2025-05-02
Leonor Fini: la sua arte in mostra a Palazzo Reale
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Leonor Fini. Autoportrait au chapeau rouge, 1968.Archivio fotografico del Museo Revoltella - Galleria d'Arte Moderna, Trieste © Leonor Fini Estate, Paris
Pittrice, scenografa, costumista, scritirice e disegnatrice, talento precoce e una vita fuori dagli schemi, a Leonor Fini (1907-1996) Milano dedica una grande monografica, allestita (sino al 22 giugno 2025) nelle sale di Palazzo Reale. Tra dipinti, disegni, costumi, fotografie e video, esposte oltre 100 opere, in un percorso espositivo originale e ricco di fascino.Nata a Buenos Aires nel 1907 da madre italiana e padre argentino e morta a Parigi nel 1996, la vita di Leonor Fini è stata eclettica, eccentrica, originale, stravagante, provocatoria e anticonformista come la sua arte, definita da più parti «grande e magica, inquietante e placida, poetica e mitica, bella e fiabesca ». Genio ribelle e talento precoce, attratta dall’arte ma non dagli accademismi, trascorse l’adolescenza a Trieste (città natale della madre), dove cominciò a disegnare da autodidatta imparando l’anatomia umana osservando i cadaveri all’obitori della citta…Lasciata Trieste per Milano, nel capoluogo meneghino conobbe gli artisti più importanti del tempo (fra cui De Chirico, Sironi e Carrà) e, a soli 17 anni, espose per la prima volta le sue opere in una nota galleria: grande ammiratrice di Freud e delle sue teorie, i primi dipinti di Leonor Fini rappresentavano già ambienti, personaggi e oggetti inquietanti e ambigui, dalla forte valenza psicoanalitica. Giovane, ma già forte di una certa fama, nel 1931 si trasferì da sola a Parigi (città che divenne la sua «patria adottiva»), dove, fra feste, committenze e mondanità, entrò in contatto con il gruppo dei surrealisti, e con Max Ernest - che la definì «la furia italiana a Parigi» - in particolare. Ma nonostante il suo linguaggio artistico avesse molto in comune con l’estetica surrealista, rifiutò questa etichetta e qualunque altra forma di classificazione o di rigida schematizzazione. Influenzata dal romanticismo tedesco e francese, dal decadentismo della secessione viennese e da una certa tradizione del fantastico, Leonor Fini amava rappresentare soprattutto oscure ed enigmatiche figure femminili, mossa da un’ideale di donna forte, bella e passionale, in grado di scalzare l’uomo dal dominio del mondo. Donne che spesso dipingeva in veste di dee o sfingi, metà donna e metà felino, quasi a volersi specchiare e riconoscers in esse, ricercando l’aspetto più interiore e onirico della femminilitàSpirito libero e nomade, negli anni del secondo conflitto mondiale lasciò Parigi, occupata dai tedeschi, per Montecarlo e poi per Roma, dove conobbe intellettuali e artisti (fra cui Elsa Morante e Anna Magnani, con le quali condivideva una grande passione per i gatti) e si legò d'intensa amicizia con l'architetto e pittore Fabrizio Clerici, che frequentò per tutta la vita. Artista poliedrica, amante dei travestimenti e delle maschere, Leonor Fini fu anche fotografa, scenografa e stilista ( spesso indossava in pubblico i bizzarri costumi che lei stessa, da sempre amante dei travestimenti, disegnava…) e proprio nella Città Eterna, dove divenne la ritrattista ufficiale della «Roma bene » , lavorò moltissimo per il cinema e il teatro. Dopo gli anni romani e il suo ritorno a Parigi, seguirono quelli di una maturità inquieta, segnata dalla morte della madre, alla quale era legatissima, e da una pittura più introspettiva, cupa e opprimente, fortemente influenzata dall’arte nordica. Prepotente, nelle opere di questo periodo, torna il tema dell’eros, fra i più ricorrenti (insieme alle figure femminili, alla famiglia, al macabro e alle metamorfosi) nel linguaggio artistico della Fini, sicuramente fra le figure più complesse e coraggiose del panorama artistico -femminile e non- del XX secolo. A lei e al suo universo visionario e ribelle Milano dedica «Io sono LEONOR FINI », una grande e completa retrospettiva (curata da Tere Arq e Carlos Martin), che nel titolo si ispira ad una citazione forte e potente della stessa Fini: «Sono una pittrice. Quando mi chiedono come faccia, rispondo: Io sono».La MostraIn un percorso espositivo scandito da nove sezioni tematiche, oltre 100 opere (tra dipinti, disegni, fotografie, sontuosi costumi e video) si offrono al visitatore in ambienti ovattati dalle pareti monocolori, in un’alternanza di giallo ocra e viola, blu notte e rosso pompeiano, grigio e nero. Luci soffuse e teche di vetro. Ad aprire la mostra sono le cosiddette « scene primordiali», un’interessante selezione di opere emblematiche delle esperienze giovanili vissute dalla Fini, che hanno lasciato un segno nel suo immaginario e che compaiono ripetutamente nella sua produzione artistica: fra gli «eventi primordiali » più importanti, lo sconvolgente dramma della cecità, che colpì una Leonor ancora adolescente per oltre due mesi, costringendola ad una vita senza luce… Ma fu proprio dopo questa traumatica esperienza che Leonor , quasi chiamata a una visione superiore, si dedicò totalmente all’arte, mossa da una dedizione quasi ossessiva per la pulsione visiva e da un’eccezionale sensibilità tattile (evidente soprattutto nei tessuti e nelle texture), tratti tipici di chi ha affinato gli altri sensi durante una temporanea privazione della vista.Nelle sale successive, spaziando dalla pittura alla moda, dalla letteratura al teatro, un susseguirsi di dipinti e un’intera sezione di bozzetti, figurini ed un costume disegnato da lei , provenienti dall’archivio Storico Artistico del Teatro alla Scala: tra i dipinti in mostra, impossibile non soffermarsi davanti a Dans la tour (Autoportrait avec Constantin Jelenski), a le Stryges Amaouri o al meraviglioso Le radeau, opere che sono un viaggio nell’ inconscio, enigmatiche e magnetiche, in bilico fra il reale e l’immaginario, dove visione e simbolismo si intrecciano e le figure femminili appaiono come forze primordiali e potenti, contrapposte a uomini ambigui e straniti. Uomini, donne, maschile, femminile, identità, genere, appartenenza, tutti temi - come ho già sottolineato - non solo molto ricorrenti nel linguaggio artistico di Leonor Fini, ma anche di un’attualità sorprendente. A «salutare il pubblico », in uno spazio che è un’alternanza di specchi, foto d’epoca e di ritratti in bianco e nero dell’artista, il celebre dipinto Autoritratto con il cappello rosso, che, a dimostrazione di quanto Leonor Fini sia stata ( e lo sia tuttora) un’artista moderna e anticonformista, capace di parlare anche alle nuove generazioni, invita il pubblico a scattare una foto e a condividerla sui social (utilizzando l’hashtag #iosonoleonorfini). Ed è proprio per questa sua modernità e per la straordinaria capacità di anticipare i tempi che questa grande artista, davvero unica nel suo genere, continua ad esercitare un grande fascino anche sulle nuove generazioni. Sui giovani di oggi e su quelli di domani…
Lo ha dichiarato il presidente del Consiglio europeo in occasione del suo incontro con il premier greco Kyriakos Mitsotakis.