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2025-05-02
Leonor Fini: la sua arte in mostra a Palazzo Reale
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Leonor Fini. Autoportrait au chapeau rouge, 1968.Archivio fotografico del Museo Revoltella - Galleria d'Arte Moderna, Trieste © Leonor Fini Estate, Paris
Nata a Buenos Aires nel 1907 da madre italiana e padre argentino e morta a Parigi nel 1996, la vita di Leonor Fini è stata eclettica, eccentrica, originale, stravagante, provocatoria e anticonformista come la sua arte, definita da più parti «grande e magica, inquietante e placida, poetica e mitica, bella e fiabesca ».
Genio ribelle e talento precoce, attratta dall’arte ma non dagli accademismi, trascorse l’adolescenza a Trieste (città natale della madre), dove cominciò a disegnare da autodidatta imparando l’anatomia umana osservando i cadaveri all’obitori della citta…Lasciata Trieste per Milano, nel capoluogo meneghino conobbe gli artisti più importanti del tempo (fra cui De Chirico, Sironi e Carrà) e, a soli 17 anni, espose per la prima volta le sue opere in una nota galleria: grande ammiratrice di Freud e delle sue teorie, i primi dipinti di Leonor Fini rappresentavano già ambienti, personaggi e oggetti inquietanti e ambigui, dalla forte valenza psicoanalitica.
Giovane, ma già forte di una certa fama, nel 1931 si trasferì da sola a Parigi (città che divenne la sua «patria adottiva»), dove, fra feste, committenze e mondanità, entrò in contatto con il gruppo dei surrealisti, e con Max Ernest - che la definì «la furia italiana a Parigi» - in particolare. Ma nonostante il suo linguaggio artistico avesse molto in comune con l’estetica surrealista, rifiutò questa etichetta e qualunque altra forma di classificazione o di rigida schematizzazione. Influenzata dal romanticismo tedesco e francese, dal decadentismo della secessione viennese e da una certa tradizione del fantastico, Leonor Fini amava rappresentare soprattutto oscure ed enigmatiche figure femminili, mossa da un’ideale di donna forte, bella e passionale, in grado di scalzare l’uomo dal dominio del mondo. Donne che spesso dipingeva in veste di dee o sfingi, metà donna e metà felino, quasi a volersi specchiare e riconoscers in esse, ricercando l’aspetto più interiore e onirico della femminilità
Spirito libero e nomade, negli anni del secondo conflitto mondiale lasciò Parigi, occupata dai tedeschi, per Montecarlo e poi per Roma, dove conobbe intellettuali e artisti (fra cui Elsa Morante e Anna Magnani, con le quali condivideva una grande passione per i gatti) e si legò d'intensa amicizia con l'architetto e pittore Fabrizio Clerici, che frequentò per tutta la vita. Artista poliedrica, amante dei travestimenti e delle maschere, Leonor Fini fu anche fotografa, scenografa e stilista ( spesso indossava in pubblico i bizzarri costumi che lei stessa, da sempre amante dei travestimenti, disegnava…) e proprio nella Città Eterna, dove divenne la ritrattista ufficiale della «Roma bene » , lavorò moltissimo per il cinema e il teatro.
Dopo gli anni romani e il suo ritorno a Parigi, seguirono quelli di una maturità inquieta, segnata dalla morte della madre, alla quale era legatissima, e da una pittura più introspettiva, cupa e opprimente, fortemente influenzata dall’arte nordica. Prepotente, nelle opere di questo periodo, torna il tema dell’eros, fra i più ricorrenti (insieme alle figure femminili, alla famiglia, al macabro e alle metamorfosi) nel linguaggio artistico della Fini, sicuramente fra le figure più complesse e coraggiose del panorama artistico -femminile e non- del XX secolo. A lei e al suo universo visionario e ribelle Milano dedica «Io sono LEONOR FINI », una grande e completa retrospettiva (curata da Tere Arq e Carlos Martin), che nel titolo si ispira ad una citazione forte e potente della stessa Fini: «Sono una pittrice. Quando mi chiedono come faccia, rispondo: Io sono».
La Mostra
In un percorso espositivo scandito da nove sezioni tematiche, oltre 100 opere (tra dipinti, disegni, fotografie, sontuosi costumi e video) si offrono al visitatore in ambienti ovattati dalle pareti monocolori, in un’alternanza di giallo ocra e viola, blu notte e rosso pompeiano, grigio e nero. Luci soffuse e teche di vetro.
