2022-05-01
L’Indonesia strizza l’occhio a Putin e mette in crisi il mercato alimentare
Giacarta invita Mosca al G20. Ira di Joe Biden. La nazione asiatica usa l’olio di palma come strumento di pressione Il blocco dell’export ha già causato il boom dei prezzi e minaccia l’intera filiera.Sleepy Joe è scivolato su una chiazza di olio di palma. Sarà necessario che il presidente degli Stati Uniti e con lui i leader della Nato inizino a domandarsi se tutto il mondo sta davvero dalla loro parte. È la seconda volta che l’Occidente si trova spiazzato per una questione apparentemente banale: l’Indonesia, primo produttore al mondo di olio di palma, ha deciso di bloccare l’esportazione. Il mercato degli oli vegetali è sconvolto. Manca già metà dell’olio di semi di girasole che è prodotto dall’Ucraina e che non arriva quest’anno e non arriverà neppure il prossimo perché sotto le bombe è difficile seminare e il tempo per farlo è scemato in questi giorni. Quelli di colza, di soia (è al massimo storico: 2,04 dollari al chilo col future che fa più 70%), di arachidi e di cocco costano ormai più del petrolio. Ufficialmente lo stop all’export deciso da Giacarta è dovuto alla necessità di sostenere e calmierare il mercato interno - ci sono stati aumenti del 40% dopo lo stop al girasole - la verità è però che i Paesi emergenti hanno imparato a usare le loro materie prime come strumenti di pressione. Appena Joe Biden ha saputo che Joko Vidodo, presidente dell’Indonesia, ha invitato al G20, in programma a Bali il prossimo novembre, tanto Vodoymir Zelenski quanto Vladimir Putin, è andato su tutte le furie e ha inviato una dura reprimenda all’Indonesia: «Putin deve pagare per le conseguenze di quello che ha fatto e sta facendo e - ha tuonato la Casa Bianca - non dovrebbe essere invitato al G20 che quest’anno non può essere business as usual. La Russia non dovrebbe partecipare né pubblicamente né privatamente». La risposta di Giacarta è duplice: da una parte stop all’export di olio di palma che provoca un ulteriore aggravamento della crisi alimentare globale, dall’altra una lunga telefonata tra Vidodo e Putin così definita: «Una conversazione molto positiva. Putin ha augurato successo alla presidenza indonesiana del G20 e ha assicurato che la Russia farà tutto il necessario e tutto il possibile per contribuirvi». Il ministro degli esteri cinese, Wang Weibun, ha chiosato: «La Russia è un membro importante del G20 e nessuno ha il diritto di espellere altri Paesi: il G20 è il forum più importante per la cooperazione economica internazionale».Pare che le esportazioni indonesiane verso Mosca e Pechino si mantengano regolari. Per tutto il resto del mondo l’olio di palma è «vietato». Non serviva la sfera di cristallo per sapere che sarebbe andata così. Bastava ricordarsi che l’8 aprile, quando all’Onu si è votato per escludere la Russia dal Consiglio per i diritti umani, l’Indonesia insieme con la Cina e altri 56 Paesi, si è astenuta. Forse Joe Biden non era stato informato? Vidodo non ha affatto intenzione di rispondere «obbedisco» e tra i moniti degli Usa e gli affari con Cina e Russia preferisce i secondi. L’Indonesia produce il 50% di olio di palma (38 milioni di tonnellate) che è il più consumato e copre il 35% del fabbisogno mondiale di oli vegetali. Lo stop di Giacarta per ora riguarda l’oleina raffinata (il 40% dell’export) e dovrebbe durare un mese, ma Vidodo ha fatto sapere che se non si stabilizzano i prezzi - e se Biden, dicono nei corridoi, continua a telefonare - il blocco sarà totale e durerà a lungo. Quanto basta per mettere a dieta il globo e speculare sul prezzo. Per l’Occidente è un colpo duro per due motivi: la Fao avverte che la crisi alimentare sta diventando una bomba sociale: con aumenti di prezzo dei cibi base di oltre l’8% al mese ci sono interi Paesi alla fame; le Borse sanno che si blocca l’industria. In Italia il contraccolpo è pesante anche se dopo massicce campagne contro questo olio vegetale i consumatori hanno preso le distanze dai prodotti che lo contengono. Buona parte dell’industria dolciaria, della panificazione e delle conserve è però in allarme. Ci sono riflessi anche sull’industria cosmetica. All’inizio di aprile il ministero per lo Sviluppo economico ha emanato una circolare che consente di non dichiarare in etichetta l’utilizzo di olio di palma perché è diventato indispensabile come sostituto dell’introvabile olio di girasole, passato da 1,47 euro a 2,90 euro al chilo. Ma anche l’olio di palma ormai ha aumenti del 6% a settimana e si è trascinato dietro - come nota Luigi Scordamaglia di Filiera Italia - «tutti gli oli vegetali che hanno rincari medi attorno al 26%». Un’ulteriore spinta all’inflazione alimentare (il carrello della spesa è aumentato del 6% stando alla rilevazione Istat dell’ultimo mese). L’Italia - sostiene la Coldiretti - ha importato 1,46 miliardi di chili di olio di palma, la metà (721 milioni) da Giacarta per un fatturato di 600 milioni di euro. Un’alternativa ci sarebbe: l’olio di oliva che peraltro è cresciuto solo del 5,9% di prezzo. Ma copre appena il 3% del fabbisogno mondiale di oli vegetali. L’Italia, un tempo leader mondiale di produzione, è passata da 600.000 tonnellate a meno di 300.000, con 5,5 milioni di ettari di uliveti in abbandono. Ora farebbero comodo, ma da noi occuparsi di agricoltura non premia.
