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2020-05-29
Le scuole portano Giuseppi davanti al Tar
Giuseppe Conte (Ansa)
Hanno finalmente riaperto tutti: parrucchieri. Chi manca all'appello? Guardatevi intorno. Eccoli lì, sempre più pallidi e nevrastenici: i bambini. Le scuole, di ogni ordine e grado, rimangono chiuse fino a data da destinarsi.
Alle elementari, almeno, sono stati svogliatamente intrattenuti dalla didattica a distanza. Per i bambini sotto i sei anni, invece, il governo non ha profuso nemmeno gli usuali e confusi balbettii. Niente di niente. Se non il modesto bonus baby sitter. Ops! L'Inps, ancora ieri, spiegava laconico sul suo solito turbosito che «è impossibile fare domanda». E poi, ci sarebbero gli improbabili congedi parentali. Per carità, il governo s'è dimenticato di tutti. Ma soprattutto dei bambini. Estenuati dall'infruttuosa attesa, genitori, scuole e associazioni hanno presentato ieri al Tar del Lazio un ricorso contro l'ormai mitologico Dpcm del 10 maggio 2020, adottato «per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da Covid». Ovvero lo stentoreo decreto con cui il nostro presidente del consiglio, Giuseppe Conte, sospende ad libitum le attività didattiche. In particolare, si chiede di annullare il comma che non consente la riapertura delle scuole d'infanzia. Mentre, allo stesso tempo, permette l'organizzazione dei centri estivi. La richiesta viene da genitori di tutta Italia. Ma tra i firmatari ci sono sono anche associazioni, tra cui il Comitato EduChiAmo di Confapi, la Confederazione italiana delle piccole e medie imprese. E blasonate paritarie, come il Canadian island di Firenze.
Insomma, il ricorso è fondato su un assioma diventato dubbio amletico: se i giallorossi hanno ritenuto sicuro far ripartire i centri estivi, perché non possono farlo nidi e materne? Che, tra l'altro, sono più attrezzati e sicuri di strutture spesso improvvisate. Già, perché? Mistero.
«Una discriminazione che appare non giustificata» scrivono gli avvocati Federico Freni ed Evaristo Maria Fabrizio, dello studio legale Quorum. Eppure gli asili sarebbero un sostanziale aiuto per i genitori, altro che micragnosi bonus o penalizzanti congedi. E non si tratterebbe di una riapertura di bandiera. L'anno scolastico, per loro, termina il prossimo 31 luglio. Per chi lavora, sarebbe l'agognata svolta dopo mesi di arduo ménage. Per i bambini, la ripresa di una controllata socialità con i vecchi compagni. E magari eviterebbe pure di richiamare in servizio effettivo e permanente i nonni. Quelli che restano più a rischio.
L'avvocato Freni, che segue la causa pro bono, spiega: «Anch'io ho due figlie: di tre e cinque anni. E so benissimo che sospendere scuole e servizi educativi ha avuto ricadute drammatiche su bambini e ragazzi. Hanno letteralmente perso tre mesi cruciali di vita. I più piccoli sono quelli a cui è andata peggio: non hanno avuto nemmeno lo sfogo della didattica a distanza».
E il futuro si annuncia ancor più tribolato. Lucia Azzolina, titolare dell'Istruzione, resta la più improbabile tra gli improbabili. La vaghezza regna sovrana. La scuola sembra l'ultimo problema dei giallorossi. Intanto in Francia l'omologo ministro dell'Istruzione, Jean-Michel Blanquer, annuncia: «Tutte le scuole verranno riaperte a partire dall'inizio della fase 2, vale a dire il 2 giugno prossimo». In Italia invece, piuttosto che focalizzarsi sugli scompensi sociali ed educativi, si continuano a confondere le acque: meglio dunque discettare a oltranza sui concorsi dei precari. Intanto, i bambini restano chiusi a casa. In attesa che passi la paura.
