2019-05-11
L’ideologia venuta dagli Usa che mette a repentaglio la nostra libertà di parola
Dalle università anglosassoni, il politicamente corretto ha conquistato anche l'Italia Nato per tutelare i deboli, è presto degenerato in una perenne caccia alle streghe.Nelle cronache progressiste dal Salone del libro traspare un inquietante piacere per la repressione. Intanto i librai di Feltrinelli chiedono di non vendere il testo su Matteo Salvini: «Non finanziamo Casapound».Lo speciale contiene due articoliSarebbe un errore considerare l'episodio di censura «progressista» al Salone del libro come un caso isolato. Per l'Italia, in questi termini, siamo indubbiamente davanti a una novità. Ma - a ben vedere - la nostra sinistra sta solo importando una tendenza che è già dominante in altri Paesi dove la dottrina «politicamente corretta» ha preso il sopravvento. Può sembrare un paradosso, in un momento della storia umana di spettacolare crescita dei mezzi di comunicazione. Eppure, per contrappasso, c'è un'emergenza invisibile: quella della condizione precaria, nel nostro Occidente, del libero pensiero, della libertà di parola e di espressione, del free speech. Perfino, e direi in primo luogo, nel mondo anglosassone, che pure tanti di noi amano e ammirano come un modello.E invece il politically correct sta avvelenando i pozzi. Questa tendenza nacque - come spesso capita - con intenzioni teoricamente buone: proteggere le minoranze (etniche, culturali, sessuali), tutelarle, metterle al riparo da discriminazioni e offese. Peccato che, a poco a poco, in un clamoroso rovesciamento delle parti, il politicamente corretto si sia trasformato in una prassi di intolleranza, in un catechismo laico a cui pare impossibile sottrarsi, fino a diventare una potente arma di intimidazione. Ed è così che - in Usa e nel Regno Unito, con reazioni tardive, come vedremo - si è finito per accettare con sempre maggiore «normalità» che un'opinione venisse preclusa, impedita, silenziata.Secondo una recente ricerca dell'Adam Smith Institute inglese, nel 90% delle università inglesi sono avvenuti negli ultimi anni episodi piccoli e grandi di censura. A Oxford, un paio di anni fa, vi fu un tentativo di togliere di mezzo la statua di Cecil Rhodes, in quanto «imperialista e colonialista». Nel novembre scorso, in America, a Los Angeles, sono andati oltre, riuscendo nell'impresa, e rimuovendo una statua di Cristoforo Colombo, con la seguente motivazione: «Fu personalmente responsabile di diverse atrocità, le sue azioni hanno messo in moto il più grande genocidio della storia». Insomma, un monumento a Colombo come un segno di oppressione. Ma il campo di battaglia più feroce sono le università inglesi e americane. È sempre più costante la pratica eufemisticamente chiamata dei safe spaces, cioè di spazi concessi ad associazioni universitarie che sono così autorizzate a escludere e precludere opinioni diverse dalle loro: tenendo fisicamente fuori libri, giornali, interlocutori «sgraditi».Sempre più regolarmente, insegnanti e lecturers hanno l'obbligo di dare il cosiddetto trigger warning all'inizio di una lezione, nel caso in cui stiano per affrontare temi potenzialmente sensibili (religione, sesso, gender, ecc), in modo da consentire agli studenti che lo vogliano (ad esempio a quelli di religione islamica) di lasciare l'aula.È via via più diffusa la figura (George Orwell non avrebbe saputo immaginare di meglio, cioè di peggio...) del diversity officer, e cioè di un funzionario che, seguendo le lezioni e magari anche le conversazioni, ha il compito di cogliere espressioni sgradite, sgradevoli, offensive, e di segnalarle in privato al «colpevole», prospettandogli il rischio di essere sanzionato se l'episodio dovesse ripetersi.Opinioni non conformiste (o semplicemente non conformi al politicamente corretto) sono classificate come hate speech, cioè come discorso d'odio.Hanno dunque totalmente ragione (da Niall Ferguson a Roger Scruton) quelli che si stanno ribellando a questa deriva: un approccio (teoricamente a fin di bene, come dicevamo) nato per non discriminare si è inesorabilmente trasformato in un mostro, in una religione senza dottrina ma ancora più dogmatica e intollerante, in un meccanismo di intimidazione contro i portatori