2019-03-31
Cara Gruber, se posso di aborto parlo anch'io
Lilli Gruber sostiene che unicamente le donne possano parlare di interruzione di gravidanza. Ma perché difendere la vita è uno scandalo? La tutela del bimbo che nasce non è un tabù e non riguarda solo la madre. I nascituri contano. E anche i padri.Ma perché l'aborto è un tabù? Perché è vietato parlarne? Perché prima di ogni discorso sulla famiglia bisogna premettere la formula di rito «la 194 non si tocca», altrimenti non si viene nemmeno ammessi al consesso civile? Perché il solo fatto di difendere la vita ti fa passare nella schiera dei «Fetenti» (copyright Il Manifesto), ovviamente trogloditi, oscurantisi, avanzi di Medioevo, sicuramente nazisti e violentatori di corpi femminili? Perché in un Paese in cui si affrontano dibattiti su qualsiasi argomento, compresa la verginità della Madonna e l'esistenza dei venusiani, l'unico argomento che non può essere discusso è quello della difesa di un bimbo che deve nascere? Capisco che molti possano essere in disaccordo con quello che sto per dire. Non riesco però a capire perché non vogliano lasciarmelo dire. Proprio mentre mi preparavo a scrivere questo articolo, mi chiama un collega e amico, una persona intelligente e preparata, che ha una formazione diversa dalla mia ma con cui condividiamo molte analisi della situazione politica attuale. «Beh, gente strana a Verona», mi dice. Strana perché?, gli chiedo. «Ci sono pure quelli che vogliono cancellare l'aborto». Non li trovo così strani. «Non sarai mica d'accordo anche tu?». Certo che lo sono. «Com'è possibile?». E si scandalizza. Ecco: si scandalizzano. Parlare di aborto dà ancora scandalo. Secondo il mio amico (lo ripeto: persona straordinariamente intelligente e aperta) bisognerebbe chiudere tutti quei posti dove ci si esprime chiaramente contro l'aborto. «Non si può sentire». Davvero? Non si può sentire? Allora chiudiamo anche tutte le chiese. Chiudiamo le diocesi. Chiudiamo anche il Vaticano. Perché fino a prova contraria (e fatta qualche dolorosa eccezione) la Chiesa è contro l'aborto. Allora io, per non dispiacere il mio amico, dovrei essere contro l'aborto in chiesa, ma poi quando esco fuori devo far finta di niente. Se no do fastidio all'onda lunga del pensiero unico che considera il feto come uno scarto. L'altra sera in tv, davanti al nostro attonito (e come sempre efficace) Francesco Borgonovo, Lilli Gruber ripeteva uno dei dogmi di questo pensiero assoluto: «Di aborto hanno diritto a parlare soltanto le donne», diceva. Onde per cui, il fatto stesso che io pensi di scrivere questo articolo mi mette fuori dal circolo dei giornalisti doc, quelli con il timbro d'approvazione della papessa rossa. Ma sicuro: avrei dovuto chiamare una collega e chiederle di scriverlo al posto mio. «Scusa, sai, c'è un argomento che mi sta a cuore, ma non sono autorizzato a parlarne…». E perché gli uomini non possono parlare di aborto? Perché, sostengono le lilli(puziane) del pensiero corretto, esso è un problema esclusivamente femminile. Dal che si deduce che a) i padri non contano nulla; ma ancora peggio che b) i nascituri non contano nulla. Il feto non viene considerato come un futuro bimbo, come un essere a sé stante, con la sua esistenza e i suoi diritti, ma soltanto come un pezzetto del corpo della donna. Come se fosse un'appendice. Come se fosse una tonsilla marcia. Cosa facciamo? La togliamo? La decisione spetta solo alla donna perché il feto=tonsilla non ha un padre e, soprattutto, non ha una vita propria. E invece, pensate che cosa pazzesca sto per dire, il bimbo che sta in pancia ha una vita propria. Ha un corpo, i piedi, le mani, il cuore che batte, non è una tonsilla, non è un'appendice. E dunque io rivendico il diritto a parlare di aborto, perché mi riguarda da vicino, in quanto tutti noi siamo stati potenziali aborti. E se siamo vivi è perché le nostre mamme non hanno abortito. In gioco, ogni volta che si fa una scelta del genere, non c'è solo il corpo della donna, che è importantissimo. Ma anche il corpo del figlio, bimbo o bimba che esso sia. Il quale, per altro, rischia persino di più della mamma, perché rischia di finire direttamente nella spazzatura. Io potevo essere quel bimbo. Tu che stai leggendo potevi essere quel bimbo. Ognuno di noi poteva essere quel bimbo. E dunque abbiamo tutti i diritti di parlare dell'argomento, non perché vogliamo ritornare all'aborto clandestino (solito ritornello con cui si zittisce ogni tentativo di affrontare il tema) ma perché vorremmo provare a difendere la vita, un po' di più di quello che è stato fatto finora, con una legge fra l'altro completamente disapplicata nella parte in cui sanciva la difesa del soggetto più debole in questione, ovvero il feto.Possibile parlarne? O no? Perché, di tutte le idee, propria questa fa paura? Perché la tutela del bimbo che nasce (in una civiltà che non ne fa più) è diventata tabù? Perché chi scende in piazza per difendere l'aborto, che è pur sempre una tragedia, viene applaudito e incoraggiato e chi scende in campo invece per difendere la vita, che è gioia e speranza, viene trattato da criminale delinquente? Perché tutte le leggi si possono discutere ma la 194 no? Perché vengono fatte liste di proscrizione, l'elenco degli alberghi, la lista nera dei traduttori, perché si organizza la caccia alle streghe contro chi sta cercando soltanto di dire che nessuna società può fare a meno dei bambini? Che per vivere bisogna, prima, nascere? E che i nascituri, di tutta questa vicenda, sono finora i più indifesi e inascoltati? E che non averli ascoltati, e averli spazzati via, sta causando il declino del nostro mondo? Sembra una cosa così terribile provare a porre queste domande? Così oscurantista? Così fetente? Se lo è, mi dichiaro colpevole. Sono tutte queste cose. E forse peggio ancora.