Sul ricorso contro il Dpcm, il Tar laziale si pronuncerà entro la prima metà di giugno. I ricorrenti sperano che il tribunale amministrativo possa dare al governo precise indicazioni in vista del prossimo decreto, atteso il 14 giugno 2020, che sostituirà quello in vigore. Insomma, nuovi vincoli per la ripresa di nidi e materne. «Sarebbe anche una boccata d'ossigeno per gli asili» aggiunge Freni. «Sono micro imprese private che, da giugno, non avranno né credito d'imposta per l'affitto né cassa integrazione per i dipendenti. Molti hanno rinunciato alle rette o non riescono a riscuoterle. Tanti rischiano di fallire». L'incurante Giuseppi, nel «poderoso» decreto Rilancio, ha nel frattempo previsto 1,5 milioni per le scuole. Ma alle paritarie andranno solo bruscolini. E una su tre rischia di non arrivare a settembre. Con le statali che, già nel marasma, sarebbero pure costrette ad accogliere centinaia di migliaia di nuovi alunni.
Così l'esasperazione cresce. Alcuni protestano inferociti davanti a Montecitorio. Altri sono costretti a chiedere l'intervento della giustizia amministrativa. «È inaudito che non ci siano ancora garanzie sulle riaperture di nidi e scuole dell'infanzia» assalta la deputata leghista Alessandra Locatelli, ex ministro della Famiglia. «Un'incertezza che ha causato drammatiche ricadute sulla formazione e ulteriori diseguaglianze. In altri Paesi l'attenzione per i bambini è stata prioritaria. Invece, il governo italiano li ha totalmente dimenticati. Per non parlare dei disagi e i problemi della forzata permanenza in casa». Eppure Giuseppi e suoi continuano a sembrare degli impenitenti scapoloni, senza figli né famiglia. Meglio dare la priorità ai concorsi per i precari della scuola. Le elezioni potrebbero essere dietro l'angolo.
Niente tamponi ad alunni e docenti ma la responsabilità sarà solo loro
«La scuola ha bisogno di credibilità e autorevolezza. La credibilità è come la verginità, se si perde non si può più riacquistare». Così il senatore di Forza Italia Giuseppe Moles si è rivolto al ministro dell'Istruzione Lucia Azzolina scatenando un putiferio durante il question time al Senato. Da mercoledì sotto scorta perché bersaglio di una valanga di insulti, soprattutto a sfondo sessuale, a causa dei ritardi nelle riaperture delle scuole, la titolare del Miur si è beccata anche la metafora bollata immediatamente come sessista dai deputati grillini. A fine mattinata, il vicepresidente dei senatori azzurri si è chiarito con la diretta interessata: «Ho spiegato al ministro che mi riferivo alla credibilità della scuola» ha raccontato Moles, «Il sessismo, il genere... Non c'entrano nulla. È il M5s che strumentalizza. Lei mi ha detto che ha capito. Caso chiuso». Scuole aperte a settembre, invece, in presenza, ma anche e soprattutto in piena sicurezza. Questo è l'obiettivo del Governo e del Ministero dell'Istruzione, ha ribadito la Azzolina, che ha ricevuto ieri dal Comitato tecnico-scientifico istituito per l'emergenza coronavirus il documento con le misure per il rientro a settembre. La precondizione per la presenza a scuola di studenti e di tutto il personale è, secondo gli esperti: la mascherina obbligatoria sopra i sei anni sempre, tranne che durante l'interrogazione, l'educazione fisica e il pasto; l'assenza di sintomatologia respiratoria o febbre superiore a 37.5°C anche nei tre giorni precedenti (all'ingresso della scuola non sarà rilevata la temperatura) e comunque chi ha febbre sopra a 37,5 dovrà restare a casa; non essere stati in quarantena o isolamento domiciliare negli ultimi 14 giorni; non essere stati a contatto con persone positive, per quanto di propria conoscenza, negli ultimi 14 giorni. Singolare questo punto: come si fa a saperlo se non si fanno tamponi o test sierologici?