di idee non omologate.E spesso chi osa criticare questa impostazione paga un prezzo carissimo: proprio Roger Scruton, forse il filosofo conservatore più autorevole al mondo, e prima di lui il brillantissimo giornalista Toby Young, caustica firma dello Spectator, sono stati costretti a umilianti dimissioni da incarichi sostanzialmente onorifici, perché criminalizzati a causa delle loro opinioni «scorrette», con campagne selvagge condotte da sinistra contro di loro sui social network. E con l'incredibile capitolazione finale del governo di Theresa May, che ha finito per piegarsi a questi episodi di linciaggio. Solo di recente si sono registrati i primi segni di resipiscenza. Un paio di mesi fa, in Inghilterra, il sottosegretario all'Università ha annunciato un'inversione di tendenza, che tuttavia dovrà essere verificata sul campo: il governo intende vietare nelle università episodi di censura o di esclusione da dibattiti. Analogo annuncio è stato fatto ai primi di marzo da Donald Trump, che ha esplicitato un principio fondamentale: non si possono più dare fondi pubblici alle università se queste accettano o autorizzano la pratica della censura. Ci vorrà molto per capirlo anche qui da noi? Daniele Capezzone<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/lideologia-venuta-dagli-usa-che-mette-a-repentaglio-la-nostra-liberta-di-parola-2636804826.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="cosi-la-voglia-morbosa-di-censura-ha-contagiato-la-sinistra-italiana" data-post-id="2636804826" data-published-at="1757675112" data-use-pagination="False"> Così la voglia morbosa di censura ha contagiato la sinistra italiana Che la sinistra abbia la censura facile è cosa nota e non da oggi. Ma il piacere quasi fisico che essa comincia a provare nel proibire, la voluttà di mettere al bando l'altro, è un fenomeno forse nuovo e che meriterebbe un approfondimento psicanalitico, prima che politico. La grottesca vicenda del Salone del libro di Torino e della estromissione di Altaforte sta infatti mettendo a nudo aspetti oscuri della mentalità progressista. Chiamiamola la sinistra alla Mario Scelba, come spiegava ieri sulla Verità Francesco Borgonovo. O anche la sinistra alla Karl Popper, il cui «paradosso della tolleranza» («Non si può essere tolleranti con gli intolleranti») è stato spesso citato in questi giorni. Peccato che Popper, dietro la lavagna della storia, non mettesse solo i fascisti, ma anche Platone, Georg Wilhelm Friedrich Hegel e Karl Marx. Insomma, il comunismo 2.0 sembra avere una singolare predilezione per tutti i più acerrimi nemici del comunismo 1.0. Per orientarci in questo groviglio di contraddizioni, basta leggere Repubblica di ieri. La cronaca dal Salone è affidata a Maurizio Crosetti, che, raccontando la giornata e l'estromissione di Francesco Polacchi, titolare di Altaforte, dall'evento torinese, chiosa: «Tutto è bene quel che finisce bene». È il commento che si fa quando ritrovi la nipotina persa in spiaggia o salvi un gattino intrappolato su un albero: tutto è bene quel che finisce bene. Solo che stavolta hanno tentato di oscurare una casa editrice. Che sollievo, che piacere. Il resto dell'articolo sembra scritto da un ghostwriter di Askatasuna. Di Polacchi e delle sue parole ai giornalisti, fuori della fiera, Crosetti dice: «Lo ascoltano giornalisti e fotografi, il fascista ha avuto una pubblicità notevole ma adesso sembra proprio un poveraccio con quattro gatti intorno». Che poi sarebbero i suoi colleghi. Il finale del pezzo è lirico: «L'operaio che trascina il pannello con la scritta “Altaforte" ha un sorriso bellissimo». Smantellare uno stand di libri non è solo doveroso, quindi, ma è quasi un atto poetico. Basta tramonti in riva al mare, ispiriamoci solo agli stand smontati. Anche se certamente non dà lo stesso piacere di altre soluzioni più radicali, come quelle che lo scorso ottobre lo stesso Crosetti invocava su Twitter: «Sia chiara una cosa. Dobbiamo reagire, indignarci, batterci, denunciarli, resistere fino alle estreme conseguenze, e se sarà il caso appenderli per i piedi. Mai più fascisti». Del resto, sempre su Repubblica, Carlo Ginzburg, dopo aver ovviamente evocato l'Olocausto dietro l'angolo, chiude così il suo articolo: «È tempo di dire