2019-01-28
Del Debbio: «Torno in Tv con la mia gente comune»
Il giornalista Paolo De Debbio: «Da febbraio sarò di nuovo su Rete 4. La chiusura? Sono stato la scappatoia per coprire altri guai. Salvini parli più di altri temi, oltre all'immigrazione. Forza Italia? Sia più propositiva. Il Pd? Cerchi di esistere».Direbbe Sandro Piccinini al fischio d'inizio della partita: «L'attesa è finita». Paolo Del Debbio torna in prima serata su Rete 4, verso fine febbraio. Ha accettato di conversare a tutto campo con La Verità. Hai agito come un termometro efficace, e qualcuno ti ha accusato perché la febbre era alta. «Per la verità, dal 2012 al 2018 io ho sempre fatto lo stesso programma, per certi versi. Nel frattempo, sono cambiati i personaggi al governo, ma non la filosofia della trasmissione. Eppure alcuni - non di rado, gli stessi - mi hanno dato di volta in volta del berlusconiano, del renziano, del grillino, del leghista. Se ti accusano di tutto e del suo contrario, vuol dire che non sanno più come attaccarti». Tra un urlo e una piazza, un ospite ululante e uno immigrazionista, hai raccontato fra i primissimi la grande sofferenza dei ceti medi e medio-bassi, la questione irrisolta dei migranti…«Vedi, erano cose negate. Il Pd scelse tardivamente Marco Minniti all'Interno, e altrettanto tardivamente approvò il reddito di inclusione. A mio parere, furono i temi su cui Matteo Renzi perse il referendum di fine 2016. Ed erano le questioni che nella mia trasmissione facevano la parte del leone».Ma possibile che tanti, nelle élite politiche e mediatiche, non avessero capito che ogni elezione stava diventando un'occasione di vendetta verso di loro? «Non hanno cognizione delle condizioni di vita di gran parte degli italiani, di quelli che - soprattutto nelle metropoli - vivono ai margini, nelle periferie. Chi ha meno soldi vive proprio dove arrivano - tanti o pochi che siano - gli immigrati. Ecco, queste cose non sono conosciute dal politico medio, che (a destra come a sinistra) conosce le persone che vivono in una certa parte delle città… Mentre quegli altri italiani (e sono 20-25 milioni di elettori!) vivono in un cono d'ombra, non hanno voce né strumenti per farsi sentire».E tuttora - vale per Donald Trump, Brexit, Viktor Orbán, Jair Bolsonaro, Matteo Salvini, nelle loro diversità - molti dei loro avversari li trattano come parentesi da chiudere…«Stessa questione. Molti attaccano i populisti, “guardano il corpo" del populista, ma non vedono ciò che il dito del populista indica. Prendi l'opposizione a questo governo. Non si occupa dei problemi, ma si limita ad attribuire aggettivi: “Fascisti, sfascisti, incompetenti". Per carità: ci può essere del vero. E certo molti nel governo non hanno competenza, sono grotteschi, dicono sfondoni pazzeschi. Ma ciò non toglie che indichino problemi reali».Veniamo a te. Spiegaci il segreto. Chi sa leggere tra le righe può distinguere tra il registro «pop» delle tue trasmissioni e la tutt'altro che grossolana lettura sociale retrostante. Sei un sofisticato intellettuale che però sa parlare alla signora in ascolto…«Tutto nasce da una convinzione: che sia legittimo dare voce alla common people, all'ordinary people (non farmi dire “gente"). La domanda è: queste persone hanno o no la legittimità di parlare, anche se a volte in modo sgangherato? Possono dire la loro, oppure devono essere per forza rappresentati da qualcuno che - come si è visto - in realtà non li rappresenta affatto? Ecco, io invece di far parlare i politici fra loro, li ho fatti parlare con questi cittadini».Un paio d'anni fa hai pubblicato un libro a mio avviso importante (Più etica nel mercato? L'inganno di un luogo comune e le responsabilità della politica, Marsilio). Parti massacrando elegantemente Thomas Piketty (sostenitore di un sistematico intervento dello Stato), Serge Latouche (profeta della cosiddetta decrescita), e forse indirettamente anche il loro leader di riferimento, papa Francesco.«Questi signori dicono: “Ci vuole più etica, c'è mancanza di etica". Domando: ma quale etica? Ce ne sono tante possibili. Bisogna capire quanti cittadini si identifichino nel loro massimalismo etico. Ma siamo al solito avvitamento: siccome loro sono intellettuali, pensano di essere nel giusto, e che gli altri debbano adeguarsi. Vedi, finché un'omelia la fa la Chiesa, è un'esortazione apostolica. Ma che un economista si appelli a questa mancanza di etica non regge…». Gli avversari ideologici del mercato sparano sempre tre cartucce: la disuguaglianza, i rischi per l'ambiente, la mancanza di una governance globale. Tutta colpa del liberismo, dicono.