Comunque, rispetto allo stato di salute la responsabilità sarà personale o dei genitori. Ingressi con scaglionamento di orario o rendendo disponibili tutte le vie di accesso dell'edificio scolastico. Poi il distanziamento interpersonale di almeno un metro, considerando anche lo spazio di movimento. Questa distanza andrà garantita nelle aule, con una conseguente riorganizzazione della disposizione interna, ad esempio, dei banchi, ma anche nei laboratori, in aula magna, nei teatri scolastici. Si passa a due metri per le attività svolte in palestra. Perciò Comuni e Province avranno più potere per snellire lavori di edilizia scolastica. Garantito anche il servizio mensa ma sempre garantendo il distanziamento attraverso la gestione degli spazi, dei turni di fruizione e, in forma residuale, anche attraverso l'eventuale fornitura del pasto in «lunch box» ovvero pranzo al sacco per il consumo in classe. Andranno limitati gli assembramenti nelle aree comuni. La presenza dei genitori nei locali della scuola dovrà essere ridotta al minimo. Prima della riapertura della scuola sarà prevista una pulizia approfondita di tutti gli spazi. Le pulizie, poi, dovranno essere effettuate quotidianamente. Saranno resi disponibili dispenser con prodotti igienizzanti in più punti della scuola (nel dl passato in Senato con la fiducia ci sono 39 milioni di euro per l'acquisto dei dispositivi di protezione individuali e per la pulizia dei locali). Una novità riguarda il giudizio delle scuole primarie: al posto dei voti in decimi ci sarà un giudizio descrittivo. Rispondendo al question time, posto proprio da Moles, la Azzolina aveva ribadito la presenza del decreto di quattro procedure concorsuali per oltre 61.000 posti, compreso il maxi concorso per i 32.000 precari con tre anni di docenza che si terrà durante l'anno scolastico 2020/2021.
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Genitori, associazioni e un gruppo di istituti privati e paritari si sono appellati al tribunale del Lazio contro il Dpcm di Conte che vieta di tornare sui banchi. L'avvocato Federico Freni: «I bambini hanno bisogno di ossigeno e molti asili rischiano il fallimento».Tra le nuove regole, obbligo di mascherina. Battuta su verginità al ministro, caos in Aula.Lo speciale contiene due articoliHanno finalmente riaperto tutti: parrucchieri. Chi manca all'appello? Guardatevi intorno. Eccoli lì, sempre più pallidi e nevrastenici: i bambini. Le scuole, di ogni ordine e grado, rimangono chiuse fino a data da destinarsi. Alle elementari, almeno, sono stati svogliatamente intrattenuti dalla didattica a distanza. Per i bambini sotto i sei anni, invece, il governo non ha profuso nemmeno gli usuali e confusi balbettii. Niente di niente. Se non il modesto bonus baby sitter. Ops! L'Inps, ancora ieri, spiegava laconico sul suo solito turbosito che «è impossibile fare domanda». E poi, ci sarebbero gli improbabili congedi parentali. Per carità, il governo s'è dimenticato di tutti. Ma soprattutto dei bambini. Estenuati dall'infruttuosa attesa, genitori, scuole e associazioni hanno presentato ieri al Tar del Lazio un ricorso contro l'ormai mitologico Dpcm del 10 maggio 2020, adottato «per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da Covid». Ovvero lo stentoreo decreto con cui il nostro presidente del consiglio, Giuseppe Conte, sospende ad libitum le attività didattiche. In particolare, si chiede di annullare il comma che non consente la riapertura delle scuole d'infanzia. Mentre, allo stesso tempo, permette l'organizzazione dei centri estivi. La richiesta viene da genitori di tutta Italia. Ma tra i firmatari ci sono sono anche associazioni, tra cui il Comitato EduChiAmo di Confapi, la Confederazione italiana delle piccole e medie imprese. E blasonate paritarie, come il Canadian island di Firenze. Insomma, il ricorso è fondato su un assioma diventato dubbio amletico: se i giallorossi hanno ritenuto sicuro far ripartire i centri estivi, perché non possono farlo nidi e materne? Che, tra l'altro, sono più attrezzati e sicuri di strutture spesso improvvisate. Già, perché? Mistero. «Una discriminazione che appare non giustificata» scrivono gli avvocati Federico Freni ed Evaristo Maria Fabrizio, dello studio legale Quorum. Eppure gli asili