2019-05-13
«Le dimissioni di Siri? Una mostruosità»
Il magistrato Carlo Nordio: «Sento il vento del giustizialismo: indagini strumentalizzate più che nel 1992. Il premier Conte? Ha sbagliato. Le sue motivazioni? Giochi di parole. Le intercettazioni? Da quel che se ne sa, indizio debole».Il nuovo fascismo? «Una balla». Le inchieste? «Sento di nuovo il vento del giustizialismo». Chiudere i porti ai clandestini? «Era un'idea di Giorgio Napolitano». È considerato la «toga blu», il magistrato controcorrente e liberale, quello che ha sempre lavorato nello stesso ufficio, rifuggendo dai riflettori e dalle sirene della carriera politica. Per 40 anni procuratore aggiunto a Venezia - sua la famosa inchiesta sulle coop rosse ai tempi di Tangentopoli - oggi Carlo Nordio è in pensione. Il suo ultimo saggio s'intitola La stagione dell'indulgenza e i suoi frutti avvelenati (Edito Guerini e associati). E adesso si sente libero di dire la sua.Cominciamo dalle ultime inchieste che hanno colpito la politica. L'inizio di una nuova Tangentopoli? «No, stavolta sono episodi isolati, come l'inchiesta sul Mose di Venezia che ho condotto anni fa. Quello che mi preoccupa, come e più del '92, è la strumentalizzazione politica delle indagini. Sento ancora la vecchia litania che chi è indagato deve fare un passo indietro. Una mostruosità. L'informazione di garanzia è un atto dovuto». Quindi Armando Siri non doveva essere accompagnato alla porta? «Il presidente Conte ha voluto distinguere tra opportunità politica e questione giuridica, ma sono solo giochi di parole. L'opportunità politica poggia sull'indagine giudiziaria. Di questa indagine, peraltro, nessuno sa nulla. Sarebbero intercettazioni di terzi che parlano di terzi: come indizio giudiziario, il peggio del peggio». E allora perché il premier ha dimissionato Siri?«Chiedetelo a lui. Magari è un gesto squisitamente politico per riequilibrare i rapporti di forza tra gli alleati di governo. Però è stato un errore: da un lato ci rimettiamo nelle mani delle procure, dall'altro riconosciamo la debolezza della politica». Non intravede una questione morale?«Napoleone diceva che la politica “n'a pas d'entrailles". La morale in politica non dovrebbe neanche entrare. La questione morale l'ha tirata fuori Berlinguer parlando dei finanziamenti ai partiti, quando si faceva finanziare dall'Unione Sovietica che puntava missili contro l'Europa...». È una giustizia a orologeria?«Questo no. La magistratura fa il suo dovere. D'altronde in Italia si vota di continuo, è normale che le inchieste si incrocino con le campagne elettorali. È grave invece che la politica si lasci condizionare».Tira aria di giustizialismo?«Avverto un vento del genere. C'eravamo illusi che i 5 stelle dopo il caso Raggi e il Pd dopo il caso di Tiziano Renzi fossero cambiati. Invece». È Piercamillo Davigo il suggeritore dei 5 stelle?«Ma no. Davigo ha fatto dell'estraneità alla politica un dogma. È possibile però che una forza politica si ispiri alle teorie di un magistrato. Poi io, da liberale, rispetto le opinioni di tutti, anche quelle di Davigo. Non sono mica come il Salone del libro di Torino».Quello che ha cacciato l'editore Altaforte, vicino a Casapound?«Quello non è un errore: è un crimine. Hanno preso una decisione che fa inorridire. Le idee, anche quelle stupide, si combattono con le idee. Mi stupisco che la stampa e la tv non si siano sollevate contro questo gesto fascista. Erano i nazisti che bruciavano i libri. Ma la gloria di una democrazia è dar voce a quelli che la disprezzano». La battaglia invece è contro il nuovo fascismo alle porte. Ma mi pare di capire che anche in questo caso lei rifiuti la chiamata alle armi. «Questa del fascismo è una balla colossale. Come diceva Pascal, intendiamoci sul senso delle parole. È una sciocchezza che porta pubblicità a certi sciagurati, come quell'editore che adesso farà un sacco di soldi». Anche lei, quando indagava sulle cooperative rosse, venne accusato di utilizzare metodi fascisti.«Diciamo che all'epoca il termine era molto usato. Ma sono in buona compagnia. In passato, hanno dato del fascista persino a De Gasperi». Salvini torna alla carica sull'immigrazione, chiedendo nuove regole sulla gestione delle navi di clandestini, mentre continuano i naufragi. «La legge del mare parla chiaro. Se c'è un naufragio, si devono salvare i naufraghi, e condurli in un porto sicuro. Siccome gran parte di queste disgrazie avvengono in acque tunisine e maltesi, in quei casi non si capisce cosa c'entri l'Italia. Malta non riesce a salvarli? Allora forse occorre modificare la legge del mare. Che spesso è difficile invocare».In che senso?