«Non nego che ci siano stati veri briganti nel mercato. Ci sono tre problemi: scrivere le regole, farle rispettare, sanzionare chi sbaglia. Ma se questo non accade, è colpa dei pubblici poteri, mica del mercato».E tu li spiazzi dicendo che sono andati fuori tema. Che stanno chiedendo al mercato qualcosa che al mercato non compete. Che il mercato deve fare il mercato, e lo Stato deve fare lo Stato. «Come diceva il grande Luigi Einaudi, il mercato risponde alla domanda (e a chi è in grado di proporla), non ai bisogni. Se un povero passa davanti al fornaio, il fornaio non gli darà alcun pane: o, se lo fa, lo fa in quanto persona, in quanto buon cattolico, buon ebreo, non in quanto fornaio». Poi però dai una spiegazione spiazzante pure ai nostri comuni amici liberali. Non basta fare del mercato un catechismo. E sarà pure compito di qualcun altro occuparsi di chi è indigente. «Questa è una carenza non dei padri del liberalismo, ma dei loro accoliti. Se prendi Luigi Einaudi, o Friedrich von Hayek, o Milton Friedman, tutti e tre hanno indicato la necessità di uno strumento di policy per venire incontro a chi è povero. Pensa all'imposta negativa di Friedman, o al dettagliatissimo elenco di politiche sociali di Einaudi. Oggi invece sento solo dire: “Serve il lavoro". Certo, sono d'accordo, ovviamente. Ma se uno, per una fase, è senza lavoro e senza reddito, che facciamo, lo diamo in pasto ai leoni? Ci possono essere misure transitorie. In questo senso, lo strumento del reddito di cittadinanza potrà magari essere criticabile o sbagliato, ma il problema c'è. Non è che siccome siamo liberali, allora i poveri smettono di essere un problema». I sovranisti queste cose le hanno capite. Ma non temi che esagerino all'opposto, cioè nell'eccesso di fiducia verso lo Stato? Mega piani di spesa, una crescente latitudine dell'intervento statale… «Più che capire, le hanno intuite. Hanno intuito dei bisogni, hanno disegnato qualcosa sulla tela, ma manca la cornice. E infatti penso anch'io che abbiano troppa fiducia nell'intervento pubblico. Come dire: “I cattivoni del mercato non lo fanno? E allora lo fa lo Stato". Eh sì, ma devi vedere se costa di più e produce di meno…Vedi, vorrei consigliar loro di ristudiare la differenza tra ciò che è accaduto in Italia con Alcide De Gasperi, e quello che invece è successo dopo, con il centrosinistra. In epoca degasperiana, ci fu anche un qualche interventismo, ma era a tempo, legato alla ricostruzione. La filosofia era: rianimiamo il mercato, e poi lo Stato va via. E invece poi, con Amintore Fanfani e il centrosinistra, col cavolo che lo Stato se ne andò via. Purtroppo rimase…».Queste cose le hai raccontate in tv non in termini di saggistica ma di narrativa, attraverso storie e volti. Chi hai fatto incazzare? «Guarda, ho sempre avuto un buon rapporto con il Cavaliere. Un po' meno con Forza Italia, dove c'è stata qua e là l'accusa che io portassi acqua al mulino di altri. Ma io non ho nulla contro di loro, né contro nessun altro. Quando sono in tv, ho l'atteggiamento mentale di un astenuto che dice: “Vi ascolto tutti, e vediamo chi mi convince"». Ma davvero qualcuno intorno al Cav pensa che il 4 marzo sia andato male perché la tua Quinta Colonna e i programmi di Maurizio Belpietro e Mario Giordano avevano agitato le masse? «Eh, qualcuno credo che l'abbia pensato… Ma sai, succede anche nella vita personale. Quando uno ha un problema e non lo vuole affrontare, cerca una scappatoia. Io sono stato la scappatoia. Quando in realtà il mio punto di vista è quello del programma del 1994, che ho contribuito a scrivere». Ora torni. Ci dici rete, giorno, ora? «Per ora posso dirti: Rete 4, in prima serata».Ti va di dare un consiglio a Salvini?«Parlare di più di problemi diversi dall'immigrazione»Ai 5 stelle?«Quello che dicevo prima: studiare la storia dell'intervento pubblico in Italia e la sua degenerazione».A Forza Italia?«Fare un'opposizione più propositiva».Al Pd?«Eh… difficile. Direi almeno: esistere, esserci».Ma secondo te perché Renzi non è sparito per un bel po' dopo il referendum, per il suo bene? Non c'è stato un amico che gliel'abbia consigliato? Ti racconto una cosa. Un mese fa ero al bar di una stazione, compare lui in tv, e parte un vaffanculo generale dei signori che stavano prendendo il caffè. Capisco che per lui possa essere doloroso, ma perché non ha elaborato questo lutto? «Eh, gli amici… La maggior parte di loro temeva forse che la sua fuoriuscita potesse causare anche la loro fuoriuscita… Quanto a lui, ha giocato la sua incertezza di fondo. Come la celebre scena di Nanni Moretti: “Mi si nota di più se vengo e sto in disparte o se non vengo…". C'è stato un momento in cui probabilmente si è chiesto: continuo a fare questo mestiere o metto a reddito la mia notorietà? Forse quell'incertezza pesa ancora».
