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2020-05-29
Le scuole portano Giuseppi davanti al Tar
Giuseppe Conte (Ansa)
Hanno finalmente riaperto tutti: parrucchieri. Chi manca all'appello? Guardatevi intorno. Eccoli lì, sempre più pallidi e nevrastenici: i bambini. Le scuole, di ogni ordine e grado, rimangono chiuse fino a data da destinarsi.
Alle elementari, almeno, sono stati svogliatamente intrattenuti dalla didattica a distanza. Per i bambini sotto i sei anni, invece, il governo non ha profuso nemmeno gli usuali e confusi balbettii. Niente di niente. Se non il modesto bonus baby sitter. Ops! L'Inps, ancora ieri, spiegava laconico sul suo solito turbosito che «è impossibile fare domanda». E poi, ci sarebbero gli improbabili congedi parentali. Per carità, il governo s'è dimenticato di tutti. Ma soprattutto dei bambini. Estenuati dall'infruttuosa attesa, genitori, scuole e associazioni hanno presentato ieri al Tar del Lazio un ricorso contro l'ormai mitologico Dpcm del 10 maggio 2020, adottato «per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da Covid». Ovvero lo stentoreo decreto con cui il nostro presidente del consiglio, Giuseppe Conte, sospende ad libitum le attività didattiche. In particolare, si chiede di annullare il comma che non consente la riapertura delle scuole d'infanzia. Mentre, allo stesso tempo, permette l'organizzazione dei centri estivi. La richiesta viene da genitori di tutta Italia. Ma tra i firmatari ci sono sono anche associazioni, tra cui il Comitato EduChiAmo di Confapi, la Confederazione italiana delle piccole e medie imprese. E blasonate paritarie, come il Canadian island di Firenze.
Insomma, il ricorso è fondato su un assioma diventato dubbio amletico: se i giallorossi hanno ritenuto sicuro far ripartire i centri estivi, perché non possono farlo nidi e materne? Che, tra l'altro, sono più attrezzati e sicuri di strutture spesso improvvisate. Già, perché? Mistero.
«Una discriminazione che appare non giustificata» scrivono gli avvocati Federico Freni ed Evaristo Maria Fabrizio, dello studio legale Quorum. Eppure gli asili sarebbero un sostanziale aiuto per i genitori, altro che micragnosi bonus o penalizzanti congedi. E non si tratterebbe di una riapertura di bandiera. L'anno scolastico, per loro, termina il prossimo 31 luglio. Per chi lavora, sarebbe l'agognata svolta dopo mesi di arduo ménage. Per i bambini, la ripresa di una controllata socialità con i vecchi compagni. E magari eviterebbe pure di richiamare in servizio effettivo e permanente i nonni. Quelli che restano più a rischio.
L'avvocato Freni, che segue la causa pro bono, spiega: «Anch'io ho due figlie: di tre e cinque anni. E so benissimo che sospendere scuole e servizi educativi ha avuto ricadute drammatiche su bambini e ragazzi. Hanno letteralmente perso tre mesi cruciali di vita. I più piccoli sono quelli a cui è andata peggio: non hanno avuto nemmeno lo sfogo della didattica a distanza».
E il futuro si annuncia ancor più tribolato. Lucia Azzolina, titolare dell'Istruzione, resta la più improbabile tra gli improbabili. La vaghezza regna sovrana. La scuola sembra l'ultimo problema dei giallorossi. Intanto in Francia l'omologo ministro dell'Istruzione, Jean-Michel Blanquer, annuncia: «Tutte le scuole verranno riaperte a partire dall'inizio della fase 2, vale a dire il 2 giugno prossimo». In Italia invece, piuttosto che focalizzarsi sugli scompensi sociali ed educativi, si continuano a confondere le acque: meglio dunque discettare a oltranza sui concorsi dei precari. Intanto, i bambini restano chiusi a casa. In attesa che passi la paura.