«Il naufragio in senso giuridico è un evento imprevisto, come il Titanic. Questi sono naufragi programmati da bande di assassini che non hanno scrupoli a mettere vecchi e bambini su barconi sfasciati, sperando che qualcuno li venga a prendere. Bisogna battere i pugni sui tavoli internazionali. La soluzione non passa certamente dal buonismo e dalla solidarietà». L'Europa ci ha abbandonato?«Quando uno prende uno schiaffo, o se l'è meritato, oppure non ha saputo evitarlo. Non ci siamo fatti valere, e siamo rimasti con il cerino in mano». Ma è giusto chiudere i porti? «Non siamo certo i primi a farlo. Prima ci hanno pensato gli scandinavi, poi gli inglesi a Dover, i francesi a Calais, gli austriaci alla frontiera del Brennero. Per il resto, il principio per cui in Italia si entra solo con il permesso non l'ha inventato Salvini. Risale alla legge Turco-Napolitano del '98. Una norma che non è mai stata eseguita concretamente, perché nessuno aveva il coraggio di applicarla». Quindi il leader della Lega sugli ingressi sta seguendo la linea di Giorgio Napolitano? «E sfido a singolar tenzone chi dice il contrario, visto che da magistrato ho avuto a che fare con quella legge per anni. In definitiva, il leader leghista si prende un merito non suo, e la sinistra fa finta di non ricordare». Perché l'insicurezza nelle periferie cresce, se i reati diminuiscono? «Intanto è vero che i reati sono diminuiti, però sono aumentati quelli più odiosi, come rapine e violenze sessuali. Ricordiamoci poi che la paura è irrazionale, e prescinde dai dati di fatto. Nella mia vita professionale ho visto persone suicidarsi non perché malate, ma per paura di ammalarsi. La paura di un problema è spesso peggiore del problema stesso. Abbiamo il dovere di comprenderla». Visto che la paura dilaga, con la nuova legge sulla legittima difesa non rischiamo la giustizia fai da te?«Che sciocchezza. Mi faccio giustizia da solo se vado a casa dell'assassino per ucciderlo. Ma se reagisco in casa a un'aggressione che lo Stato non ha saputo impedire, sto tutelando un mio diritto naturale. Funziona così in tutti paesi civili. Quando l'incolumità individuale è minacciata, la legittima difesa è sempre presunta, anche se ovviamente non puoi sparare al ladro che scappa. E comunque ci sarà un giudice a valutare la proporzionalità della reazione, e questa valutazione dovrà sempre essere motivata». Oggi in Italia esiste la certezza della pena?«È un problema diverso, ma collegato. E comunque enorme. Da noi in genere entri in galera quando sei presunto innocente e ne esci quando sei colpevole conclamato. Vedere il ladro arrestato in flagrante circolare il giorno dopo per strada, incide sul senso di insicurezza e sfiducia». Perché nel suo libro scrive che lo Stato è diventato «indulgente»? «Prenda il caso dei sindaci che si sono vantati di aver violato la legge. La vicenda di Riace: sembra che siano stati celebrati matrimoni fasulli per poter concedere il permesso di soggiorno. Secondo certe persone la legge, quando ritengono sia ingiusta, è inapplicabile. E lo Stato come risponde? L'indulgenza non è solo perdonismo, ma indifferenza ai principi. Lo si vede anche nella società». Per esempio?«Nella scuola. I professori hanno l'onere di garantire la sicurezza degli alunni, ma senza poteri disciplinari. Se si azzardano ad alzare la voce, arrivano i genitori ad offenderli. O in qualche caso percuoterli».Dia un consiglio al governo.«Basta parlare di insicurezza. È un problema, è vero, ma nella storia patria s'è visto di peggio. Qui nel Nord Est la gente pretende buon senso in economia. Meno pressione fiscale, meno burocrazia, più certezza del diritto, una giustizia civile più rapida. Lo Stato si è intromesso così tanto nella vita economica delle persone che anche la Pubblica amministrazione non ha più fiducia in sé stessa». Nordio, ormai parla da candidato. Farà il grande passo in politica persino lei?«Mai, mai. Mi volevano sindaco a Venezia. E io rispondo sempre allo stesso modo: un magistrato non deve mai fare politica».Eppure gli esempi si sprecano.«Eh. Qui potremmo andare avanti una vita». Allora come si gode la pensione? «Facendo tantissime cose. Leggendo, scrivendo, collaborando con la Fondazione di Venezia e la Fondazione Einaudi, presiedendo la giuria dei letterati del premio Campiello. E poi nuotando e andando a cavallo. Mens sana…».