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La consulenza super partes parla chiaro: il profilo genetico è compatibile con la linea paterna di Andrea Sempio. Un dato che restringe il cerchio, mette sotto pressione la difesa e apre un nuovo capitolo nell’indagine sul delitto Poggi.
La Casina delle Civette nel parco di Villa Torlonia a Roma. Nel riquadro, il principe Giovanni Torlonia (IStock)
Dalle sue finestre vedeva il Duce e la sua famiglia, il principe Giovanni Torlonia. Dal 1925 fu lui ad affittare il casino nobile (la villa padronale della nobile casata) per la cifra simbolica di una lira all’anno al capo del Governo, che ne fece la sua residenza romana. Il proprietario, uomo schivo e riservato ma amante delle arti, della cultura e dell’esoterismo, si era trasferito a poca distanza nel parco della villa, nella «Casina delle Civette». Nata nel 1840 come «capanna svizzera» sui modelli del Trianon e Rambouillet con tanto di stalla, fu trasformata in un capolavoro Art Nouveau dal principe Giovanni a partire dal 1908, su progetto dell’architetto Enrico Gennari. Pensata inizialmente come riproduzione di un villaggio medievale (tipico dell’eclettismo liberty di quegli anni) fu trasformata dal 1916 nella sua veste definitiva di «Casina delle civette». Il nome derivò dal tema ricorrente dell’animale notturno nelle splendide vetrate a piombo disegnate da uno dei maestri del liberty italiano, Duilio Cambellotti. Gli interni e gli arredi riprendevano il tema, includendo molti simboli esoterici. Una torretta nascondeva una minuscola stanza, detta «dei satiri», dove Torlonia amava ritirarsi in meditazione.
Mussolini e Giovanni Torlonia vissero fianco a fianco fino al 1938, alla morte di quest’ultimo all’età di 65 anni. Dopo la sua scomparsa, per la casina delle Civette, luogo magico appoggiato alla via Nomentana, finì la pace. E due anni dopo fu la guerra, con villa Torlonia nel mirino dei bombardieri (il Duce aveva fatto costruire rifugi antiaerei nei sotterranei della casa padronale) fino al 1943, quando l’illustre inquilino la lasciò per sempre. Ma l’arrivo degli Alleati a Roma nel giugno del 1944 non significò la salvezza per la Casina delle Civette, anzi fu il contrario. Villa Torlonia fu occupata dal comando americano, che utilizzò gli spazi verdi del parco come parcheggio e per il transito di mezzi pesanti, anche carri armati, di fatto devastandoli. La Casina di Giovanni Torlonia fu saccheggiata di molti dei preziosi arredi artistici e in seguito abbandonata. Gli americani lasceranno villa Torlonia soltanto nel 1947 ma per il parco e le strutture al suo interno iniziarono trent’anni di abbandono. Per Roma e per i suoi cittadini vedere crollare un capolavoro come la casina liberty generò scandalo e rabbia. Solo nel 1977 il Comune di Roma acquisì il parco e le strutture in esso contenute. Iniziò un lungo iter burocratico che avrebbe dovuto dare nuova vita alle magioni dei Torlonia, mentre la casina andava incontro rapidamente alla rovina. Il 12 maggio 1989 una bimba di 11 anni morì mentre giocava tra le rovine della Serra Moresca, altra struttura Liberty coeva della casina delle Civette all’interno del parco. Due anni più tardi, proprio quando sembrava che i fondi per fare della casina il museo del Liberty fossero sbloccati, la maledizione toccò la residenza di Giovanni Torlonia. Per cause non accertate, il 22 luglio 1991 un incendio, alimentato dalle sterpaglie cresciute per l’incuria, mandò definitivamente in fumo i progetti di restauro.