Ad aprire la mostra sono le cosiddette « scene primordiali», un’interessante selezione di opere emblematiche delle esperienze giovanili vissute dalla Fini, che hanno lasciato un segno nel suo immaginario e che compaiono ripetutamente nella sua produzione artistica: fra gli «eventi primordiali » più importanti, lo sconvolgente dramma della cecità, che colpì una Leonor ancora adolescente per oltre due mesi, costringendola ad una vita senza luce… Ma fu proprio dopo questa traumatica esperienza che Leonor , quasi chiamata a una visione superiore, si dedicò totalmente all’arte, mossa da una dedizione quasi ossessiva per la pulsione visiva e da un’eccezionale sensibilità tattile (evidente soprattutto nei tessuti e nelle texture), tratti tipici di chi ha affinato gli altri sensi durante una temporanea privazione della vista.
Nelle sale successive, spaziando dalla pittura alla moda, dalla letteratura al teatro, un susseguirsi di dipinti e un’intera sezione di bozzetti, figurini ed un costume disegnato da lei , provenienti dall’archivio Storico Artistico del Teatro alla Scala: tra i dipinti in mostra, impossibile non soffermarsi davanti a Dans la tour (Autoportrait avec Constantin Jelenski), a le Stryges Amaouri o al meraviglioso Le radeau, opere che sono un viaggio nell’ inconscio, enigmatiche e magnetiche, in bilico fra il reale e l’immaginario, dove visione e simbolismo si intrecciano e le figure femminili appaiono come forze primordiali e potenti, contrapposte a uomini ambigui e straniti. Uomini, donne, maschile, femminile, identità, genere, appartenenza, tutti temi - come ho già sottolineato - non solo molto ricorrenti nel linguaggio artistico di Leonor Fini, ma anche di un’attualità sorprendente. A «salutare il pubblico », in uno spazio che è un’alternanza di specchi, foto d’epoca e di ritratti in bianco e nero dell’artista, il celebre dipinto Autoritratto con il cappello rosso, che, a dimostrazione di quanto Leonor Fini sia stata ( e lo sia tuttora) un’artista moderna e anticonformista, capace di parlare anche alle nuove generazioni, invita il pubblico a scattare una foto e a condividerla sui social (utilizzando l’hashtag #iosonoleonorfini). Ed è proprio per questa sua modernità e per la straordinaria capacità di anticipare i tempi che questa grande artista, davvero unica nel suo genere, continua ad esercitare un grande fascino anche sulle nuove generazioni. Sui giovani di oggi e su quelli di domani…
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Riduci
Pittrice, scenografa, costumista, scritirice e disegnatrice, talento precoce e una vita fuori dagli schemi, a Leonor Fini (1907-1996) Milano dedica una grande monografica, allestita (sino al 22 giugno 2025) nelle sale di Palazzo Reale. Tra dipinti, disegni, costumi, fotografie e video, esposte oltre 100 opere, in un percorso espositivo originale e ricco di fascino.Nata a Buenos Aires nel 1907 da madre italiana e padre argentino e morta a Parigi nel 1996, la vita di Leonor Fini è stata eclettica, eccentrica, originale, stravagante, provocatoria e anticonformista come la sua arte, definita da più parti «grande e magica, inquietante e placida, poetica e mitica, bella e fiabesca ». Genio ribelle e talento precoce, attratta dall’arte ma non dagli accademismi, trascorse l’adolescenza a Trieste (città natale della madre), dove cominciò a disegnare da autodidatta imparando l’anatomia umana osservando i cadaveri all’obitori della citta…Lasciata Trieste per Milano, nel capoluogo meneghino conobbe gli artisti più importanti del tempo (fra cui De Chirico, Sironi e Carrà) e, a soli 17 anni, espose per la prima volta le sue opere in una nota galleria: grande ammiratrice di Freud e delle sue teorie, i primi dipinti di Leonor Fini rappresentavano già ambienti, personaggi e oggetti inquietanti e ambigui, dalla forte valenza psicoanalitica. Giovane, ma già forte di una certa fama, nel 1931 si trasferì da sola a Parigi (città che divenne la sua «patria adottiva»), dove, fra feste, committenze e mondanità, entrò in contatto con il gruppo dei surrealisti, e con Max Ernest - che la definì «la furia italiana a Parigi» - in particolare. Ma nonostante il suo linguaggio artistico avesse molto in comune con l’estetica surrealista, rifiutò questa etichetta e qualunque altra forma di classificazione o di rigida schematizzazione. Influenzata dal romanticismo tedesco e francese, dal decadentismo della secessione viennese e da una certa tradizione del fantastico, Leonor Fini amava rappresentare soprattutto oscure ed enigmatiche figure femminili, mossa da un’ideale di donna forte, bella e passionale, in grado di scalzare l’uomo dal dominio del mondo. Donne che spesso dipingeva in veste di dee o sfingi, metà donna e metà felino, quasi a volersi