2019-11-18
Michele Giarrusso: «Noi 5 stelle siamo in crisi d’identità»
Il senatore grillino: «Il Movimento ha abbandonato le battaglie concrete per una campagna d'occupazione di ministeri e poltrone. Se la base avesse visto la squadra di governo, non avrebbe approvato il patto con il Pd».Mario Michele Giarrusso, grillino catanese, è senatore dal 2013. Oggi è considerato un dissidente, fustigatore della leadership di Luigi Di Maio.Senatore, i risultati in Umbria e i sondaggi non vi premiano. Vi ha rovinato l'intesa con il Pd?«Le amministrative sono state sempre altalenanti per noi, con risultati a macchia di leopardo: in un Comune prendiamo il sindaco e a 10 chilometri di distanza non prendiamo neanche un consigliere».E questo da che dipende?«Dal contesto locale: andiamo bene dove abbiamo un gruppo forte, riconosciuto dai cittadini come motore del cambiamento. Dove c'è gente improvvisata, perdiamo».Solo fattori locali allora?«No: questo dato locale va letto anche in prospettiva nazionale».Cioè?«Quello che mi preoccupa non sono le amministrative, ma il crollo dei consensi a livello generale, certificato dai sondaggi».A cosa l'attribuisce, il crollo?«È evidente che c'è un problema d'identità del Movimento».In che senso?«Be', il crollo c'è stato sia dopo l'accordo con la Lega, sia dopo quello con il Pd. La prima cresceva, il secondo tiene, noi coliamo a picco. C'è un problema di leadership».Quindi c'entra Di Maio?«Non voglio personalizzare. Ma c'è una questione oggettiva».Quale?«In qualunque Paese democratico, il leader di un partito che perde due elettori su tre deve passare la mano e mettersi a fare altro».Lei sostiene la Carta di Firenze, che ha chiesto un cambiamento nella struttura politica del Movimento. Vuol tornare alle origini?«Il Movimento è tale perché è sempre in movimento: bisogna andare avanti, non tornare alle origini. Ma neppure snaturarsi».Che vuole dire snaturarsi?«Siamo nati come un movimento democratico, che invitava alla partecipazione».Non è più così?«Democrazia e partecipazione non si sono viste più, da quando c'è il capo politico unico, con quattro incarichi di governo, che ha voluto fare tutto lui, facendolo male».Solo colpa del leader?«Le scelte sono state fatte in solitudine, nonostante avessimo chiesto la condivisione, anche nel caso della trattativa con il Pd».Forse gli elettori percepiscono una certa schizofrenia politica: siete passati da Gianroberto Casaleggio, che avrebbe preferito lasciare il Movimento piuttosto che governare con i dem, dal «partito di Bibbiano», all'accordo con il Pd. Da Beppe Grillo che puntava al «100% dei consensi», alla lotta per fare da ago della bilancia nel proporzionale...«Il proporzionale, però, è stato una nostra battaglia, insieme alle preferenze, già dal 2006. Era una lotta per la rappresentanza, penalizzata dai sistemi maggioritari». Va bene, ma il resto? È in forse pure la regola del secondo mandato. L'elettore si trova spaesato.«Non è questo a spaesare».Cos'è allora?«Il fatto che abbiamo anteposto, a un'identità fatta di battaglie concrete, postideologiche, un'occupazione di ministeri e poltrone».Non sarà proprio questo essere «postideologici» a predisporvi a certe derive?«Ma non è che gli altri siano molto più ideologici... Voglio dire, la sinistra con il Rolex fa ridere».Non c'è dubbio. Ma da voi ci si aspettava qualcosa di diverso.«Assolutamente. Il nostro “pragmatismo" non è stato gradito».Per chiarezza: l'intesa con il Pd s'aveva o non s'aveva da fare?«Io sono stato favorevole sia al contratto con la Lega sia all'accordo con il Pd. In tutti e due i casi, però, non siamo riusciti a incidere, coinvolgendo la base».C'è stato il voto su Rousseau.«Quel 70% che ha approvato l'accordo con il Pd, se avesse visto la lista dei ministri, non l'avrebbe votato».E nel caso della Lega?«Prendevamo legnate senza reagire. In tutti e due casi, s'è vista chiaramente la debolezza della leadership. Per tornare al caso di Bibbiano...».Ecco, che ne pensa?«Per me bisognava intervenire con l'accetta. Ho criticato la debolezza del ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede. Su quello abbiamo fatto propaganda senza contenuto».Peraltro, la commissione d'inchiesta, che ha minimizzato lo scandalo, è stata monopolizzata da Pd e 5 stelle...«No, la commissione era targata Pd. Chiaro che non potesse andare altrimenti».La vicepresidente è del M5s.«Non l'ho seguita bene».Vincenzo Spadafora, in un'intervista a Repubblica, ha detto che i 5 stelle sono con Giuseppe Conte. Sarà lui a scalzare Di Maio?