basta: le leggi esistenti lo consentono». Vietare i libri, i pensieri e magari pure i partiti. Vietare, sempre vietare, fortissimamente vietare. Nel frattempo, in quel presidio di democrazia e libero pensiero che è la casa editrice Feltrinelli, il dibattito è frizzante: oltre 120 librai della catena, pari a circa il 10 per cento del totale, hanno infatti chiesto alla loro direzione centrale di poter bandire Altaforte dagli scaffali. «A nostro parere», scrivono, «questo libro nei nostri negozi fisici e on line non deve essere presente. Siamo contrari anche alla possibilità di renderlo reperibile attraverso il servizio Special Order», ovvero di farlo arrivare rapidamente dal magazzino su richiesta del cliente. «Non vogliamo in alcun modo sostenere economicamente il circuito che gravita intorno a Casapound, così come tutte le realtà che fanno del razzismo, del sessismo e dell'odio nei confronti degli avversari politici la propria bandiera». La Stampa, che dà la notizia, pubblica anche alcuni stralci della risposta di Alessandro Monti, il direttore vendite, che spiega come «la diversità e la libertà di espressione sono il sale della democrazia. Lo dice anche la nostra Costituzione. Sta a me decidere il limite della libertà di espressione? No, spetta alla magistratura. Sono quindi contrario a qualunque discrezionale atteggiamento censorio». La decisione finale di Feltrinelli non lascia comunque delusi i fan del boicottaggio: «Non promuoviamo questo libro, cioè non lo teniamo in giacenza, ma non neghiamo a nessuno il diritto di leggerlo e la libertà di farsi un'opinione personale, e offriamo il servizio di Special Order. Questo ho già indicato ai vostri direttori e spero ne foste informati». Basterà la non promozione a placare la sete di repressione di questi librai che odiano i libri? Chi, in questi giorni, ha avuto la sua sbornia di censura è stato sicuramente lo scrittore Christian Raimo, che ha presto dismesso i panni del cane bastonato che aveva indossato dopo le sue dimissioni dal comitato editoriale del Salone, per tornare raggiante alla notizia dell'avvenuto ostracismo. «Non sono contento perché è una vittoria. Sono contento perché è un diritto. La lotta paga», aveva commentato nell'immediato. Il tono è quello delle vecchie battaglie operaie, applicato però alla polizia del pensiero anziché alle rivendicazioni dei lavoratori. In uno status successivo, ha chiamato la kermesse torinese «Salone liberato del libro». Lapsus non sappiamo quanto volontario, perché il risultato dell'azione da lui promossa è stato esattamente quello di «liberare» il Salone del libro dalla presenza dei libri stessi. Quelli di Altaforte, nello specifico, ma il principio, una volta sdoganato, è applicabile a piacimento. E, equivoco per equivoco, suona sinistro anche il commento di Raimo alla sua foto con i componenti della squadra mobile del quartiere Barriera di Torino: «Una polizia antifascista». Il riferimento è all'approccio solidale degli agenti in questione, ma l'impressione è che proprio questo sia l'esito scontato dell'antifascismo declinato alla Raimo: un'eterna operazione di polizia contro le idee sgradite. Perché proibire e censurare, alla fin fine, a loro piace davvero. Adriano Scianca
Giorgia Meloni al Forum della Guardia Costiera (Ansa)
«Il lavoro della Guardia Costiera consiste anche nel combattere le molteplici forme di illegalità in campo marittimo, a partire da quelle che si ramificano su base internazionale e si stanno caratterizzando come fenomeni globali. Uno di questi è il traffico di migranti, attività criminale tra le più redditizie al mondo che rapporti Onu certificano aver eguagliato per volume di affari il traffico di droga dopo aver superato il traffico di armi. Una intollerabile forma moderna di schiavitù che nel 2024 ha condotto alla morte oltre 9000 persone sulle rotte migratorie e il governo intende combattere. Di fronte a questo fenomeno possiamo rassegnarci o agire, e noi abbiamo scelto di agire e serve il coraggio di trovare insieme soluzioni innovative». Ha dichiarato la Presidente del Consiglio dei Ministri Giorgia Meloni durante l'intervento al Forum della Guardia Costiera 2025 al centro congresso la Nuvola a Roma.
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