sarebbero un sostanziale aiuto per i genitori, altro che micragnosi bonus o penalizzanti congedi. E non si tratterebbe di una riapertura di bandiera. L'anno scolastico, per loro, termina il prossimo 31 luglio. Per chi lavora, sarebbe l'agognata svolta dopo mesi di arduo ménage. Per i bambini, la ripresa di una controllata socialità con i vecchi compagni. E magari eviterebbe pure di richiamare in servizio effettivo e permanente i nonni. Quelli che restano più a rischio.L'avvocato Freni, che segue la causa pro bono, spiega: «Anch'io ho due figlie: di tre e cinque anni. E so benissimo che sospendere scuole e servizi educativi ha avuto ricadute drammatiche su bambini e ragazzi. Hanno letteralmente perso tre mesi cruciali di vita. I più piccoli sono quelli a cui è andata peggio: non hanno avuto nemmeno lo sfogo della didattica a distanza». E il futuro si annuncia ancor più tribolato. Lucia Azzolina, titolare dell'Istruzione, resta la più improbabile tra gli improbabili. La vaghezza regna sovrana. La scuola sembra l'ultimo problema dei giallorossi. Intanto in Francia l'omologo ministro dell'Istruzione, Jean-Michel Blanquer, annuncia: «Tutte le scuole verranno riaperte a partire dall'inizio della fase 2, vale a dire il 2 giugno prossimo». In Italia invece, piuttosto che focalizzarsi sugli scompensi sociali ed educativi, si continuano a confondere le acque: meglio dunque discettare a oltranza sui concorsi dei precari. Intanto, i bambini restano chiusi a casa. In attesa che passi la paura. Sul ricorso contro il Dpcm, il Tar laziale si pronuncerà entro la prima metà di giugno. I ricorrenti sperano che il tribunale amministrativo possa dare al governo precise indicazioni in vista del prossimo decreto, atteso il 14 giugno 2020, che sostituirà quello in vigore. Insomma, nuovi vincoli per la ripresa di nidi e materne. «Sarebbe anche una boccata d'ossigeno per gli asili» aggiunge Freni. «Sono micro imprese private che, da giugno, non avranno né credito d'imposta per l'affitto né cassa integrazione per i dipendenti. Molti hanno rinunciato alle rette o non riescono a riscuoterle. Tanti rischiano di fallire». L'incurante Giuseppi, nel «poderoso» decreto Rilancio, ha nel frattempo previsto 1,5 milioni per le scuole. Ma alle paritarie andranno solo bruscolini. E una su tre rischia di non arrivare a settembre. Con le statali che, già nel marasma, sarebbero pure costrette ad accogliere centinaia di migliaia di nuovi alunni. Così l'esasperazione cresce. Alcuni protestano inferociti davanti a Montecitorio. Altri sono costretti a chiedere l'intervento della giustizia amministrativa. «È inaudito che non ci siano ancora garanzie sulle riaperture di nidi e scuole dell'infanzia» assalta la deputata leghista Alessandra Locatelli, ex ministro della Famiglia. «Un'incertezza che ha causato drammatiche ricadute sulla formazione e ulteriori diseguaglianze. In altri Paesi l'attenzione per i bambini è stata prioritaria. Invece, il governo italiano li ha totalmente dimenticati. Per non parlare dei disagi e i problemi della forzata permanenza in casa». Eppure Giuseppi e suoi continuano a sembrare degli impenitenti scapoloni, senza figli né famiglia. Meglio dare la priorità ai concorsi per i precari della scuola. 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Da mercoledì sotto scorta perché bersaglio di una valanga di insulti, soprattutto a sfondo sessuale, a causa dei ritardi nelle riaperture delle scuole, la titolare del Miur si è beccata anche la metafora bollata immediatamente come sessista dai deputati grillini. A fine mattinata, il vicepresidente dei senatori azzurri si è chiarito con la diretta interessata: «Ho spiegato al ministro che mi riferivo alla credibilità della scuola» ha raccontato Moles, «Il sessismo, il genere... Non c'entrano nulla. È il M5s che strumentalizza. Lei mi ha detto che ha capito. Caso chiuso». Scuole aperte a settembre, invece, in presenza, ma anche e soprattutto in piena sicurezza. Questo è l'obiettivo del Governo e del Ministero dell'Istruzione, ha ribadito la Azzolina, che ha ricevuto ieri dal Comitato tecnico-scientifico istituito per l'emergenza coronavirus il documento con le misure per il rientro a settembre. La precondizione per la presenza a scuola di studenti e di