Ma la civetta seppe trasformarsi in fenice, rinascendo dalle ceneri che l’incendio aveva generato. Dopo 8 miliardi di finanziamenti, sotto la guida della Soprintendenza capitolina per i Beni culturali, iniziò la lunga e complessa opera di restauro, durata dal 1992 al 1997. Per la seconda vita della Casina delle Civette, oggi aperta al pubblico come parte dei Musei di Villa Torlonia.
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Oltre quaranta parlamentari, tra cui i deputati di Forza Italia Paolo Formentini e Antonio Giordano, sostengono l’iniziativa per rafforzare la diplomazia parlamentare sul corridoio India-Middle East-Europe. Trieste indicata come hub europeo, focus su commercio e cooperazione internazionale.
È stato ufficialmente lanciato al Parlamento italiano il gruppo di amicizia dedicato all’India-Middle East-Europe Economic Corridor (IMEC), sotto la guida di Paolo Formentini, vicepresidente della Commissione Affari esteri, e di Antonio Giordano. Oltre quaranta parlamentari hanno già aderito all’iniziativa, volta a rafforzare la diplomazia parlamentare in un progetto considerato strategico per consolidare i rapporti commerciali e politici tra India, Paesi del Golfo ed Europa. L’Italia figura tra i firmatari originari dell’IMEC, presentato ufficialmente al G20 ospitato dall’India nel settembre 2023 sotto la presidenza del Consiglio Giorgia Meloni.
Formentini e Giordano sono sostenitori di lunga data del corridoio IMEC. Sotto la presidenza di Formentini, la Commissione Esteri ha istituito una struttura permanente dedicata all’Indo-Pacifico, che ha prodotto raccomandazioni per l’orientamento della politica italiana nella regione, sottolineando la necessità di legami più stretti con l’India.
«La nascita di questo intergruppo IMEC dimostra l’efficacia della diplomazia parlamentare. È un terreno di incontro e coesione e, con una iniziativa internazionale come IMEC, assume un ruolo di primissimo piano. Da Presidente del gruppo interparlamentare di amicizia Italia-India non posso che confermare l’importanza di rafforzare i rapporti Roma-Nuova Delhi», ha dichiarato il senatore Giulio Terzi di Sant’Agata, presidente della Commissione Politiche dell’Unione europea.
Il senatore ha spiegato che il corridoio parte dall’India e attraversa il Golfo fino a entrare nel Mediterraneo attraverso Israele, potenziando le connessioni tra i Paesi coinvolti e favorendo economia, cooperazione scientifica e tecnologica e scambi culturali. Terzi ha richiamato la visione di Shinzo Abe sulla «confluenza dei due mari», oggi ampliata dalle interconnessioni della Global Gateway europea e dal Piano Mattei.
«Come parlamentari italiani sentiamo la responsabilità di sostenere questo percorso attraverso una diplomazia forte e credibile. L’attività del ministro degli Esteri Antonio Tajani, impegnato a Riad sul dossier IMEC e pronto a guidare una missione in India il 10 e 11 dicembre, conferma l’impegno dell’Italia, che intende accompagnare lo sviluppo del progetto con iniziative concrete, tra cui un grande evento a Trieste previsto per la primavera 2026», ha aggiunto Deborah Bergamini, responsabile relazioni internazionali di Forza Italia.
All’iniziativa hanno partecipato ambasciatori di India, Israele, Egitto e Cipro, insieme ai rappresentanti diplomatici di Germania, Francia, Stati Uniti e Giordania. L’ambasciatore cipriota ha confermato che durante la presidenza semestrale del suo Paese sarà dedicata particolare attenzione all’IMEC, considerato strategico per il rapporto con l’India e il Medio Oriente e fondamentale per l’Unione europea.
La presenza trasversale dei parlamentari testimonia un sostegno bipartisan al rapporto Italia-India. Tra i partecipanti anche la senatrice Tiziana Rojc del Partito democratico e il senatore Marco Dreosto della Lega. Trieste, grazie alla sua rete ferroviaria merci che collega dodici Paesi europei, è indicata come principale hub europeo del corridoio.
Il lancio del gruppo parlamentare segue l’incontro tra il presidente Meloni e il primo ministro Modi al G20 in Sudafrica, che ha consolidato il partenariato strategico, rilanciato gli investimenti bilaterali e discusso la cooperazione per la stabilità in Indo-Pacifico e Africa. A breve è prevista una nuova missione economica guidata dal vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri Tajani.
«L’IMEC rappresenta un passaggio strategico per rafforzare il ruolo del Mediterraneo nelle grandi rotte globali, proponendosi come alternativa competitiva alla Belt and Road e alle rotte artiche. Attraverso la rete di connessioni, potrà garantire la centralità economica del nostro mare», hanno dichiarato Formentini e Giordano, auspicando che altri parlamenti possano costituire gruppi analoghi per sostenere il progetto.
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