Sul ricorso contro il Dpcm, il Tar laziale si pronuncerà entro la prima metà di giugno. I ricorrenti sperano che il tribunale amministrativo possa dare al governo precise indicazioni in vista del prossimo decreto, atteso il 14 giugno 2020, che sostituirà quello in vigore. Insomma, nuovi vincoli per la ripresa di nidi e materne. «Sarebbe anche una boccata d'ossigeno per gli asili» aggiunge Freni. «Sono micro imprese private che, da giugno, non avranno né credito d'imposta per l'affitto né cassa integrazione per i dipendenti. Molti hanno rinunciato alle rette o non riescono a riscuoterle. Tanti rischiano di fallire». L'incurante Giuseppi, nel «poderoso» decreto Rilancio, ha nel frattempo previsto 1,5 milioni per le scuole. Ma alle paritarie andranno solo bruscolini. E una su tre rischia di non arrivare a settembre. Con le statali che, già nel marasma, sarebbero pure costrette ad accogliere centinaia di migliaia di nuovi alunni.
Così l'esasperazione cresce. Alcuni protestano inferociti davanti a Montecitorio. Altri sono costretti a chiedere l'intervento della giustizia amministrativa. «È inaudito che non ci siano ancora garanzie sulle riaperture di nidi e scuole dell'infanzia» assalta la deputata leghista Alessandra Locatelli, ex ministro della Famiglia. «Un'incertezza che ha causato drammatiche ricadute sulla formazione e ulteriori diseguaglianze. In altri Paesi l'attenzione per i bambini è stata prioritaria. Invece, il governo italiano li ha totalmente dimenticati. Per non parlare dei disagi e i problemi della forzata permanenza in casa». Eppure Giuseppi e suoi continuano a sembrare degli impenitenti scapoloni, senza figli né famiglia. Meglio dare la priorità ai concorsi per i precari della scuola. Le elezioni potrebbero essere dietro l'angolo.
Niente tamponi ad alunni e docenti ma la responsabilità sarà solo loro
«La scuola ha bisogno di credibilità e autorevolezza. La credibilità è come la verginità, se si perde non si può più riacquistare». Così il senatore di Forza Italia Giuseppe Moles si è rivolto al ministro dell'Istruzione Lucia Azzolina scatenando un putiferio durante il question time al Senato. Da mercoledì sotto scorta perché bersaglio di una valanga di insulti, soprattutto a sfondo sessuale, a causa dei ritardi nelle riaperture delle scuole, la titolare del Miur si è beccata anche la metafora bollata immediatamente come sessista dai deputati grillini. A fine mattinata, il vicepresidente dei senatori azzurri si è chiarito con la diretta interessata: «Ho spiegato al ministro che mi riferivo alla credibilità della scuola» ha raccontato Moles, «Il sessismo, il genere... Non c'entrano nulla. È il M5s che strumentalizza. Lei mi ha detto che ha capito. Caso chiuso». Scuole aperte a settembre, invece, in presenza, ma anche e soprattutto in piena sicurezza. Questo è l'obiettivo del Governo e del Ministero dell'Istruzione, ha ribadito la Azzolina, che ha ricevuto ieri dal Comitato tecnico-scientifico istituito per l'emergenza coronavirus il documento con le misure per il rientro a settembre. La precondizione per la presenza a scuola di studenti e di tutto il personale è, secondo gli esperti: la mascherina obbligatoria sopra i sei anni sempre, tranne che durante l'interrogazione, l'educazione fisica e il pasto; l'assenza di sintomatologia respiratoria o febbre superiore a 37.5°C anche nei tre giorni precedenti (all'ingresso della scuola non sarà rilevata la temperatura) e comunque chi ha febbre sopra a 37,5 dovrà restare a casa; non essere stati in quarantena o isolamento domiciliare negli ultimi 14 giorni; non essere stati a contatto con persone positive, per quanto di propria conoscenza, negli ultimi 14 giorni. Singolare questo punto: come si fa a saperlo se non si fanno tamponi o test sierologici?