tutto il personale è, secondo gli esperti: la mascherina obbligatoria sopra i sei anni sempre, tranne che durante l'interrogazione, l'educazione fisica e il pasto; l'assenza di sintomatologia respiratoria o febbre superiore a 37.5°C anche nei tre giorni precedenti (all'ingresso della scuola non sarà rilevata la temperatura) e comunque chi ha febbre sopra a 37,5 dovrà restare a casa; non essere stati in quarantena o isolamento domiciliare negli ultimi 14 giorni; non essere stati a contatto con persone positive, per quanto di propria conoscenza, negli ultimi 14 giorni. Singolare questo punto: come si fa a saperlo se non si fanno tamponi o test sierologici? Comunque, rispetto allo stato di salute la responsabilità sarà personale o dei genitori. Ingressi con scaglionamento di orario o rendendo disponibili tutte le vie di accesso dell'edificio scolastico. Poi il distanziamento interpersonale di almeno un metro, considerando anche lo spazio di movimento. Questa distanza andrà garantita nelle aule, con una conseguente riorganizzazione della disposizione interna, ad esempio, dei banchi, ma anche nei laboratori, in aula magna, nei teatri scolastici. Si passa a due metri per le attività svolte in palestra. Perciò Comuni e Province avranno più potere per snellire lavori di edilizia scolastica. Garantito anche il servizio mensa ma sempre garantendo il distanziamento attraverso la gestione degli spazi, dei turni di fruizione e, in forma residuale, anche attraverso l'eventuale fornitura del pasto in «lunch box» ovvero pranzo al sacco per il consumo in classe. Andranno limitati gli assembramenti nelle aree comuni. La presenza dei genitori nei locali della scuola dovrà essere ridotta al minimo. Prima della riapertura della scuola sarà prevista una pulizia approfondita di tutti gli spazi. Le pulizie, poi, dovranno essere effettuate quotidianamente. Saranno resi disponibili dispenser con prodotti igienizzanti in più punti della scuola (nel dl passato in Senato con la fiducia ci sono 39 milioni di euro per l'acquisto dei dispositivi di protezione individuali e per la pulizia dei locali). Una novità riguarda il giudizio delle scuole primarie: al posto dei voti in decimi ci sarà un giudizio descrittivo. Rispondendo al question time, posto proprio da Moles, la Azzolina aveva ribadito la presenza del decreto di quattro procedure concorsuali per oltre 61.000 posti, compreso il maxi concorso per i 32.000 precari con tre anni di docenza che si terrà durante l'anno scolastico 2020/2021.
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Tra Natale ed Epifania il turismo italiano supera i 7 miliardi di euro di giro d’affari. Crescono presenze, viaggi interni ed esperienze artigianali, con città d’arte e montagne in testa alle preferenze.
Le settimane comprese tra il Natale e l’Epifania si confermano uno dei momenti più redditizi dell’anno per il turismo italiano. Secondo le stime di Cna Turismo e Commercio, il giro d’affari generato tra feste, fine anno e Befana supera i 7 miliardi di euro. Un risultato che non fotografa soltanto l’andamento economico del settore, ma racconta anche un’evoluzione nelle scelte e nelle aspettative dei viaggiatori.
Nel periodo festivo sono attesi oltre 5 milioni di turisti che trascorreranno almeno una notte in una struttura ricettiva: circa 3,7 milioni sono italiani, mentre 1,3 milioni arrivano dall’estero. A questi si aggiunge una platea ben più ampia di persone in movimento: oltre 20 milioni di individui si sposteranno per escursioni giornaliere, soggiorni nelle seconde case o visite a parenti e amici.
Per quanto riguarda i flussi internazionali, la componente europea resta prevalente, con arrivi soprattutto da Francia, Germania, Spagna e Regno Unito. Fuori dal continente, si segnalano presenze significative da Stati Uniti, Canada e Cina. Le preferenze delle destinazioni confermano una tendenza ormai consolidata. In cima alle scelte ci sono le città e i borghi d’arte, seguiti dalle località di montagna. Due modi diversi di vivere le vacanze natalizie: da un lato l’attrazione per il patrimonio culturale, i mercatini e le atmosfere urbane illuminate dalle feste; dall’altro la ricerca della neve, degli sport invernali e di un contatto più diretto con l’ambiente naturale.
