2022-02-28
Giulio Terzi: «Putin dovevamo fermarlo prima»
Giulio Terzi di Sant'Agata (Ansa)
L’ex ministro degli Esteri: «Negli ultimi 14 anni la sua azione era chiara. Ma noi non abbiamo colto le occasioni per metterlo in difficoltà. Anzi, ricordo gemellaggi con la Russia all’indomani dell’annessione della Crimea».«Un’azione lineare quella di Vladimir Putin, sempre al rialzo da almeno 14 anni, da quel vertice Nato-Russia in cui le intenzioni del Cremlino furono chiare a tutti: imporsi sulla scena diplomatica e politica mondiale». Bucarest, aprile 2008. Giulio Terzi di Sant’Agata è uno dei redattori del comunicato congiunto del Consiglio Nato-Russia: «Quel documento è stato letteralmente buttato nel cestino dalla delegazione di Mosca», ricorda l’ex ministro degli Affari esteri, già ambasciatore italiano in Israele e negli Stati Uniti. «Da allora, l’allargamento degli spazi di influenza è una sorta di ossessione per Putin: dopo Georgia e Crimea, le azioni militari in Siria e tutto quello che è successo in Africa, l’invasione dell’Ucraina è la cronaca di una morte annunciata».Giulio Terzi, dopo i primi giorni di guerra, l’obiettivo russo si è fatto più nitido: sostituire quella che Putin ha definito una «banda di drogati e neonazisti» con un governo fantoccio, favorevole al Cremlino. Come si possono limitare le intenzioni di Mosca? «La situazione mi sembra aleatoria: è difficile dire con certezza se Putin riuscirà in questa sua operazione di controllo. Per giorni ci siamo interrogati sui possibili scenari che le tensioni in Ucraina avrebbero potuto generare: prima l’incoraggiamento alle due repubbliche del Donbass per arrivare alla dichiarazione di indipendenza; poi il consolidamento della striscia territoriale che va da Mariupol fino alla Crimea o l’aumento della pressione militare dall’esterno per condizionare e spaventare l’attuale governo di Kiev. Queste ipotesi non tenevano conto della storia degli ultimi 14 anni».Che cosa insegna la storia?«Tutte le occasioni per fermare seriamente Putin, o almeno metterlo in grave difficoltà, non sono state colte. Ricordo gemellaggi fra sindaci subito dopo l’annessione della Crimea, i distinguo e le dichiarazioni, anche recenti, che invitano a considerare le ragioni di Mosca».La resistenza ucraina ha cambiato i piani della Russia?«È un popolo che sa resistere, in una maniera che forse nessuno si sarebbe aspettato. Il rifiuto del presidente ucraino Volodymyr Zelensky di salire su un elicottero americano per rimanere a Kiev, insieme alla sua famiglia, ne è una chiara dimostrazione». A sentirlo parlare, avrebbe più bisogno di munizioni che di un’offerta di fuga: «L’Ucraina è rimasta sola», ha accusato. Pensa sia stato un errore paventare un allargamento della Nato a est?«Portare lo stato di diritto in un Paese che esce dal sistema sovietico è un’impresa estremamente difficile, lo abbiamo visto con gli ultimi Stati entrati nell’Unione europea. Non si può immaginare che questo percorso avvenga con la bacchetta magica, soprattutto in un contesto, quello ucraino, dove la controspinta russa è ben evidente. Putin è sempre stato spaventato da quello che succedeva in Ucraina: un Paese con una informazione libera, una pluralità di partiti e una ripartizione di potere. Una strada incompatibile con le sue aspirazioni zariste: un Paese confinante che si democratizza è un rischio mortale, che va represso. Putin lo ha sistematicamente fatto, con grande efficacia: “Non ho mai lasciato un business incompiuto”, ha ripetuto diverse volte. L’ultima, appena qualche giorno fa». In molti hanno sfidato in Russia gli arresti e i metodi polizieschi per dire no alla guerra: nella fronda anti Zar, anche la figlia dell’oligarca Roman Abramovich o Lisa Peskova, figlia del portavoce del Cremlino. «In un sistema repressivo come quello putiniano, le manifestazioni hanno un impatto politico straordinario». La guerra corre più veloce delle reazioni occidentali?«Non possiamo lasciare per miopia o, peggio, per interessi di bottega che la situazione degeneri».Che cosa rischiamo?«Di essere trascinati in un ampio conflitto militare, che coinvolgerebbe tutta l’Europa. Non vogliamo mandare i nostri ragazzi a morire per Kiev, per questo servono sanzioni dure: la diga è la blindatura finanziaria della Russia, anche se è una soluzione costosissima».Sulla quale non tutti sono d’accordo. «I Paesi che si smarcano creano dei grossi danni: basta un granello per inceppare l’ingranaggio». La Germania è uno di questi?