«Da quando Spadafora è emerso prepotentemente, i nostri consensi sono fuggiti a velocità supersonica. Nessuno si domanda se c'è un legame con l'inspiegabile ascesa di questo personaggio, che non ha niente a che vedere con la nostra storia?».L'ha convinta la difesa di Conte sul presunto conflitto d'interessi?«È normale che gli avvocati diano pareri. Il vero conflitto d'interessi in Italia è un altro».Ovvero?«Quello di Silvio Berlusconi».Eh, però adesso non sposti il discorso su Berlusconi...«Ma il problema sta lì. Con la sua concentrazione di tv Berlusconi fa e disfa l'opinione pubblica. Conte ha scritto un parere legale di quattro pagine».Sì, ma il punto è che Conte ha assicurato che, quando scrisse il parere sul caso Fiber, non sapeva di essere un papabile premier.«E che doveva dire?».Ma la sera prima di consegnarlo era a un vertice con Matteo Salvini e Di Maio.«Sa quante persone sono state contattate?».Quella sera c'erano soltanto lui e Giulio Sapelli.«Conte l'ha saputo il giorno della designazione».Il suo primo Consiglio dei ministri s'è trovato a decidere proprio sul caso Fiber e Retelit. Conte ha detto di essersi astenuto, ma il cdm era all'oscuro delle motivazioni. Il premier risultava solo assente, perché era al G7 in Canada. «Ancora meglio. In cdm non c'è andato per niente».Davide Barillari, consigliere regionale del M5s nel Lazio, ha presentato un esposto in Procura contro Nicola Zingaretti. Sostiene che il governatore si sia assentato da varie sedute del Consiglio regionale adducendo come motivo impegni istituzionali, quando in realtà era in giro agli eventi del Pd. Come fa a durare un governo in cui un alleato denuncia l'altro?«Noi siamo nati proprio per denunciare queste cose. Sconti non ne facciamo a nessuno. Avremmo denunciato pure uno dei nostri, se avesse fatto una cosa del genere».Uno dei vostri? Che mi dice allora dell'inchiesta del Giornale sui fedelissimi di Di Maio, inseriti con lauti stipendi tra Farnesina e Mise?«Non mi fido del quotidiano di Berlusconi».Non risultano smentite.«Se fosse come ho letto, la situazione sarebbe grave. Un conto è avere collaboratori, il che è legittimo. Un conto è avere un cerchio magico di privilegiati».In Emilia Romagna che farete? Sembra che non vi presenterete.«Devono decidere i nostri attivisti e portavoce emiliani. Per me ci si dovrebbe presentare sempre».Se non accadesse, su chi confluirebbero i vostri voti?«Noi nasciamo per rappresentare quelli che non si sentono rappresentati. Per cui, se mancasse la lista del M5s, i nostri elettori se ne starebbero a casa».Quindi l'indicazione è astenersi?«Gli elettori non ci appartengono. Noi non abbiamo clientele cui dare indicazioni. Abbiamo cittadini consapevoli e critici. Perciò sono preoccupato, ma non disperato».Perché?«Perché se non votano noi, non vanno nemmeno a votare qualcun altro».Ai tempi del caso Diciotti, lei difese, anche con qualche gesto sopra le righe, tipo il gesto delle manette ai parlamentari dem, la linea Salvini sull'immigrazione. Oggi lo cambierebbe il decreto Sicurezza?«Io non difesi la linea Salvini, difesi la linea del governo da un'intromissione della magistratura. Le questioni politiche sono altre».Quindi? Lo cambierebbe quel decreto?«Andrebbe migliorato. Ma quelli che lo criticavano a gran voce sono al governo da mesi e l'hanno lasciato così com'è».Caso Ilva. Mose (per carità, non è colpa vostra). Rifiuti a Roma. Non è ora di ripensare un certo ecologismo anti industriale?«Questa è pura propaganda. Noi siamo, semmai, per far avanzare l'industria, proiettandola nel futuro».Per l'acciaieria di Taranto si fa largo l'ipotesi nazionalizzazione.«Ma l'Ilva è già nazionale: Arcelor Mittal sono affittuari. Non è che se l'affittuario di un appartamento se ne va, si butta giù l'appartamento».Le aperture vengono dalla Lega. Torna l'asse gialloblù?«Ben vengano i leghisti se la pensano così. Forse dovevamo adottare la linea dura da prima, se serviva a farli essere d'accordo con noi. E loro dovevano dare retta a noi, anziché ai loro alleati del centrodestra».Perché critica Di Maio e non Beppe Grillo? È lui ad aver premuto per l'intesa con il Pd.«Ma a consegnare la maggioranza in cdm al Pd non c'era mica lui».Secondo lei è vero che Di Maio vorrebbe che questo governo cadesse?«Lo chieda a lui. Noi non riusciamo più a capirlo. Chissà pure se si capisce da solo...».
Rod Dreher (Getty Images)