2021-07-14
L’Europeo è una grande gioia. Ma le divisioni del Paese non le ricuciono Mancini & C.
L'Italia unita, celebrata dalla stampa progressista, è solo una invenzione di comodo Walter Veltroni, Romano Prodi e Marco Tronchetti Provera offrono retorica nazionalista a buon mercato.Tranquilli, va tutto a meraviglia. Anzi, non è mai andata meglio di così e può solo migliorare. L'Italia ha vinto gli Europei (cosa di cui siamo tutti estremamente felici), e tanto basta perché sia tutto risolto: ogni nodo sciolto, ogni ferita sanata. Il Corriere della Sera, ad esempio, ci informa che «il successo in una competizione europea può avere ricadute tra +06 e +07% del Pil» e avrà «impatto sui consumi, dal vino a moda e turismo». Crescerà il Pil e ovviamente salirà anche la Borsa. E poco male se Stefano Caselli della Bocconi precisa che in assenza di «altri fattori di supporto […] la ripresa potrebbe rivelarsi effimera» (come a dire: stiamo al punto di prima).È merito della nazionale, dice commosso Walter Veltroni, se abbiamo ripreso ad abbracciarci. Perché forse voi non lo sapete, ma «avevamo smesso di abbracciarci. Persino dimenticato come si fa. E a noi italiani piace tanto abbracciarci» (ma davvero?). Il principe dei retroscenisti politici, Francesco Verderami, fa sapere invece che «la coppa rafforza anche Draghi in Europa», e allora tutto si spiega: finora non ci hanno ascoltato perché non vincevamo abbastanza partite di pallone. D'ora in poi gli amabili vicini si prenderanno ogni immigrato clandestino che sbarca sulle nostre coste.È d'accordo persino Repubblica, che titola: «Un minuto di applausi interrompe l'Eurogruppo. E il calcio ci rilancia in Ue». Grazie allo stesso giornale apprendiamo che da quando c'è l'euro «vincono solo i Pigs», cioè i Paesi dell'Europa meridionale, mentre «dei Paesi nordeuropei, quelli del rigore, nessuna traccia. Anzi, da domenica sera, è l'Italia che può permettersi di dare agli altri lezioni di rigore».Capito? Anche la grande stampa è all'improvviso diventata nazionalista, quasi sovranista, di sicuro populista. Grandi firme e autorità si dividono in due fazioni. Da una parte ci sono gli ultras, quelli che infieriscono sull'avversario sconfitto, ad esempio Evelina Christillin, che sulla Stampa arriva a parlare della «Perfida Albione che ci infilza con un gol maledetto», un tono da cinegiornale Luce che ad altri costerebbe la carriera.Dall'altra parte, invece, ecco i sostenitori del miracolo, quelli secondo cui il Pil schizzerà alle stelle, l'economia ripartirà a bomba. Marco Tronchetti Provera, per dire, su Repubblica non mostra dubbi: «Uniti come a Londra, la vittoria spingerà la nostra economia». L'Huffington Post, dal canto suo, è eccitatissimo: «Coppa, Maneskin e Recovery. L'Italia vuole cavalcare l'onda». E per rendere più emozionante la cavalcata, il quotidiano online riporta il fulminante pensiero di Paolo Gentiloni: «Possiamo cambiare un po' il futuro della nostra economia. Serve lo stesso spirito di coesione che in questi giorni abbiamo tutti celebrato per la magnifica vittoria della Nazionale a Wembley». Splendido: forza che possiamo cambiare, ma giusto un po', sempre meglio non avere aspettative troppo alte.A proposito di nuovo boom economico, tuttavia, il meglio lo offre da almeno un paio di giorni Mario Ajello sul Messaggero. Lunedì gli è decisamente scappata la mano, ed è riuscito a dire che, se abbiamo vinto, è merito di Supermario Draghi. Sentite che roba: «Il premier lo zampino nella vittoria della Nazionale lo ha messo così: creando un contesto internazionale favorevole all'Italia, presentandola ovunque nei consessi europei e mondiali come un Paese serio e credibile, mettendo la sua faccia a garanzia del volto rinnovato dell'intera nazione. Un Paese così rinnovato nella considerazione degli altri è un Paese attrezzato a vincere, e questa è stata la scommessa di Mario Draghi. Lui ha preparato il terreno, Roberto Mancini e i suoi ragazzi lo hanno calpestato da campioni e il gioco è fatto». Ovvio: era tutta questione di contesto. E ci chiediamo allora come mai Draghi non si sia spinto fino in fondo, perché ci abbia fatti penare ai rigori e perché non abbia fatto trionfare pure Berrettini. Forse perché il nostro Grande Leader, oltre che miracoloso, è anche meravigliosamente modesto?Ieri, forse consapevole di aver esagerato un po', Ajello è tornato sul luogo del delitto, ma con una intervista a Romano Prodi. Sobrio il titolo: «Vincere dà fiducia ai giovani e loro sono la molla del Paese». E se lo dice zio Romano, cari ragazzi, state sereni! Vedrete che bel futuro vi aspetta. La nazionale vi ha regalato non solo prospettive più rosee, ma pure una nazione migliore. Infatti, come grida Repubblica in prima pagina, gli azzurri hanno finalmente «unito l'Italia».Ora, non è che noi si debba sempre fare i guastafeste. Però, diamine, un po' di contegno. Vanno bene, benissimo l'entusiasmo e la positività, ne avevamo bisogno. Però, a dirla tutta, non è che ce la possano dare a bere così. I calciatori italiani son senz'altro pieni di meriti e strabordanti di qualità, e infatti il loro compito l'hanno svolto nel modo più straordinario possibile. Ma non spetta a loro risollevare una nazione intera. Ci hanno regalato una gioia inattesa, qualche bel giorno di festa, e sono doni ancora più belli perché non del tutto attesi. A tutto il resto, però, ci deve pensare la politica. E diciamoci la verità: su questo versante non è che ci sia da stare più di tanto allegri. Gli azzurri ci hanno insegnato ad abbracciarci di nuovo? Beh, il ministro Roberto Speranza e i suoi ineffabili sostenitori stanno già pensando a come ripristinare i distanziamenti. La nazionale ha «unito l'Italia»? Certo, ma la stessa parte politica che celebra la ritrovata coesione è la stessa che, imperterrita, continua a dividere il mondo in uomini e bestie. Che spezza la concordia accusando di omofobia chi non vuole il ddl Zan, di razzismo chi insiste a chiedere che ci si occupi degli sbarchi di migranti. Allora, per favore, abbiate pietà di noi comuni mortali, e abbiate rispetto per i campioni d'Europa. Non parassitate la loro gloria, non usatela come un paravento, o peggio come panacea. Gioite, come no. Ma lasciate liberi Donnarumma e Chiellini di non occuparsi del Pil e della «ripartenza». A meno che, ovviamente, non si decida di farli ministri. La qual cosa, visto il materiale attualmente a disposizione, potrebbe persino sembrare una bella idea.