2019-04-01
Gianluigi Paragone: «Senza cambiamento addio governo»
Il senatore M5s: «Io presidente della Commissione d'inchiesta sulle banche? Lo spero, ma ci sono resistenze Di Battista? Utile a tenere viva la nostra anima movimentista. Giancarlo Giorgetti? Troppi legami con il vecchio sistema».Gianluigi Paragone esprime oggi l'anima più combattiva e insieme più inquieta del Movimento 5 stelle, dopo la tripletta di risultati negativi in Abruzzo, Sardegna e Basilicata, e alla vigilia del difficile appuntamento delle Europee. Ha accettato con ammirevole fair play una conversazione con La Verità su tutti i temi più spinosi. Cos'è che non sta funzionando? «Non è che non stia funzionando qualcosa. La differenza tra Lega e M5s sta nel fatto che il leader leghista è a capo di un ministero che ha un «atterraggio corto». Lui ferma una nave, ottiene risultati visibili subito. Chi invece come Luigi Di Maio è a capo di un ministero legato a lavoro ed economia ha per forza un «atterraggio medio-lungo». Per quanto dei risultati siano già visibili: ad esempio il decreto Dignità ha già convertito molti contratti a termine rendendoli a tempo indeterminato».Per spiegare i risultati elettorali deludenti, molti esponenti M5s dicono anche cose tecnicamente esatte (le amministrative non sono elezioni politiche, presentarsi con una sola lista è svantaggioso, eccetera). Eppure non sembrano ragioni sufficienti. Una spiegazione politica?«Eh, i risultati elettorali si misurano con le leggi delle Regioni in cui voti: su questo non c'è dubbio. Certo, si devono aprire delle riflessioni quando non sei il primo partito. Dopo di che, la somma di queste sconfitte per la presidenza delle Regioni- lo sottolineo: sconfitte - alimenta la narrazione giornalistica sulla maggiore forza di Salvini. Ma misureremo le rispettive forze reali alle Europee». Non è che si è rotta la magia con una parte di chi vi ha votato?«Quando prendi il 35% alle politiche, è chiaro che ciò che non fai subito può produrre disaffezione. Ma disaffezione non è sempre sinonimo di rottura irreparabile».Grillo ha buttato lì una battuta pesante in un suo spettacolo: «Forse non eravamo pronti, forse non eravamo all'altezza». Le chiedo: la classe dirigente M5s era pronta per la prova del governo? «È una classe dirigente che sta crescendo. E chi ha votato M5s penso conoscesse la peculiarità di un movimento che non vuole strutturarsi nei palazzi del potere, e penso sapesse che avrebbe avuto a che fare con cittadini e non con professionisti della politica. Poi non è che dai “professionisti" vengano per forza risultati buoni. Penso al mondo bancario: vedo perfino banchieri imputati in un processo che adesso si mettono a dare lezioni universitarie…».Come mai avete dato la sensazione del «non fare»? È solo un effetto della Tav (qualunque cosa uno pensi della Tav)?«Ci sono due piani. Il primo è la rappresentazione mediatica: se ci rappresenti in continuazione come quelli del “no", poi la gente è indotta a crederlo. L'altro è un piano culturale: noi vogliamo guardare oltre, pensiamo a un altro modello di sviluppo. In questo senso, se adotti un modello infrastrutturale più leggero, è chiaro che una cosa come la Tav (che peraltro sarebbe completata solo nel 2030) non ti serva. E oggi la Tav è più politicamente simbolica che necessaria: un po' come fare dei parcheggi in centro, mentre stai portando le macchine lontano dal centro…».Domanda complicata. C'era indubbiamente uno zoccolo duro barricadero del vostro elettorato: no-Tav, no-Tap, eccetera. Ma non pensa che poi ci fosse anche un'altra parte, certamente incazzata con i vecchi partiti, ma vogliosa di decisioni più che di massimalismo? «È sbagliata questa impostazione del problema. Contesto che il profilo dell'elettore classico M5s fosse o sia solo 'no a questo' e 'no a quello'. È anche quella cosa lì, ma non solo…».Qualche virgolettato le ha attribuito, tra analisi lucida e disillusione, la valutazione di un «fine corsa» per questa maggioranza, nel senso che i due partiti sembrano perseguire due distinte agende…«La “fine corsa" arriva nel momento in cui non c'è più una spinta politica. Questo è un governo densamente politico. Se la connotazione non fosse più quella del “governo del cambiamento", per forza di cose l'esperienza finirebbe. Poi potrebbe anche durare temporalmente, però…».Quindi è pessimista?