Comunque, rispetto allo stato di salute la responsabilità sarà personale o dei genitori. Ingressi con scaglionamento di orario o rendendo disponibili tutte le vie di accesso dell'edificio scolastico. Poi il distanziamento interpersonale di almeno un metro, considerando anche lo spazio di movimento. Questa distanza andrà garantita nelle aule, con una conseguente riorganizzazione della disposizione interna, ad esempio, dei banchi, ma anche nei laboratori, in aula magna, nei teatri scolastici. Si passa a due metri per le attività svolte in palestra. Perciò Comuni e Province avranno più potere per snellire lavori di edilizia scolastica. Garantito anche il servizio mensa ma sempre garantendo il distanziamento attraverso la gestione degli spazi, dei turni di fruizione e, in forma residuale, anche attraverso l'eventuale fornitura del pasto in «lunch box» ovvero pranzo al sacco per il consumo in classe. Andranno limitati gli assembramenti nelle aree comuni. La presenza dei genitori nei locali della scuola dovrà essere ridotta al minimo. Prima della riapertura della scuola sarà prevista una pulizia approfondita di tutti gli spazi. Le pulizie, poi, dovranno essere effettuate quotidianamente. Saranno resi disponibili dispenser con prodotti igienizzanti in più punti della scuola (nel dl passato in Senato con la fiducia ci sono 39 milioni di euro per l'acquisto dei dispositivi di protezione individuali e per la pulizia dei locali). Una novità riguarda il giudizio delle scuole primarie: al posto dei voti in decimi ci sarà un giudizio descrittivo. Rispondendo al question time, posto proprio da Moles, la Azzolina aveva ribadito la presenza del decreto di quattro procedure concorsuali per oltre 61.000 posti, compreso il maxi concorso per i 32.000 precari con tre anni di docenza che si terrà durante l'anno scolastico 2020/2021.
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Genitori, associazioni e un gruppo di istituti privati e paritari si sono appellati al tribunale del Lazio contro il Dpcm di Conte che vieta di tornare sui banchi. L'avvocato Federico Freni: «I bambini hanno bisogno di ossigeno e molti asili rischiano il fallimento».Tra le nuove regole, obbligo di mascherina. Battuta su verginità al ministro, caos in Aula.Lo speciale contiene due articoliHanno finalmente riaperto tutti: parrucchieri. Chi manca all'appello? Guardatevi intorno. Eccoli lì, sempre più pallidi e nevrastenici: i bambini. Le scuole, di ogni ordine e grado, rimangono chiuse fino a data da destinarsi. Alle elementari, almeno, sono stati svogliatamente intrattenuti dalla didattica a distanza. Per i bambini sotto i sei anni, invece, il governo non ha profuso nemmeno gli usuali e confusi balbettii. Niente di niente. Se non il modesto bonus baby sitter. Ops! L'Inps, ancora ieri, spiegava laconico sul suo solito turbosito che «è impossibile fare domanda». E poi, ci sarebbero gli improbabili congedi parentali. Per carità, il governo s'è dimenticato di tutti. Ma soprattutto dei bambini. Estenuati dall'infruttuosa attesa, genitori, scuole e associazioni hanno presentato ieri al Tar del Lazio un ricorso contro l'ormai mitologico Dpcm del 10 maggio 2020, adottato «per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da Covid». Ovvero lo stentoreo decreto con cui il nostro presidente del consiglio, Giuseppe Conte, sospende ad libitum le attività didattiche. In particolare, si chiede di annullare il comma che non consente la riapertura delle scuole d'infanzia. Mentre, allo stesso tempo, permette l'organizzazione dei centri estivi. La richiesta viene da genitori di tutta Italia. Ma tra i firmatari ci sono sono anche associazioni, tra cui il Comitato EduChiAmo di Confapi, la Confederazione italiana delle piccole e medie imprese. E blasonate paritarie, come il Canadian island di Firenze. Insomma, il ricorso è fondato su un assioma diventato dubbio amletico: se i giallorossi hanno ritenuto sicuro far ripartire i centri estivi, perché non possono farlo nidi e materne? Che, tra l'altro, sono più attrezzati e sicuri di strutture spesso improvvisate. Già, perché? Mistero. «Una discriminazione che appare non giustificata» scrivono