sulla distribuzione e vendita di giocattoli a Palermo nonché in virtù del costante monitoraggio dei profili social creati dagli operatori del settore, hanno individuato sette esercizi commerciali che disponevano anche degli iconici Labubu, focalizzando l’attenzione soprattutto sul prezzo di vendita, considerando che gli originali, a seconda della tipologia e della dimensione vengono venduti con un prezzo di partenza di circa 35 euro fino ad arrivare a diverse migliaia di euro per i pezzi meno diffusi o a tiratura limitata.
A seguito dei preliminari sopralluoghi effettuati all’interno dei negozi di giocattoli individuati, i finanzieri ne hanno selezionati sette, i quali, per prezzi praticati, fattura e packaging dei prodotti destavano particolari sospetti circa la loro originalità e provenienza.
I controlli eseguiti presso i sette esercizi commerciali hanno fatto emergere come nella quasi totalità dei casi i Labubu fossero imitazioni perfette degli originali, realizzati con materiali di qualità inferiore ma riprodotti con una cura tale da rendere difficile per un comune acquirente distinguere gli esemplari autentici da quelli falsi. I prodotti, acquistati senza fattura da canali non ufficiali o da piattaforme e-commerce, perlopiù facenti parte della grande distribuzione, venivano venduti a prezzi di poco inferiori a quelli praticati per gli originali e riportavano loghi, colori e confezioni del tutto simili a questi ultimi, spesso corredati da etichette e codici identificativi non conformi o totalmente falsificati.
Questi elementi, oltre al fatto che in alcuni casi i negozi che li ponevano in vendita fossero specializzati in giocattoli originali di ogni tipo e delle più note marche, potevano indurre il potenziale acquirente a pensare che si trattasse di prodotti originali venduti a prezzi concorrenziali.
In particolare, in un caso, l’intervento dei Baschi Verdi è stato effettuato in un negozio di giocattoli appartenente a una nota catena di distribuzione all’interno di un centro commerciale cittadino. Proprio in questo negozio è stato rinvenuto il maggior numero di pupazzetti falsi, ben 3.000 tra esercizio e magazzino, dove sono stati trovati molti cartoni pieni sia di Labubu imbustati che di scatole per il confezionamento, segno evidente che gli addetti al negozio provvedevano anche a creare i pacchetti sorpresa, diventati molto popolari proprio grazie alla loro distribuzione tramite blind box, ossia scatole a sorpresa, che hanno creato una vera e propria dipendenza dall’acquisto per i collezionisti di tutto il mondo. Tra gli esemplari sequestrati anche alcune copie più piccole di un modello, in teoria introvabile, venduto nel mese di giugno a un’asta di Pechino per 130.000 euro.
Soprattutto in questo caso la collocazione all’interno di un punto vendita regolare e inserito in un contesto commerciale di fiducia, unita alla cura nella realizzazione delle confezioni, avrebbe potuto facilmente indurre in errore i consumatori convinti di acquistare un prodotto ufficiale.
I sette titolari degli esercizi commerciali ispezionati e destinatari dei sequestri degli oltre 10.000 Labubu falsi che, se immessi sul mercato avrebbero potuto fruttare oltre 500.000 euro, sono stati denunciati all’Autorità Giudiziaria per vendita di prodotti recanti marchi contraffatti.
L’attività s’inquadra nel quotidiano contrasto delle Fiamme Gialle al dilagante fenomeno della contraffazione a tutela dei consumatori e delle aziende che si collocano sul mercato in maniera corretta e che, solo nell’ultimo anno, ha portato i Baschi Verdi del Gruppo P.I. di Palermo a denunciare 37 titolari di esercizi commerciali e a sequestrare oltre 500.000 articoli contraffatti, tra pelletteria, capi d’abbigliamento e profumi recanti marchi delle più note griffe italiane e internazionali.
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