2022-02-16
Leggi anti terrorismo e conti bloccati. Così il Canada liberal azzera il dissenso
Contro la protesta dei camionisti, Justin Trudeau rispolvera una norma emergenziale del 1988 finora mai applicata dai governi di Ottawa.L’annuncio di Novak Djokovic: «Poter decidere sul mio corpo è più importante di ogni titolo».Lo speciale contiene due articoli.Il contrasto al Covid come imperdibile occasione di sperimentare sempre nuove forme di controllo. Per piegare la protesta dei camionisti canadesi contro l’obbligo vaccinale, il premier democratico Justin Trudeau minaccia di usare i poteri speciali, mai adoperati negli ultimi cinquant’anni, e il ministro delle Finanze, la «quota rosa» Chrystia Freeland, agita lo spettro di misure economiche come il blocco delle licenze, la sospensione delle polizze assicurative e l’accesso diretto ai conti correnti bancari. Eccola qui, in attesa di essere copiata da qualche zelante governo illuminato di centrosinistra, la nuova fuga in avanti dello Stato impiccione, che in questo caso minaccia di trasformarsi direttamente in Stato affamatore. Il Canada è un autorevole membro del G7, uno storico modello di democrazia federale e un punto di riferimento mondiale per i diritti civili e le cosiddette politiche di genere. Suscita quindi un certo stupore vedere che il suo governo dem, dopo due settimane di proteste dei camionisti no vax sull’Ambassador Bridge (che collega Canada e Stati Uniti) e nelle strade di Ottawa, annunci di voler usare le leggi speciali che consentono l’utilizzo dell’esercito per disperdere i manifestanti. Leggi mai usate neppure dopo l’11 settembre. Trudeau, cinquant’anni, ha tentato di indorare la pillola dell’utilizzo dell’Emergecies Act, promettendo che le misure saranno «limitate nel tempo, ragionevoli e proporzionate». Le proteste sono cominciate quando sono entrate in vigore le nuove norme sull’obbligo di puntura per attraversare il confine tra Canada e Stati Uniti (in alternativa, sono previste lunghe quarantene al rientro dagli Usa, con sospensione lavorativa). Nonostante le assicurazioni di Trudeau, lo scenario evocato dal suo vice Chrystia, che per ironia della sorte di cognome fa «Freeland» (terra libera) ed è anche ministro delle Finanze, è decisamente inquietante. Avendo scoperto che i manifestanti avevano ricevuto 93.000 donazioni per un totale di 8,4 milioni di dollari attraverso piattaforme di crowdfunding come «GiveSendGo», la ministra ha ravvisato un’analogia con i meccanismi di finanziamento internazionale del terrorismo e ha tirato fuori una battuta da poliziotta: «Si tratta solo di seguire il denaro». E così, le leggi speciali del 1988 saranno usate, ha spiegato Freeland, «per bloccare i conti correnti personali di chiunque sia legato alle proteste, senza nessun bisogno di un provvedimento della magistratura, e potranno essere sospese anche le polizze assicurative obbligatorie di chiunque risulti coinvolto nelle dimostrazioni». A parte il fatto che bloccare i ponti e paralizzare le strade non è ovviamente una bella forma di protesta «democratica», visto che ne fanno le spese anche tutti gli altri cittadini, colpisce il fatto che il Canada sia pronto a intervenire sui mezzi di sostentamento e sui risparmi dei suoi stessi cittadini, senza neppure avere in mano un provvedimento di un giudice. Con un pizzico di perfidia post-colonialista, l’inglese Bbc ieri ha ricordato che Trudeau è la stessa persona che l’anno scorso ha sostenuto pubblicamente le proteste dei contadini in India, che hanno anche bloccato le principali vie di comunicazione verso Nuova Delhi, con parole da sincero democratico: «Il Canada sarà sempre al fianco di coloro che difendono il diritto di protestare in maniera pacifica». Se però lo fanno a qualche migliaio di chilometri di distanza, è meglio. C’è poi un aspetto paradossale ed è quello che la famosa «emergenza» non è più tanto emergenza. O meglio, forse anche a seguito delle proteste, il governo di Trudeau ha annunciato il venir meno di una serie di restrizioni, a cominciare dal requisito del tampone molecolare per entrare. «È tempo di correggere il nostro approccio. Allentiamo oggi le nostre misure alle frontiere», ha reso noto il ministro della Salute, Jean-Yves Duclos. L’utilizzo dei poteri di emergenza avrà bisogno del voto parlamentare, tuttavia è allarmante che un premier del G7 intenda usare anche l’arma finanziaria. La pressione economica sui no vax, in fondo, non è concettualmente dissimile da quella che ha escogitato il governo Draghi con la sospensione dallo stipendio per i cinquantenni. Oltre che essere odiosa, è una misura che un domani può essere usata contro chiunque si opponga a qualcosa, perché viene varcata una soglia di (non) democrazia. E a proposito di soglie, e di esperimenti sociali, nelle stesse ore in cui Trudeau minacciava di mettere le mani sui soldi degli oppositori, Christine Lagarde rilanciava il progetto dell’euro digitale. Parlando lunedì al Parlamento europeo, il capo della Bce ha confermato che si sta studiando «una moneta digitale conveniente, utilizzabile come sistema di pagamento gratuito e sicuro in tutta l’Eurozona». Lagarde ha avuto l’astuzia di assicurare che «l’euro digitale non sostituirà, ma affiancherà l’euro di carta». E in effetti, non servirebbe. L’importante è aprire una porta e poi qualcuno ci s’infilerà. Con una moneta solo digitale, il camionista di Ottawa non avrebbe scampo neppure se tenesse dei soldi sotto il materasso. