2024-07-09
L’Eliseo congela le dimissioni di Attal aggrappandosi a stabilità e Olimpiadi
Fermato il passo indietro del premier, che però rischia di essere sfiduciato dall’Assemblea nazionale. Critici i costituzionalisti.La mano di poker delle elezioni anticipate, che hanno spaccato la Francia in tre, non gli è bastata. E ora Emmanuel Macron gioca la carta della disperazione che gli italiani conoscono fin troppo bene: un governo centrista di minoranza, magari guidato dal solito «tecnico» ben visto da banche e finanza. Così ieri il presidente, per guadagnare tempo, ha respinto le dimissioni del premier Gabriel Attal, assumendosi un altro rischio. Perché se dopo il 18 luglio la nuova Assemblea nazionale decidesse di sfiduciare Attal, che da ieri non ha i numeri per governare, per l’Eliseo sarebbe una figuraccia tremenda. Tra nove giorni a Palais Bourbon, sede del Parlamento, si riuniranno per la prima volta i 577 deputati eletti domenica con i ballottaggi ed eleggeranno il presidente dell’Assemblée. Non sarà facile, ma in qualche modo bisogna iniziare. I risultati hanno consegnato l’immagine di una Francia spaccata in tre. Il Rassemblemet national guidato da Marine Le Pen e Jordan Bardella teoricamente avrebbe vinto e ha preso più voti di tutti: 8,7 milioni, ma ha perso diverse sfide nei ballottaggi, dove sono andati in scena accordi di desistenza tra macroniani e sinistre. Il sistema elettorale francese, un maggioritario con doppio turno, ha consegnato al cartello della destra solo 143 seggi, che non bastano per fare un governo da soli (ne servirebbero 289). La coalizione macroniana Ensemble ha recuperato terreno rispetto ai sondaggi della vigilia, ma si è comunque fermata a 168 seggi. Più deputati di tutti li ha presi il Nuovo fronte popolare di socialisti, verdi e sinistre, che è arrivato a quota 182 seggi e per questo, domenica sera, reclamava già la guida del prossimo governo. Il premier Attal, correttamente, aveva già rassegnato le dimissioni: il suo esecutivo a immagine e somiglianza di Macron non è stato promosso dai francesi e non avrebbe i numeri per governare. Ma ieri il capo dell’Eliseo ha deciso di far finta di nulla e respingere le dimissioni, con la scusa che bisogna «garantire la stabilità del Paese». E poi ci sono le Olimpiadi, con tutto ciò che ne consegue anche in termini di sicurezza e ordine pubblico. Insomma, come si è già vista in mezza Europa (Italia compresa) ai tempi della pandemia, un governo alla frutta e politicamente sfiduciato resta in carica con la scusa della «stabilità» e di fantomatiche emergenze. La mossa sembra prudente, ma in realtà è parecchio azzardata. Più di un costituzionalista francese, ieri, ha osservato che esiste già la formula del governo in carica «per gli affari correnti» e che quindi Macron starebbe forzando la mano, respingendo le dimissioni del fido Attal. Non solo, ma dopo l’elezione del presidente dell’Assemblea, chiunque potrebbe porre la questione di fiducia e il governo al momento non avrebbe neppure lontanamente i numeri per salvarsi.La strategia di Macron è quindi cambiata radicalmente. Dopo la sconfitta alle Europee ha drammatizzato la situazione, ha sciolto il Parlamento e ha portato la Francia alle urne anticipate, a costo di spaventare i famosi mercati alla cui stabilità tiene moltissimo. Adesso, fermata la Le Pen ma alle prese con un impasse, spera che con la melina iniziata ieri il Fronte popolare inizi a litigare furiosamente e che intanto lui riesca a mettere insieme un governicchio con tutti i centristi, isolando le ali «estreme» a destra come a sinistra. Va detto che Jean Luc Mélenchon, il leader della sinistra dura e pura di France insoumise, in queste ore ha fatto di tutto per dare soddisfazione a Macron, mettere in difficoltà gli alleati più moderati e spaventare in prospettiva i mercati (ieri la Borsa di Parigi ha guadagnato il 2,6% e lo spread con la Germania è sceso del 4% a 60 punti base). Mélenchon ha chiesto subito di avere la guida del prossimo esecutivo, poi ha lanciato una ricerca del prossimo premier all’interno del Front con una fantomatica elezione interna, quindi ha ribadito il suo programma per il prossimo governo «a guida Nfp». Un programma che prevede l’innalzamento del salario minimo da 1.400 a 1.600 euro, il ritorno all’età minima pensionabile di 62 anni (da 64), prezzi calmierati per i beni di prima necessità e per i carburanti e un milione di nuovi alloggi di edilizia popolare entro cinque anni. Ce n’è abbastanza anche per terrorizzare l’Ue, tenendo presente che né le sinistre né le destre francesi sono esattamente dei fan del nuovo patto di Stabilità e che Parigi, come Roma, è alle prese con una procedura d’infrazione Ue per deficit eccessivo. Formalmente, al di là della forzatura sul non staccare la spina al governo, Macron ha buon gioco a dire che vuole vedere come si formano i gruppi parlamentari. E in un sistema come quello francese, abituato al maggioritario e a maggioranze certe e chiare, questo improvviso bagno di precarietà è un mezzo choc, tra risultati da sistema proporzionale e caccia a un governo che dovrà per forza essere di coalizione. È probabile che ci vorranno settimane e questa volta il pallino non sarà solo in mano all’Eliseo, ma anche ai segretari di partito. I puristi delle forme di governo avranno di che disperarsi. Bisognerà dimenticarsi anche degli accordicchi per i ballottaggi. Un buon esempio lo ha fornito ieri il ministro dell’Interno, Gérald Darmanin, ala destra macroniana, per il quale «nessuno ha vinto», ma «non si può governare con le sinistre, quindi ci vuole un governo con la destra». Al secondo turno, per battere il suo rivale lepeniano, Darmanin si è giovato della desistenza del Front.
Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)