2022-08-05
Letta diventa il bancomat dei collegi. I 9 punti di Si e Verdi sono una scusa
Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli hanno l’urgenza di dare ai militanti di sinistra l’impressione di contare qualcosa in una coalizione che tutto sembra tranne che progressista. E il segretario dem è sempre più angustiato.Letta a tre piazze: il segretario del Pd si ritrova al centro di un affollato lettone elettorale, sempre più in difficoltà per la tendenza ad allargarsi dei suoi partner politici, Carlo Calenda a destra e il tandem Nicola Fratoianni-Angelo Bonelli a sinistra. Considerato ormai una specie di bancomat di collegi e «diritti di tribuna», dopo aver generosamente accontentato gli appetiti di Azione, Enrico ora si ritrova a fare i conti con l’altra metà del suo campetto, quella dove sono schierati Sinistra italiana e Europa verde della premiata ditta Fratoianni & Bonelli, i quali alzano ogni giorno che passa il prezzo del loro sofferto e responsabile sacrificio, ovvero far parte dell’alleanza che si avvia a straperdere le elezioni del prossimo 25 settembre, ma con qualche seggio in parlamento garantito. «Qua nessuno è fesso!», pensano i due: se Calenda, con il 5% nei sondaggi, ha incassato il 30% degli uninominali, Si e Ev, che sono segnalati al 4%, possono chiedere almeno il 20%: è quanto hanno spiegato ieri Fratoianni e Bonelli a Letta, incontrato alla Camera. A Letta è stata consegnata anche una lista di punti programmatici considerati «imprescindibili» da Sinistra italiana e Europa verde: qualcuno ha parlato di 9 argomenti, ma a quanto apprende la Verità ne basterebbero pure un paio per chiudere l’accordo. L’urgenza è dare ai militanti di sinistra, in pratica, l’impressione di contare qualcosa in una coalizione che tra Agenda Draghi e Agenda Calenda tutto sembra tranne che progressista. Una gentile concessione su lavoro, precarietà, ambiente, ovviamente accompagnata da un sostanzioso contorno a base di uninominali conquistabili, e l’accordo si chiuderà: quando siamo andati in stampa, la riunione era ancora in corso, ma non sarà quella decisiva. A complicare ancora di più il quadro, c’è la distanza tra la linea di Fratoianni e quella di Bonelli: Fratoianni sarebbe più incline a dire addio a Letta e Calenda per tornare a confrontarsi con Giuseppe Conte, anche se l’ex premier non viene considerato affidabile; Bonelli, invece, non vuole assolutamente rompere con Letta, anche a costo di deglutire il programma neoliberal di Pd e Azione.Non a caso, dal quartier generale del M5s trapela un commento al vetriolo: «Al momento», ci dice una fonte qualificata, «non ci sono stati contatti, anche perché a leggere le dichiarazioni di Bonelli sembra che non abbiano intenzione di lasciare la gioiosa macchina da guerra che va da Letta alla Gelmini». Le dichiarazioni in questione sono quelle rilasciate da Bonelli a Rainews24: «Un accordo con il M5s se salta quello con il Pd? Non siamo una pallina da ping pong», dice Bonelli, «intanto noi dobbiamo con molta responsabilità verificare se ci sono le condizioni di un accordo con il Pd. Conte mi pare abbia fatto la scelta di riportare il M5s alle origini, ne prendiamo atto, è un problema di Conte, ma noi siamo impegnati a costruire una presenza che parli di giustizia sociale e climatica. Il primo governo Conte ha fatto provvedimenti dove la stessa Unione europea è dovuta intervenire», aggiunge Bonelli, «per ricordare che sono fuori dalle norme Ue, come quello che permette di spargere fanghi da depurazione con diossina e idrocarburi sui campi dove si coltiva il nostro cibo». Calenda, da parte sua, non fa nulla per agevolare il cammino, assai faticoso, di un sempre più angustiato e preoccupato Letta: «Sarebbe disposto a scendere a patti e rinegoziare alcuni punti del programma con Si e Verdi?» gli viene chiesto su Rai Radio Uno: «No», risponde Calenda, «perché se non c’è chiarezza su cosa vogliamo fare non si va da nessuna parte, quindi l’Agenda Draghi e quel che contiene è un perno per noi irrinunciabile. Ho chiesto condizioni molto stringenti a Letta, che nemmeno un voto di Azione andasse a Di Maio, Fratoianni, ex M5s e company, una lista precisa di cosa fosse l’Agenda Draghi, rigassificatori, termovalorizzatori, nessun aumento delle tasse. Questo è un patto elettorale con due leadership, di Letta e mia, che sono distinte». Davvero si fa fatica a credere che Letta non sia stato ancora sfiduciato dal suo partito: il leader di un Pd segnalato dai sondaggi sopra il 20% che si fa letteralmente umiliare da un alleato che conta su un quarto dei voti è uno spettacolo politicamente tristissimo. A chi gli chiede conto della presenza dei rigassificatori nel programma sottoscritto con Azione, indigeribili per la sinistra, un imbarazzato Letta risponde con una grottesca supercazzola: «Nel patto c’è scritto autonomia programmatica, sono questioni sulle quali possono esserci posizioni diverse», annaspa Letta, «non è che su tutti i temi si deve essere d’accordo su tutto. Il patto tra noi e Calenda, non è il patto di tutti. Con Sinistra italiana e Verdi stiamo discutendo. Se sono ottimista? Sono sempre ottimista». Enrico sta sereno, dunque, mentre la sua trasformazione in pallina antistress da schiacciare lo porta a prendere schiaffi (politici) pure da Mara Carfagna: «Allargare la coalizione a sinistra», infierisce Mara, a Sky Tg24, «è un problema di Enrico Letta, il segretario del Pd ha fatto un patto con noi accogliendo tutti i punti che avevamo posto, punti che qualsiasi liberale europeista sottoscriverebbe».
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