2023-11-07
L’ombra di un complice dietro al caso Claps
La chiesa della Santissima Trinità a Potenza. Nel riquadro, Elisa Claps (Ansa)
A 30 anni dall’uccisione della giovane potentina, un libro illumina le zone grigie delle indagini. Dalle scarpe abbandonate nel sottotetto a una traccia di sangue non analizzata, fino a uno scritto anonimo (mai vagliato) che suona come una confessione.Quella di Elisa Claps è una storia lunga 30 anni: dal giorno dell’omicidio, il 12 settembre 1993, a quello della riapertura della chiesa che le ha fatto da tomba per 17 anni nel centro storico di Potenza, il 24 agosto scorso. Tutti pensavano che il caso fosse andato definitivamente in archivio con la condanna di Danilo Restivo che, in Inghilterra, quasi in simultanea con i 30 anni di carcere che gli hanno inflitto i giudici di Salerno, nel 2011 si è beccato un ergastolo per un altro delitto, quello della sarta Heather Barnett, la sua vicina di casa. Da subito Restivo è stato indicato come l’unico colpevole di entrambi gli omicidi, rituali e pieni di analogie (a Potenza Restivo aveva il vizietto di tagliare i capelli alle ragazze che viaggiavano in autobus e nelle mani della sarta inglese sono state trovate delle ciocche di capelli, alla Barnett sono stati recisi i seni e il reggiseno della Claps è stato tagliato tra le due coppe, il corpo della sarta fu trascinato dalla porta d’ingresso al bagno e quello di Elisa dall’ingresso del sottotetto della chiesa all’angolo in cui è stato nascosto, tutte e due le vittime sono state ritrovate con i pantaloni e gli slip abbassati fino a scoprire una parte della zona pubica), ma a Potenza l’assassino non può avere agito da solo. Nonostante nei capi d’accusa del processo di Salerno Restivo sia stato accusato anche dell’occultamento del cadavere, i fascicoli giudiziari contengono decine di tracce lasciate da chi l’ha aiutato a nascondere il cadavere della ragazza e a farla franca per 17 anni, fino al 17 marzo del 2010, giorno in cui i resti di Elisa sono stati ritrovati in modo rocambolesco nel sottotetto della chiesa della Santissima Trinità, dove in corrispondenza del corpo della Claps, nascosto sotto mattoni, materiale edile di risulta e tegole, era stata aperta una feritoia nel tetto per far uscire i miasmi della putrefazione. Trent’anni dopo, a bocce ferme, con il collega Fabrizio Di Vito abbiamo ripreso quei fascicoli giudiziari. E sono spuntate decine di tracce che gli inquirenti hanno tralasciato, scartato e mai analizzato. Le scoperte sono finite in un libro da 188 pagine, Indagine nell’abisso della chiesa della Trinità (Edizioni EdiMavi), appena pubblicato. «Restivo ha goduto di ferree coperture in ambito familiare», hanno sentenziato i giudici. È impossibile immaginare, però, che il papà di Restivo, Maurizio, all’epoca direttore della biblioteca nazionale di Potenza, possa essere entrato in chiesa in un secondo momento per trasformarsi in un falegname e segare le tavole di copertura che reggeva le tegole per praticare quell’apertura. Partendo da questo punto fermo abbiamo cercato tutto ciò che avrebbe potuto dimostrare la presenza di altre persone in quel sottotetto. E sono saltati fuori reperti trascurati, impronte di calzature mai comparate e perfino una traccia di sangue non analizzata «per economia processuale», hanno affermato le toghe. Inoltre, riguardando con attenzione i filmati della scena del crimine, è risultato ben visibile un paio di scarpe abbandonato sotto una scala, vicino all’uscita dal sottotetto della chiesa. Dopo quanto è emerso nel processo inglese (Restivo si è cambiato le scarpe da ginnastica con le quali ha lasciato le impronte delle suole insanguinate solo quasi fino all’uscio della porta. Da quel preciso punto in poi, infatti, i detective non hanno trovato altre impronte) avrebbero richiesto più attenzione. Invece sono ancora lì. Il particolare che colpisce è che è ancora presente l’allacciatura, come se fossero state tolte in tutta fretta. Nonostante si trovino nell’elenco dei reperti, negli atti giudiziari non viene indicato il numero. Non c’è neppure una descrizione sommaria. Nessuno, inoltre, ha verificato se, per coincidenza, calzassero proprio al sospettato numero uno. Di certo chi ha aiutato Restivo ha ancora paura di finire nei guai. Tant’è che c’è stato un ennesimo depistaggio (il caso ne è pieno e i depistaggi coincidono quasi tutti con la riapertura delle varie fasi di indagine), a processo ormai chiuso. Su uno scritto anonimo, che per i dettagli contenuti dimostra di essere partito dall’ambiente ecclesiastico, abbiamo concentrato particolarmente l’attenzione. Ma siamo andati anche indietro, riuscendo a spiegare (incrociando le informative giudiziarie con le fonti aperte dell’epoca e contestualizzando gli errori) come mai i primi investigatori sono finiti in un vicolo cieco. La vicenda, inoltre, in un preciso momento storico è finita al centro di una guerra tra pezzi dello Stato nella quale è inciampato l’ex pm di Catanzaro, Luigi De Magistris. Inoltre, riteniamo di essere riusciti a fornire ai lettori logiche spiegazioni di molte questioni rimaste irrisolte. Mentre la famiglia lottava (e lotta) ancora per cercare la verità, infatti, sono state diffuse ricostruzioni fantasiose e parziali che hanno orientato un’opinione pubblica già turbata dal ritrovamento dei resti della vittima in chiesa, da sospetti su prelati e inquirenti, da documenti allusivi e da suggestivi colpi di scena. Molto potrebbe essere riconducibile a chi ha aiutato Restivo. Per questo, soprattutto oggi, è necessario evitare gli errori commessi nel 2010, all’indomani del ritrovamento dei resti di Elisa in chiesa. Gli investigatori, e non solo, per molto tempo hanno concentrato la loro attenzione sui sacerdoti e sul vescovo di Potenza (monsignor Agostino Superbo), che all’epoca sembravano non aver spiegato tutto. Da una approfondita lettura dei documenti giudiziari è possibile invece ricostruire tutte le fasi del ritrovamento del 17 marzo 2010 e anche tutte le altre volte in cui i resti di Elisa sono stati visti da qualcuno (che ha mantenuto il silenzio). A partire dal 2008, anno in cui muore il parroco della chiesa della Trinità, don Mimì Sabia, che celebrò la messa la domenica in cui di Elisa si sono perse le tracce. Sulla figura del sacerdote si sono addensate molte ombre e non tutte sono state valutate nelle varie inchieste, lasciando questo personaggio in un limbo. Infine, siamo riusciti a ottenere uno scritto anonimo che non era presente nei fascicoli. Il ritrovamento risale al periodo in cui di Elisa si erano da poco perse le tracce. A rileggerlo oggi suona come una oscura confessione. Nessuno però si è mai premurato di comparare la grafia con quella di Restivo. Una svista, l’ennesima, nell’inchiesta passata sulle scrivanie di due Procure e di decine di investigatori che ancora oggi si portano sulle spalle un peccato originale: non aver perquisito a fondo la chiesa della Trinità il giorno stesso della scomparsa.
Vladimir Putin e Donald Trump (Ansa)