2022-05-15
L’idea di Liu Jo: il «maggiordomo aziendale»
Tra le iniziative del brand per la conciliazione vita-carriera dei dipendenti, anche una figura apposita che si fa carico delle loro incombenze, inconciliabili con l’orario di lavoro. Il fondatore Marco Marchi: «Tanti i progetti pensati per chi rende possibile la nostra missione».Tra le tante cose che bollono in pentola da Liu Jo, famoso marchio di moda femminile nata a Carpi nel 1995, c’è la promozione di nuovi progetti di welfare aziendale dedicati alla conciliazione vita-lavoro, attraverso la partecipazione al Bando Conciliamo. Tra i progetti, un innovativo «maggiordomo aziendale», pensato come un aiuto per tutti i dipendenti, che potrà farsi carico delle incombenze personali e familiari inconciliabili con l’orario di lavoro. Marco Marchi, fondatore di Liu Jo e amministratore unico di Eih, Eccellenze Italiane Holding, ci crede fino in fondo. «Grazie alla vittoria di questo bando, si possono rendere ancora più concrete una serie di progettualità dedicate a chi tutti i giorni lavora e rende possibile la missione di Liu Jo: ci è sembrato il modo migliore per dare forza a questi valori», spiega alla Verità.Lei si è sempre occupato di moda?«Sì, è sempre stata la mia vocazione. Mi ha aiutato il fatto di essere nato in un distretto tessile dove mi sono nutrito e ho respirato moda fin da quando ero bambino e non perché lo facessero i miei genitori, che avevano un piccolo negozio di alimentari con laboratorio, ma perché il nostro territorio, piccolo allora e ben più grande oggi, aveva come motore produttivo e di crescita l’abbigliamento e soprattutto la maglieria». Distretto straordinario quello di Carpi, famoso in tutto il mondo, eppure nel tempo è andando calando, come mai è accaduto questo?«Penso che Carpi sia rimasta una realtà di grande eccellenza, dato che qui vengono prodotti capi d’abbigliamento per brand importanti internazionali del lusso, quindi aziende che lavorano per conto terzi. La forte contrazione è stata causata dalla grande distribuzione, dalla quantità a prezzi aggressivi, in quanto dopo l’accordo del Wto che faceva cadere le quote d’importazione dalla Cina e dall’Asia in generale, per almeno vent'anni, s’è creata un durissima competizione. Da un lato un momento dinamico d’investimenti tecnologici e dall’altro un costo della manodopera che, a quell’epoca, era quasi un decimo dell’Italia. Questo ha creato una delocalizzazione molto importante dal mercato europeo offrendo quantità d’investimento e produzione nei mercati orientali. E questo ha provocato una selezione della specie».Ora le cose come vanno?«Se guardiamo in modo asettico la fotografia dei numeri sembra che il territorio abbia ritrovato una propria efficienza, Ciò che c’è da sottolineare è che questo risultato è figlio di una catalizzazione dei valori: poche aziende sono diventate molto importanti, in assoluto il fatturato del distretto è rimasto più o meno analogo a favore di alcune aziende e a discapito di tante altre».Chi ha avuto la peggio sono i piccoli?«Assolutamente sì, coloro che non hanno puntato al marchio, che avevano un indotto produttivo prevalentemente locale. E non va dimenticato che la generazione imprenditoriale di una certa età, è stata la prima ad avere avuto problemi e a chiudere. Non c’è stato nemmeno il ricambio generazionale». Come è partita Liu Jo?«Avevo lavorato come tante altre persone del mio distretto in una logica di private label, quindi conto terzi per la grande distribuzione, ma capii che non poteva esserci futuro. Questo mi fece decidere di iniziare un mio percorso con un brand proprio. Oggi ci troviamo, dopo ormai 27 anni, con una azienda che nel 2021 ha fatturato 411 milioni, uscita quindi con numeri significativi anche in tema di redditività in quanto in questi due anni di grandissima complessità l’azienda ha reagito nel modo virtuoso, addirittura migliorando le proprie performance in riferimento al 2019. Ha dimostrato muscoli e salute». Qual è stata la sua formula per la ripartenza?«Più che ripartire bisogna pensare a continuare questo percorso che ci vede leader nel settore ormai da tantissimi anni. Una caratteristica comune dell’imprenditoria italiana è quella di farcela a uscire da momenti di difficoltà dando il meglio. Il concetto della resilienza, molto usato, è stato comune denominatore da parte di tanti imprenditori che si sono cimentati in un momento molto complesso».I numeri di Liu Jo?«Circa 800 lavoratori: la media è 36 anni e il 98% sono donne. Sempre maggiore la presenza worldwide di Liu Jo, che conta già 389 insegne monomarca e 5.943 multicamarca sparsi in quattro continenti e ben 45 Paesi del mondo. In più le aperture a The Galleria Al Maryah Island di Abu Dhabi, appena inaugurata, presso il Bonarka City Center di Cracovia (Polonia), al Mauritius Bagatelle Mall, a Città del Messico e a Alicante (Spagna). Di recente, inoltre, Liu Jo ha anche inaugurato la sua prima sede operativa diretta e il suo primo showroom a Porto (Portogallo)». In un momento in cui sulle famiglie italiane gravano i nuovi costi dell’energia e del gas, ci saranno meno disponibilità verso il vestire. Come si dovrà affrontare questo ulteriore problema?«Senza dubbio con questi aumenti è diminuito il potere d’acquisto dei consumatori. Noi puntiamo sulla qualità, gli acquisti sono più responsabili e un prodotto non può avere come unico riferimento il prezzo. L’acquisto non riflessivo si è ridimensionato e nell’ultimo periodo si è ancora più acutizzato. Capi che hanno alla base un’attenzione alla sostenibilità e che rispondano a una creatività che diventa sempre più esigente. Mai nulla di banale».Eccellenze Italiane Holding, il suo contenitore di marchi.«Abbiamo il mondo Blufin con il marchio più rappresentativo, Blumarine, e poi Anna Molinari, Blugirl, Eli che produce calzature, Digital Boite che si occupa dell’e commerce per Liu Jo e altri marchi importanti. È un gruppo che si sta costruendo con nuovi giovani attori».I grandi gruppi francesi hanno al loro interno merceologie molto diversificate. Anche per lei è questo l’obiettivo?«I francesi hanno una storia molto più lunga della nostra, l’attività di aggregazione è iniziata almeno vent'anni fa. Mi auguro che le realtà italiane di cui Liu Jo fa parte, come poli aggregatori possano anche acquisire nuove attività. Per ora la nostra strada si sviluppa solo esclusivamente nel tessile moda. Ma nella vita non si sa mai. Siamo giovanissimi e abbiamo ancora tante cose da fare».
Il giubileo Lgbt a Roma del settembre 2025 (Ansa)
Mario Venditti. Nel riquadro, da sinistra, Francesco Melosu e Antonio Scoppetta (Ansa)
Nel riquadro: Ferdinando Ametrano, ad di CheckSig (IStock)