gli avvocati Federico Freni ed Evaristo Maria Fabrizio, dello studio legale Quorum. Eppure gli asili sarebbero un sostanziale aiuto per i genitori, altro che micragnosi bonus o penalizzanti congedi. E non si tratterebbe di una riapertura di bandiera. L'anno scolastico, per loro, termina il prossimo 31 luglio. Per chi lavora, sarebbe l'agognata svolta dopo mesi di arduo ménage. Per i bambini, la ripresa di una controllata socialità con i vecchi compagni. E magari eviterebbe pure di richiamare in servizio effettivo e permanente i nonni. Quelli che restano più a rischio.L'avvocato Freni, che segue la causa pro bono, spiega: «Anch'io ho due figlie: di tre e cinque anni. E so benissimo che sospendere scuole e servizi educativi ha avuto ricadute drammatiche su bambini e ragazzi. Hanno letteralmente perso tre mesi cruciali di vita. I più piccoli sono quelli a cui è andata peggio: non hanno avuto nemmeno lo sfogo della didattica a distanza». E il futuro si annuncia ancor più tribolato. Lucia Azzolina, titolare dell'Istruzione, resta la più improbabile tra gli improbabili. La vaghezza regna sovrana. La scuola sembra l'ultimo problema dei giallorossi. Intanto in Francia l'omologo ministro dell'Istruzione, Jean-Michel Blanquer, annuncia: «Tutte le scuole verranno riaperte a partire dall'inizio della fase 2, vale a dire il 2 giugno prossimo». In Italia invece, piuttosto che focalizzarsi sugli scompensi sociali ed educativi, si continuano a confondere le acque: meglio dunque discettare a oltranza sui concorsi dei precari. Intanto, i bambini restano chiusi a casa. In attesa che passi la paura. Sul ricorso contro il Dpcm, il Tar laziale si pronuncerà entro la prima metà di giugno. I ricorrenti sperano che il tribunale amministrativo possa dare al governo precise indicazioni in vista del prossimo decreto, atteso il 14 giugno 2020, che sostituirà quello in vigore. Insomma, nuovi vincoli per la ripresa di nidi e materne. «Sarebbe anche una boccata d'ossigeno per gli asili» aggiunge Freni. «Sono micro imprese private che, da giugno, non avranno né credito d'imposta per l'affitto né cassa integrazione per i dipendenti. Molti hanno rinunciato alle rette o non riescono a riscuoterle. Tanti rischiano di fallire». L'incurante Giuseppi, nel «poderoso» decreto Rilancio, ha nel frattempo previsto 1,5 milioni per le scuole. Ma alle paritarie andranno solo bruscolini. E una su tre rischia di non arrivare a settembre. Con le statali che, già nel marasma, sarebbero pure costrette ad accogliere centinaia di migliaia di nuovi alunni. Così l'esasperazione cresce. Alcuni protestano inferociti davanti a Montecitorio. Altri sono costretti a chiedere l'intervento della giustizia amministrativa. «È inaudito che non ci siano ancora garanzie sulle riaperture di nidi e scuole dell'infanzia» assalta la deputata leghista Alessandra Locatelli, ex ministro della Famiglia. «Un'incertezza che ha causato drammatiche ricadute sulla formazione e ulteriori diseguaglianze. In altri Paesi l'attenzione per i bambini è stata prioritaria. Invece, il governo italiano li ha totalmente dimenticati. Per non parlare dei disagi e i problemi della forzata permanenza in casa». Eppure Giuseppi e suoi continuano a sembrare degli impenitenti scapoloni, senza figli né famiglia. Meglio dare la priorità ai concorsi per i precari della scuola. 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Da mercoledì sotto scorta perché bersaglio di una valanga di insulti, soprattutto a sfondo sessuale, a causa dei ritardi nelle riaperture delle scuole, la titolare del Miur si è beccata anche la metafora bollata immediatamente come sessista dai deputati grillini. A fine mattinata, il vicepresidente dei senatori azzurri si è chiarito con la diretta interessata: «Ho spiegato al ministro che mi riferivo alla credibilità della scuola» ha raccontato Moles, «Il sessismo, il genere... Non c'entrano nulla. È il M5s che strumentalizza. Lei mi ha detto che ha capito. Caso chiuso». Scuole aperte a settembre, invece, in presenza, ma anche e soprattutto in piena sicurezza. Questo è l'obiettivo del Governo e del Ministero dell'Istruzione, ha ribadito la