specchiare e riconoscers in esse, ricercando l’aspetto più interiore e onirico della femminilitàSpirito libero e nomade, negli anni del secondo conflitto mondiale lasciò Parigi, occupata dai tedeschi, per Montecarlo e poi per Roma, dove conobbe intellettuali e artisti (fra cui Elsa Morante e Anna Magnani, con le quali condivideva una grande passione per i gatti) e si legò d'intensa amicizia con l'architetto e pittore Fabrizio Clerici, che frequentò per tutta la vita. Artista poliedrica, amante dei travestimenti e delle maschere, Leonor Fini fu anche fotografa, scenografa e stilista ( spesso indossava in pubblico i bizzarri costumi che lei stessa, da sempre amante dei travestimenti, disegnava…) e proprio nella Città Eterna, dove divenne la ritrattista ufficiale della «Roma bene » , lavorò moltissimo per il cinema e il teatro. Dopo gli anni romani e il suo ritorno a Parigi, seguirono quelli di una maturità inquieta, segnata dalla morte della madre, alla quale era legatissima, e da una pittura più introspettiva, cupa e opprimente, fortemente influenzata dall’arte nordica. Prepotente, nelle opere di questo periodo, torna il tema dell’eros, fra i più ricorrenti (insieme alle figure femminili, alla famiglia, al macabro e alle metamorfosi) nel linguaggio artistico della Fini, sicuramente fra le figure più complesse e coraggiose del panorama artistico -femminile e non- del XX secolo. A lei e al suo universo visionario e ribelle Milano dedica «Io sono LEONOR FINI », una grande e completa retrospettiva (curata da Tere Arq e Carlos Martin), che nel titolo si ispira ad una citazione forte e potente della stessa Fini: «Sono una pittrice. Quando mi chiedono come faccia, rispondo: Io sono».La MostraIn un percorso espositivo scandito da nove sezioni tematiche, oltre 100 opere (tra dipinti, disegni, fotografie, sontuosi costumi e video) si offrono al visitatore in ambienti ovattati dalle pareti monocolori, in un’alternanza di giallo ocra e viola, blu notte e rosso pompeiano, grigio e nero. Luci soffuse e teche di vetro. Ad aprire la mostra sono le cosiddette « scene primordiali», un’interessante selezione di opere emblematiche delle esperienze giovanili vissute dalla Fini, che hanno lasciato un segno nel suo immaginario e che compaiono ripetutamente nella sua produzione artistica: fra gli «eventi primordiali » più importanti, lo sconvolgente dramma della cecità, che colpì una Leonor ancora adolescente per oltre due mesi, costringendola ad una vita senza luce… Ma fu proprio dopo questa traumatica esperienza che Leonor , quasi chiamata a una visione superiore, si dedicò totalmente all’arte, mossa da una dedizione quasi ossessiva per la pulsione visiva e da un’eccezionale sensibilità tattile (evidente soprattutto nei tessuti e nelle texture), tratti tipici di chi ha affinato gli altri sensi durante una temporanea privazione della vista.Nelle sale successive, spaziando dalla pittura alla moda, dalla letteratura al teatro, un susseguirsi di dipinti e un’intera sezione di bozzetti, figurini ed un costume disegnato da lei , provenienti dall’archivio Storico Artistico del Teatro alla Scala: tra i dipinti in mostra, impossibile non soffermarsi davanti a Dans la tour (Autoportrait avec Constantin Jelenski), a le Stryges Amaouri o al meraviglioso Le radeau, opere che sono un viaggio nell’ inconscio, enigmatiche e magnetiche, in bilico fra il reale e l’immaginario, dove visione e simbolismo si intrecciano e le figure femminili appaiono come forze primordiali e potenti, contrapposte a uomini ambigui e straniti. Uomini, donne, maschile, femminile, identità, genere, appartenenza, tutti temi - come ho già sottolineato - non solo molto ricorrenti nel linguaggio artistico di Leonor Fini, ma anche di un’attualità sorprendente. A «salutare il pubblico », in uno spazio che è un’alternanza di specchi, foto d’epoca e di ritratti in bianco e nero dell’artista, il celebre dipinto Autoritratto con il cappello rosso, che, a dimostrazione di quanto Leonor Fini sia stata ( e lo sia tuttora) un’artista moderna e anticonformista, capace di parlare anche alle nuove generazioni, invita il pubblico a scattare una foto e a condividerla sui social (utilizzando l’hashtag #iosonoleonorfini). Ed è proprio per questa sua modernità e per la straordinaria capacità di anticipare i tempi che questa grande artista, davvero unica nel suo genere, continua ad esercitare un grande fascino anche sulle nuove generazioni. Sui giovani di oggi e su quelli di domani…
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
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Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Riduci
Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
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