«Sicuramente, anche se si sta smarcando meno di quanto si temesse. Questa crisi ha messo ancora una volta in luce l’importanza dell’energia, che conta quanto e forse più di migliaia di tank e divisioni corazzate. La scorsa estate, la leggera chiusura dei rubinetti del gas da parte delle aziende russe è stata una mossa scientifica, fatta per preparare anche politicamente gli Stati europei». Cosa dovrebbe fare l’Europa per scrollarsi di dosso questa dipendenza da Mosca in termini energetici?«Trovare una voce unica. Per rispondere alla Russia, deve diversificare in modo estremamente rapido». E l’Italia? Sulla necessità di diversificare si è espresso anche Mario Draghi, eppure siamo piuttosto indietro. «L’Italia deve aumentare le sue risorse di gas: dall’estrazione nazionale, per esempio. O dall’espansione del gasdotto Tap. Il sottosegretario agli Affari esteri, Manlio Di Stefano, ha spiegato che possiamo aumentare in tempi brevi, peccato che non si sia ancora costituito un tavolo di lavoro con i Paesi che dovrebbero incrementare le forniture. Dove sono queste trattative? Sono state avviate? A me non risulta. Se non ci fosse una strategia chiara e ci trovassimo ancora nella condizione di rincorrere, sarebbe l’ennesimo segnale sbagliato nei confronti della Russia. La deterrenza non è solamente militare, ma la partita si gioca anche sull’autosufficienza energetica. Abbiamo commesso l’errore di esporci a un solo fornitore e non possiamo permetterci di perdere altro tempo. Da questo punto di vista, la Germania è stata dannosissima, ma anche noi ci abbiamo messo del nostro». Come?«I rapporti storicamente privilegiati con la Russia ci hanno spinto ad alzare la mano in sede europea per dire no a una politica energetica unitaria. I crimini di guerra che si stanno perpetrando nel cuore dell’Europa devono indurci a una riflessione. Serve una blindatura economica che levi l’ossigeno alla follia imperialista di Putin. Cerchiamo di parare il disastro militare sul piano economico: sarà una sofferenza, certo, ma sempre meglio delle vite umane che potremmo perdere in caso di un conflitto su larga scala». Il «dilemma Swift» sembra essersi risolto: si è scelta la strada di una esclusione selettiva delle banche russe dal sistema internazionale dei pagamenti, fondamentale nel mondo della finanza di oggi. Che ne pensa?«Si tratta di una decisione necessaria, dolorosa ma intelligente. Con l’assenso dell’Italia e degli altri Paesi, anche la massa critica della Germania in Europa si è ridotta e la misura è passata». Nel governo italiano, non tutti sembrano convinti. Il ministro dell’Economia, Daniele Franco, predica cautela: interrompere certi flussi potrebbe rivelarsi un problema non da poco, vista la dipendenza energetica da Mosca.«Il crollo del valore dell’azionariato russo dimostra che l’economia non è staccata dalle iniziative di forza militare che si attuano o si subiscono».Ad alleviare il peso delle sanzioni occidentali su Mosca, ci penserà la Cina? In caso di esclusione dal sistema dei pagamenti internazionali, si pensa che l’alternativa possa essere il Cips, il sistema cinese dei pagamenti transfrontalieri. «È una possibilità. Quello tra la Russa e la Cina è un rapporto strategico, che riguarda le esercitazioni militari e la fornitura a lungo termine di grandi quantitativi di energia, di cui la Cina ha bisogno». E sul piano politico? Insieme all’India, al Consiglio di sicurezza dell’Onu, Pechino si è ben guardata dal condannare l’aggressione all’Ucraina. «Sul piano politico, c’è il reciproco riconoscimento degli obiettivi espansivi: Mosca riconosce le strategie della Cina in Asia, lo stesso fa Xi Jinping con gli obiettivi della Russia sul territorio europeo. Diversamente da alleanze difensive come la Nato, il loro è un rapporto che tende all’offensiva».Da uomo di diplomazia, come giudica l’azione del governo italiano? Il ministero degli Esteri russo ha attaccato duramente il ministro Di Maio nei giorni scorsi: «Ha una strana idea di diplomazia», hanno accusato. «Quella russa è una chiara minaccia, da respingere con forza, come giustamente ha fatto la Farnesina e l’intero esecutivo italiano. Il governo ha scelto la strada della solidarietà e della ferma condanna di fronte alla illegittima aggressione russa. Si tratta di un crimine internazionale: all’interno degli apparati, non possono esserci margini di esitazione».
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