
Quante bugie e inesattezze da parte dei nostri giornali. Donald Trump non è «cattivo», è Bruxelles che ha dato aiuti illeciti ad Airbus. Il costo del Parmigiano lieviterà di 5 dollari al chilo, è vero, ma non sarà questo aumento a fargli perdere lo scontro con il Parmesan.Caro direttore, tutti sanno che Donald Trump ha deciso di aumentare i dazi su alcuni prodotti europei, fra cui il nostro parmigiano reggiano. Pochi hanno evidenziato che Trump non si è svegliato storto una mattina, per prendere questa decisione. Gli Usa, prima di lui, hanno seguito il protocollo internazionale, attendendo la sentenza della World trade organization, l'ente internazionale che giudica proprio eventuali squilibri delle importazioni fra Stati. Ecco, il Wto ha ritenuto legittimo l'aumento, giustificandolo in circa 7,5 miliardi di dollari a favore degli Usa. Questo determina il primo stridio fra la verità e quanto comunicato dai grandi media. Il secondo litigio fra verità e comunicazione è il pianto greco, anzi italiano, sul «raddoppio dei prezzi al consumo» che confondevano l'eventuale incremento del minacciato raddoppio al dazio preesistente (eh sì: i dazi ci sono, da sempre) con il prezzo al pubblico. Alcuni esempi? Nicola Bertinelli, presidente dell'Associazione dei produttori dell'omonimo consorzio, a cui hanno subito fatto eco la deputata pd Antonella Incerti e il deputato M5s Davide Zanichelli (il partito unico c'è già…), entrambi di Reggio Emilia. Nemmeno Cassandra avrebbe fatto una previsione nefasta quanto la loro: «Una drammatica riduzione delle vendite pari al 90% del totale». In pratica la fine di un mercato consolidato in decine di anni di investimenti e profitti. L'occupazione di decine di migliaia di lavoratori emiliani spazzata via per una decisione di Trump? Ci sarebbe da ridere, ma tutto ciò rappresenta il livello di superficialità (per non dir di peggio) della comunicazione di certi imprenditori, politici e giornalisti. Basta riordinare i numeri: si sta parlando di un aumento di circa 4 o 5 dollari al chilo, che sul prezzo al pubblico è pari al 10%. Se infatti, come sembra ormai appurato, si applicasse un aumento del 25%, l'attuale dazio, che è del 15, aumenterebbe sì al 40% (15+25), ma percentualizzato sul prezzo d'importazione l'aumento sarà ben più basso, riducendo di molto l'incidenza. Tutto ciò senza considerare che il diretto competitor (il vituperato Parmesan) ha sempre fatto del basso prezzo la sua arma competitiva, godendo di un gap già talmente elevato da rendere un aumento del 10% del tutto irrilevante per le vendite della nostra amata Dop. Insomma, con i dazi si avrà un aumento sensibile ma non devastante, rappresentato come catastrofe forse per interessi economici, sicuramente per rendere sempre più «sovranista» il «cattivone» Trump. Il verdetto del Wto, peraltro, è arrivato in relazione ad aiuti di Stato concessi in Europa, e quindi avallati da tutti gli Stati membri, a favore di Airbus, consorzio francotedesco di produzione di aerei, determinando una slealtà commerciale nei confronti della statunitense Boeing. Molti qui hanno aumentato i lamenti: «Che c'entra il nostro formaggio con gli aerei dei tedeschi?». Niente, ma… è l'Europa, bellezza. La mia esperienza manageriale e imprenditoriale mi fa tornare in mente le tante battaglie nelle diverse associazioni industriali alimentari di cui sono stato membro. Ogni semestre combattevo contro la diminuzione dei dazi che aprivano alle importazioni dai Paesi terzi (Asia, Africa, Centro e Sudamerica). Difendevo, perdendo, la produzione in Italia tentando di oppormi al solito giochino che aveva come conseguenza la continua diminuzione del lavoro nel nostro Paese. Mi trovavo in opposizione a chi desiderava importare sempre più semilavorati, o peggio ancora prodotti finiti, da Paesi terzi dove il lavoro non è troppo diverso dalla schiavitù, con il miope fine di abbassare i propri costi nazionali: soggetti nella maggior parte dei casi stranieri, o perlomeno di (casa) madre straniera. C'era poi chi interpretava gli interessi dei produttori di mercati completamente diversi: meccanici, farmaceutici o altro ancora. Cosa c'entravano loro con pesce, polpa di pomodoro, dadi per brodo? Niente, se non uno scambio: io ti metto, o ti lascio, un dazio in più e tu in contropartita mi lasci, o mi metti, un dazio in meno su altro. Capitava (e capita tuttora) che le produzioni dei «nordici», ancor più se tedeschi, avessero sempre la meglio. Perché? Diciamo che rappresentanti di quei Paesi sono migliori dei nostri nelle trattative: altre ipotesi dovrebbero tirare in ballo una sorta di sindrome di Stoccolma.