Mahmoud Abu Mazen (Getty Images)
(Guardia di Finanza)
I Finanzieri del Comando Provinciale di Varese, nell’ambito di un’attività mirata al contrasto delle indebite erogazioni di risorse pubbliche, hanno individuato tre società controllate da imprenditori spagnoli che hanno richiesto e ottenuto indebitamente oltre 5 milioni di euro di incentivi per la produzione di energia solare da fonti rinnovabili.
L’indagine, condotta dalla Compagnia di Gallarate, è stata avviata attraverso l’analisi delle società operanti nel settore dell’energia elettrica all’interno della circoscrizione del Reparto, che ha scoperto la presenza di numerose imprese con capitale sociale esiguo ma proprietarie di importanti impianti fotovoltaici situati principalmente nelle regioni del Centro e Sud Italia, amministrate da soggetti stranieri domiciliati ma non effettivamente residenti sul territorio nazionale.
Sulla base di tali elementi sono state esaminate le posizioni delle società anche mediante l’esame dei conti correnti bancari. Dall’esito degli accertamenti, è emerso un flusso finanziario in entrata proveniente dal Gestore dei Servizi Energetici (GSE), ente pubblico responsabile dell’erogazione degli incentivi alla produzione di energia elettrica. Tuttavia, le somme erogate venivano immediatamente trasferite tramite bonifici verso l’estero, in particolare verso la Spagna, senza alcuna giustificazione commerciale plausibile.
In seguito sono state esaminate le modalità di autorizzazione, costruzione e incentivazione dei parchi fotovoltaici realizzati dalle società, con la complicità di un soggetto italiano da cui è emerso che le stesse avevano richiesto ad un Comune marchigiano tre diverse autorizzazioni, dichiarando falsamente l’installazione di tre piccoli impianti fotovoltaici. Tale artificio ha consentito di ottenere dal GSE maggiori incentivi. In questi casi, infatti, il Gestore pubblico concede incentivi superiori ai piccoli produttori di energia per compensare i maggiori costi sostenuti rispetto agli impianti di maggiore dimensione, i quali sono inoltre obbligati a ottenere l’Autorizzazione Unica Ambientale rilasciata dalla Provincia. In realtà, nel caso oggetto d’indagine, si trattava di un unico impianto fotovoltaico collegato alla stessa centralina elettrica e protetto da un’unica recinzione.
La situazione è stata segnalata alla Procura della Repubblica di Roma, competente per i reati relativi all’indebita erogazione di incentivi pubblici, per richiedere il sequestro urgente delle somme illecitamente riscosse, considerati anche gli ingenti trasferimenti verso l’estero. Il Pubblico Ministero titolare delle indagini ha disposto il blocco dei conti correnti utilizzati per l’accredito delle somme da parte del GSE e il vincolo su tutti i beni nella disponibilità degli indagati fino alla concorrenza di oltre 5 milioni di euro.
L’attività della Guardia di Finanza è stata svolta a tutela del corretto impiego dei fondi pubblici al fine di aiutare la crescita produttiva e occupazionale. In particolare, l’intervento ispettivo ha permesso un risparmio pari a ulteriori circa 3 milioni di euro che sarebbero stati erogati dal GSE fino al 2031 alle imprese oggetto d’indagine.
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Viktor Orbán e Giorgia Meloni a Roma (Ansa)
Giorgia Meloni (Getty Images)