2024-10-11
L’ipocrisia dei nomi «non di parte»
Francesco Saverio Marini (Imagoeconomica)
Dieci componenti sono scelti da Camere e Quirinale. Tra loro, pure ex premier come Giuliano Amato. Ma la Corte fa politica anche quando spinge a legiferare su una certa materia.Continua sui giornali e nei dibattiti televisivi la polemica sulla mancata elezione, da parte del Parlamento in seduta comune, del giudice costituzionale mancante, e si analizzano le strategie, della maggioranza e dell’opposizione, che hanno determinato questa situazione di stallo. E si polemizza, da parte di alcuni commentatori, sul nome indicato dal presidente Meloni, quello del prof. Francesco Saverio Marini, ordinario di Diritto pubblico, che si vorrebbe incompatibile con il ruolo di componente della Consulta in quanto consulente giuridico del presidente del Consiglio e quindi autore di alcune iniziative legislative, come quella sul cosiddetto «premierato». Pochi rilevano l’ipocrisia di questa osservazione perché trascurano casi precedenti, di personalità politiche chiamate a svolgere funzioni di giudice della Consulta, eletti dalle Camere o nominati dal presidente della Repubblica. In primo luogo Giuliano Amato, più volte ministro, presidente del Consiglio, esponente di primo piano del Partito socialista italiano, quindi chiamato a giudicare in quella sede norme che, molto probabilmente, saranno state approvate da parlamentari del suo partito o comunque della sua area politica.Lo stesso Mattarella è giunto al Quirinale avendo attraversato l’omonima piazza dove siede la Corte costituzionale, della quale è stato componente, avendo svolto un ruolo importante nella Democrazia cristiana e nel governo, di ministro e di vicepresidente del Consiglio.Nessuno ha messo in dubbio l’indipendenza dell’uno e dell’altro perché, come ha sentenziato la stessa Corte, a proposito delle nomine governative al Consiglio di Stato e alla Corte dei conti, i consiglieri nominati da Palazzo Chigi perdono il collegamento con la loro pregressa posizione istituzionale nel momento in cui diventano giudici e, pertanto, indipendenti.E qui si impone qualche altra riflessione perché non va trascurato che la Corte costituzionale è un giudice «politico» come è evidente nella sua composizione se, su 15 giudici, dieci sono eletti o nominati da personalità politiche, tanto i cinque di competenza del Parlamento quanto i cinque nominati dal capo dello Stato. Pochi, inoltre, hanno osservato come i presidenti della Corte costituzionale, nelle annuali relazioni sull’attività svolta, abbiano sistematicamente manifestato idee nettamente politiche, come quelle di sollecitare le Camere a fare questa o quella legge, dimenticando che il Parlamento è sovrano e decide di fare o di non fare, perché questa è scelta della politica e il giudice delle leggi, che deve verificare la coerenza di una norma ai princìpi della Costituzione, ha solo questo compito e non quello di richiamare il Parlamento a legiferare in un certo modo o su una determinata materia. Eppure, nessuno dei presidenti di Camera e Senato, presenti nell’occasione, si è alzato per dire al presidente della Corte di stare al suo posto.La polemica quindi su Francesco Saverio Marini, giurista illustre, figlio d’arte, si potrebbe dire, per essere figlio di Annibale che la Consulta ha presieduto, è assolutamente fuor di luogo.A margine, tuttavia, non si può fare a meno di osservare che sarebbe bene, considerata la maggioranza richiesta per l’elezione, che i partiti trovino una ragionevole intesa intorno a personalità che, pur in qualche modo «di area», siano identificabili per la loro indipendenza, per la loro cultura giuridica e per il loro equilibrio, che è una virtù della quale poco si parla ma che invece è naturalmente connaturata all’esercizio di funzioni giurisdizionali. Lasciare la Corte per troppo tempo, come in questa occasione (quasi un anno), priva di uno dei giudici, in un collegio tutto sommato ristretto, è un fatto gravissimo che denota incapacità della maggioranza e dell’opposizione di dialogare proficuamente su un’istituzione di garanzia per giungere ad una congiunta identificazione dei possibili candidati. Come, del resto, è sempre accaduto.
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