«No, anzi. Vedo che a oggi questo governo attira ancora l'antipatia di salotti e media tradizionali: quindi vuol dire che è tuttora un modello di cambiamento, se provoca l'allergia di certi ambienti. Arriveremmo a fine corsa se abdicassimo alla visione politica che dicevo».Qual è il risultato al di sopra del quale le Europee saranno un successo, o al di sotto del quale saranno una sconfitta per voi? «Io gioco per vincere».Alle Europee del 2014 arrivaste al 21,16%. È realistico rifarlo?«Secondo me sì. Io voglio arrivare oltre il 20».Se fossero confermati i sondaggi, con voi a 13-14 punti di distanza dalla Lega, il governo deve andare avanti? «Il governo deve andare avanti nell'ottica di un cambiamento sostanziale rispetto a ciò che c'era prima. Che poi l'azionista di maggioranza in un momento cambi, mi importa fino a un certo punto. Anche perché non cambiano i numeri in Parlamento di M5s e Lega».Chiedo all'analista politico, più che al senatore: i due partiti hanno un piano B? E quale? «Non credo, non conviene a nessuno».Ma pensa o teme che la Lega abbia un'exit strategy?«Io non penso che Salvini voglia tornare a vecchie formule. Ho sempre detto e ripeto che, dentro la Lega, Salvini è l'uomo nuovo. Mentre è noto che lì dentro ci siano anche pezzi di vecchio sistema».Nelle scorse settimane ha polemizzato con Giancarlo Giorgetti. Escludendo aspetti personali, lei pensa davvero che la Lega sia la calamita del vecchio e voi il polo d'attrazione del nuovo?«Nulla di personale. Anzi, in quanto uomo della provincia di Varese e in quanto juventino, Giorgetti mi è simpatico. Però non posso non notare che le sue relazioni siano con pezzi di sistema che il Movimento ha sempre combattuto, da banche d'affari a ambienti finanziari. Se un governo è densamente politico, deve imporsi a quelle realtà, non subirle».Obiezione: e che fa un sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, si rifiuta di parlare con pezzi di società o con alcuni player forti? «Ma non va bene se sono sempre gli stessi interlocutori…».Si farà la Commissione d'inchiesta sulle banche? «Sicuramente sì, perché c'è una legge istitutiva. Ma non so chi ne sarà il presidente».La guiderà lei? «Ho buona fiducia nel fatto che il Movimento non proponga altri».Ci potrebbero essere dei veti verso di lei? «Spero di no. Immagino che qualcuno potrebbe fare resistenza. Vedremo».Il caso Di Battista. Alcuni ne hanno invocato il ritorno. Poi qualche performance televisiva (ehm) non brillantissima. Davvero lui si è sentito scaricato dal vertice M5s? In effetti non lo si vede più…«Non c'è un “caso". C'è quello che ho detto io: se mi dai la possibilità di giocare con la coppia d'attacco più forte, è meglio. Essendo Luigi e Alessandro diversi tra loro, vorrei schierarli entrambi».Ma non è che - nell'immagine - quello che si agita di più, Di Battista, potrebbe 'impallare' Di Maio?«Il profilo di Alessandro è stato sempre quello. Quindi, no. E poi sono dinamiche di comunicazione che il Movimento ha sempre saputo gestire, perché diversi lo erano anche prima. Non a caso uno fa il capo politico. Ma serve anche l'altro, che aiuta a tenere viva la spinta del Movimento, che è - appunto - un movimento».Roma (ben al di là delle questioni giudiziarie) rischia di essere il biglietto da visita di una prova di governo molto al di sotto del necessario. A giugno saranno 3 anni di giunta Raggi e la città è totalmente allo sbando (rifiuti, strade, bus, ecc). Sarà dura dire per il sindaco che è solo colpa di quelli di prima…«Io non ho vissuto a Roma prima, ci vivo alcuni giorni a settimana adesso. Sicuramente ci possono essere e ci sono sbavature. Però se un automobilista parcheggia in doppia fila e il bus non riesce a passare, non può essere colpa della Raggi».Eh, ma il guaio è che il bus non passa proprio a volte…«Dove abito io, e i mezzi li prendo, passano». Nota (ehm) una differenza con i mezzi pubblici a Milano?«Eh, ma lì è diverso il piano del trasporto locale, con molte più linee di metro. Il punto decisivo è quale massa di traffico passa sopra o sotto la città».Conosce città in cui così tante stazioni nevralgiche della metro siano chiuse per guasti come a Roma?«Vero. Però, e torno a Milano, fermo restando che il sistema della metropolitana milanese è splendido, mi sorprende che non sia diventata una notizia il fatto che ci siano a Milano così tanti casi di frenate brusche e improvvise, con ferite e problemi per gli anziani. Dipende sempre da come racconti le cose: e il sindaco Sala, per Repubblica e molti altri giornali, non è nell'occhio del ciclone. La Raggi invece sì…».
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