Alla base di questo successo concorrono diversi fattori. L’Italia continua a esercitare un forte richiamo quando si parla di tradizioni natalizie: dai presepi, in particolare quelli napoletani, ai mercatini dell’arco alpino, passando per i centri storici addobbati e le celebrazioni religiose che trovano a Roma uno dei loro punti centrali. Un insieme di elementi che costruisce un’offerta culturale difficilmente replicabile. Proprio la dimensione religiosa e identitaria del Natale italiano rappresenta un elemento di attrazione per molti visitatori nordamericani e per i turisti provenienti da Paesi di tradizione cattolica, spesso alla ricerca di un’esperienza percepita come più autentica rispetto a celebrazioni considerate eccessivamente commerciali. A questo si aggiunge la varietà climatica del Paese: temperature più miti al Sud e nelle isole per chi vuole evitare il freddo, condizioni ideali sulle Alpi per gli amanti dello sci e della montagna. Un segnale particolarmente rilevante arriva dalla crescita delle cosiddette esperienze, soprattutto quelle legate all’artigianato. Sempre più viaggiatori scelgono di affiancare alla visita dei luoghi la partecipazione diretta ad attività tradizionali: dalla preparazione della pasta fresca alle lavorazioni del vetro di Murano, fino alla ceramica umbra e toscana. È un approccio che indica un cambiamento nel modo di viaggiare, meno orientato alla semplice osservazione e più alla partecipazione.
Questo interesse incrocia diverse tendenze attuali: il bisogno di autenticità in un contesto sempre più standardizzato, la volontà di riportare a casa un’esperienza che vada oltre il souvenir e l’attenzione verso il “saper fare” italiano, riconosciuto come patrimonio immateriale di valore internazionale.
Sul piano economico incidono anche fattori più generali. La ripresa del potere d’acquisto delle classi medie in Europa e negli Stati Uniti, dopo anni di incertezza, ha sostenuto la propensione alla spesa per le vacanze. Il rafforzamento del dollaro favorisce i turisti statunitensi, mentre la fase di stabilizzazione successiva alla pandemia ha contribuito a ricostruire la fiducia nei viaggi. Il periodo natalizio rappresenta inoltre uno degli esempi più riusciti di destagionalizzazione, obiettivo perseguito da tempo dagli operatori del settore. Le strutture ricettive registrano livelli di occupazione elevati in settimane che in passato erano considerate marginali. Anche i collegamenti giocano un ruolo chiave: l’espansione dei voli low cost e il miglioramento dell’offerta ferroviaria rendono più accessibili non solo le grandi città, ma anche destinazioni meno centrali, favorendo una distribuzione più ampia dei flussi.
Accanto ai dati positivi emergono però alcune criticità. La concentrazione dei visitatori rischia di mettere sotto pressione alcune mete, mentre altre restano ai margini. Il turismo di prossimità, rappresentato dai milioni di italiani che si spostano senza pernottare in alberghi o strutture ricettive, costituisce un bacino ancora parzialmente inesplorato. Allo stesso tempo, la crescente domanda di esperienze personalizzate richiede investimenti in formazione e una maggiore integrazione tra operatori locali.
Le festività di fine anno restano comunque un motore fondamentale per l’economia del turismo, in grado di coinvolgere l’intera filiera: ristorazione, artigianato, trasporti e offerta culturale. Un patrimonio che, per continuare a produrre risultati nel tempo, richiede una strategia capace di innovare senza snaturare quell’autenticità che rappresenta il vero punto di forza del sistema italiano.