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/leggi-antiterrorismo-conti-bloccati-canada-2656684325.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="djokovic-vince-la-sfida-della-coerenza-obbligo-di-siero-rinuncio-ai-trofei" data-post-id="2656684325" data-published-at="1644997236" data-use-pagination="False"> Djokovic vince la sfida della coerenza: «Obbligo di siero? Rinuncio ai trofei» Come diventare un venerato maestro. Per la prima volta dall’espulsione dall’Australia perché non vaccinato, Novak Djokovic ha rilasciato un’intervista in cui ha spiegato di essere disposto «a non diventare il tennista più vincente della storia pur di rispettare le mie convinzioni sulle vaccinazioni. I principi del processo decisionale sul mio corpo sono più importanti di qualsiasi titolo». Il campione serbo, numero uno del mondo, lo ha rivelato alla Bbc e con queste parole ha le carte in regola per diventare un testimonial internazionale della libertà e dell’autodeterminazione. Questo anche se «non sono un no vax». Djokovic ricorda di essersi sottoposto ad ogni vaccinazione da bambino e di non essere mai stato contrario, «ma ho sempre sostenuto la libertà di scegliere cosa mettere nel proprio corpo». Coerente con questo principio, afferma anche: «Rinuncerei ai trofei piuttosto che essere costretto a vaccinarmi». Un’ammissione importante anche dal punto di vista sportivo perché dopo aver rinunciato agli Internazionali d’Australia, è pronto a guardare dalla parte del televisore anche Wimbledon e il Roland Garros, appuntamenti chiave nella sfida a distanza con Rafael Nadal (21 titoli del Grande slam lo spagnolo, 20 il serbo). Nole non ha dubbi: «Sono pronto a rinunciare, questo è il prezzo che sono disposto a pagare». La sua vicenda è emblematica non solo del grado di dittatura sanitaria che i cittadini stanno sopportando in questo inverno della pandemia, ma anche della determinazione messa in campo da coloro che si ritengono in diritto di difendere le proprie scelte, travolte dallo tsunami del pensiero unico. Durante gli open d’Australia, mentre lui era rinchiuso in un Covid Hotel e fuori la stampa mondiale lo faceva sentire un paria, la battaglia di libertà di Djokovic aveva pochi sostenitori. Entrato nel Paese grazie a un’esenzione firmata da due medici e accettata da due panel australiani indipendenti, il numero uno del mondo uno è stato prima bloccato e poi espulso perché il ministro dell’Immigrazione, Alex Hawke, riteneva che avrebbe potuto creare «un sentimento no vax collettivo molto negativo». Quindi non è stato cacciato perché inadempiente ma per i principi che difendeva. «Ero triste e deluso per il modo in cui tutto è finito in Australia», spiega Nole nell’intervista. «L’errore di dichiarazione del visto non è stato commesso deliberatamente. Non mi piace che si pensi che io abbia fatto qualcosa per ottenere un test positivo e alla fine andare in campo». Però è ciò che è accaduto e le sue dichiarazioni di principio oggi hanno certamente più forza evocativa di quel tentativo mal riuscito di forzare la mano alle autorità. È un Djokovic molto sereno quello che rigetta le accuse di aver voluto speculare e aggiunge a sorpresa: «Non escludo di vaccinarmi in futuro perché stiamo tutti cercando di trovare collettivamente la migliore soluzione possibile per far concludere questa pandemia. Non sono mai stato contrario alla vaccinazione, capisco che a livello globale tutti stanno cercando di fare un grande sforzo per gestire questo virus e vederne la fine». Con il calo di contagiati e la minore aggressività della variante Omicron, anche le regole d’ingaggio nel mondo del tennis professionistico sono destinate a cambiare. Di sicuro la sua partecipazione è in bilico a Parigi in maggio mentre a Wimbledon a fine giugno potrà giocare. Lo ha dichiarato Tim Henman, ex tennista di valore oggi membro del cda dell’All England Club: «Non c’è nessun divieto. Wimbledon segue le regole del governo che richiedono ai visitatori dall’estero di essere testati dopo l’arrivo ma non di essere vaccinati». L’assalto al 21º titolo del Grande Slam non dovrà essere rimandato. Nessun problema, spiega Djokovic «perché ho intenzione di continuare a giocare ancora a lungo». A 34 anni è una sfida impegnativa per tutti. Forse non per un fuoriclasse del diritto incrociato diventato un’icona del diritto assoluto.
Manifestazione a Roma di Ultima Generazione (Ansa)