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I computer che guidano i mezzi non sono più stati in grado di calcolare come muoversi anche perché i sensori di bordo leggono lo stato dei semafori e questi erano spenti. Dunque Waymo in sé non ha alcuna colpa, e soltanto domenica pomeriggio è stato ripristinato il servizio. Dunque questa volta non c’è un problema di sicurezza per gli occupanti e neppure un pericolo per chi si trova a guidare, piuttosto, invece, c’è la dimostrazione che le nuove tecnologie sono terribilmente dipendenti da altre: in questo caso il rilevamento delle luci dei semafori, indispensabili per affrontare gli incroci e le svolte. Qui si rivela la differenza tra l’umano che conduce la meccanica e l’intelligenza artificiale: innanzi a un imprevisto, seppure con tutti i suoi limiti e difetti, un essere umano avrebbe improvvisato e tentato una soluzione, mentre la macchina (fortunatamente) ha obbedito alle leggi di controllo. Il problema non ha coinvolto i robotaxi Tesla, che invece agiscono con sistemi differenti, più simili ai ragionamenti umani, ovvero sono più indipendenti dalle infrastrutture della circolazione. Naturalmente Waymo può trarre da questo evento diverse considerazioni. La prima riguarda l’effettiva dipendenza del sistema di guida dalle infrastrutture esterne; la seconda è la valutazione di come i mezzi automatizzati hanno reagito alla mancanza di informazioni. Infine, come sarà possibile modificare i software di controllo affinché, qualora capiti un nuovo incidente tecnico, le auto possano completare in sicurezza il servizio. Dall’esterno della vicenda è invece possibile valutare anche altro: le tecnologie digitali applicate alle dinamiche automobilistiche non sono ancora sufficientemente autonome. Sia chiaro, lo stesso vale per navi e aeroplani, ma mentre per questi ultimi gli algoritmi dei droni stanno già portando a una ricaduta di tecnologia che viene trasferita ai velivoli pilotati, nel campo automobilistico c’è ancora molto lavoro da fare. Proprio ieri, sempre negli Usa, il pilota di un velivolo King Air da nove posti è stato colpito da un malore. La chiamano “pilot incapacitation” e a bordo non c’era nessun altro che potesse prendere il controllo e atterrare. Ed è qui che la tecnologia ha salvato aeroplano e occupanti: il passeggero che sedeva accanto all’uomo ha premuto il tasto del sistema “Autoland”, l’autopilota ha scelto la pista idonea per lunghezza più vicina alla posizione dell’aereo e alla rotta percorsa, ha avvertito il centro di controllo e anche messo il passeggero nelle condizioni di dichiarare la necessità di un’ambulanza sul posto. L’alternativa sarebbe stato un disastro aereo con diverse vittime. La notizia potrebbe sembrare senza alcuna correlazione con quanto accaduto a San Francisco, ma così non è: il produttore del sistema di navigazione dell’aeroplano è Garmin, ovvero il medesimo che fornisce navigatori al settore automotive. E che prima o poi vedremo fornire uno dei suoi prodotti a qualche costruttore di automobili.
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Era inoltre il 22 dicembre, quando il Times of Israel ha riferito che «Israele ha avvertito l'amministrazione Trump che il corpo delle Guardie della rivoluzione Islamica dell'Iran potrebbe utilizzare un'esercitazione militare in corso incentrata sui missili come copertura per lanciare un attacco contro Israele». «Le probabilità di un attacco iraniano sono inferiori al 50%, ma nessuno è disposto a correre il rischio e a dire che si tratta solo di un'esercitazione», ha in tal senso affermato ad Axios un funzionario di Gerusalemme.
Tutto questo, mentre il 17 dicembre il direttore del Mossad, David Barnea, aveva dichiarato che lo Stato ebraico deve «garantire» che Teheran non si doti dell’arma atomica. «L'idea di continuare a sviluppare una bomba nucleare batte ancora nei loro cuori. Abbiamo la responsabilità di garantire che il progetto nucleare, gravemente danneggiato, in stretta collaborazione con gli americani, non venga mai attivato», aveva detto.
Insomma, la tensione tra Gerusalemme e Teheran sta tornando a salire. Ricordiamo che, lo scorso giugno, le due capitali avevano combattuto la «guerra dei dodici giorni»: guerra, nel cui ambito gli Stati Uniti avevano colpito tre siti nucleari iraniani, per poi mediare un cessate il fuoco con l’aiuto del Qatar. Non dimentichiamo inoltre che Trump punta a negoziare un nuovo accordo sul nucleare di Teheran con l’obiettivo di scongiurare l’eventualità che gli ayatollah possano conseguire l’arma atomica. Uno scenario, quest’ultimo, assai temuto tanto dagli israeliani quanto dai sauditi.
Il punto è che le rinnovate tensioni tra Israele e Teheran si stanno verificando in una fase di fibrillazione tra lo Stato ebraico e la Casa Bianca. Trump è rimasto irritato a causa del recente attacco militare di Gerusalemme a Gaza, mentre Netanyahu non vede di buon occhio la possibile vendita di caccia F-35 al governo di Doha. Bisognerà quindi vedere se, nei prossimi giorni, il dossier iraniano riavvicinerà o meno il presidente americano e il premier israeliano.
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