Azzolina, che ha ricevuto ieri dal Comitato tecnico-scientifico istituito per l'emergenza coronavirus il documento con le misure per il rientro a settembre. La precondizione per la presenza a scuola di studenti e di tutto il personale è, secondo gli esperti: la mascherina obbligatoria sopra i sei anni sempre, tranne che durante l'interrogazione, l'educazione fisica e il pasto; l'assenza di sintomatologia respiratoria o febbre superiore a 37.5°C anche nei tre giorni precedenti (all'ingresso della scuola non sarà rilevata la temperatura) e comunque chi ha febbre sopra a 37,5 dovrà restare a casa; non essere stati in quarantena o isolamento domiciliare negli ultimi 14 giorni; non essere stati a contatto con persone positive, per quanto di propria conoscenza, negli ultimi 14 giorni. Singolare questo punto: come si fa a saperlo se non si fanno tamponi o test sierologici? Comunque, rispetto allo stato di salute la responsabilità sarà personale o dei genitori. Ingressi con scaglionamento di orario o rendendo disponibili tutte le vie di accesso dell'edificio scolastico. Poi il distanziamento interpersonale di almeno un metro, considerando anche lo spazio di movimento. Questa distanza andrà garantita nelle aule, con una conseguente riorganizzazione della disposizione interna, ad esempio, dei banchi, ma anche nei laboratori, in aula magna, nei teatri scolastici. Si passa a due metri per le attività svolte in palestra. Perciò Comuni e Province avranno più potere per snellire lavori di edilizia scolastica. Garantito anche il servizio mensa ma sempre garantendo il distanziamento attraverso la gestione degli spazi, dei turni di fruizione e, in forma residuale, anche attraverso l'eventuale fornitura del pasto in «lunch box» ovvero pranzo al sacco per il consumo in classe. Andranno limitati gli assembramenti nelle aree comuni. La presenza dei genitori nei locali della scuola dovrà essere ridotta al minimo. Prima della riapertura della scuola sarà prevista una pulizia approfondita di tutti gli spazi. Le pulizie, poi, dovranno essere effettuate quotidianamente. Saranno resi disponibili dispenser con prodotti igienizzanti in più punti della scuola (nel dl passato in Senato con la fiducia ci sono 39 milioni di euro per l'acquisto dei dispositivi di protezione individuali e per la pulizia dei locali). Una novità riguarda il giudizio delle scuole primarie: al posto dei voti in decimi ci sarà un giudizio descrittivo. Rispondendo al question time, posto proprio da Moles, la Azzolina aveva ribadito la presenza del decreto di quattro procedure concorsuali per oltre 61.000 posti, compreso il maxi concorso per i 32.000 precari con tre anni di docenza che si terrà durante l'anno scolastico 2020/2021.
Il ministro degli Esteri del Regno di Giordania Ayman Safadi
Il ministro degli Esteri giordano Ayman Safadi spiega la partecipazione di Amman all’operazione Usa in Siria contro l’Isis, il ruolo della comunità drusa nella stabilità interna e l’impegno della Giordania per la pace e la sicurezza nella Striscia di Gaza. «Questi terroristi vogliono ricostituire lo Stato Islamico», avverte.
Nell’attacco alle posizioni dello Stato Islamico in Siria Washington ha colpito 70 obiettivi, neutralizzando la cellula che agiva nella provincia orientale siriana di Deir Ezzor. Questi miliziani dell’Isis erano i responsabili dell’attacco di Palmira dove avevano perso la vita tre americani, due militari e un interprete civile ed erano noti per le continue offensive con droni in questa area. L’operazione, denominata Occhio di falco, si è estesa a diverse località della Siria centrale utilizzando caccia, elicotteri d'attacco e artiglieria e agendo insieme all’aviazione della Giordania. Amman ha confermato la sua partecipazione a questa azione militare ribadendo la propria volontà di sradicare lo Stato Islamico dal Medio Oriente. Ayman Safadi è vice primo ministro e ministro degli Esteri del Regno di Giordania da quasi 9 anni ed è un diplomatico di grande esperienza.
Ministro Safadi, la partecipazione delle vostre forze aeree all’operazione degli Usa dimostra il vostro interesse ad essere protagonisti in Medio Oriente.
«Abbiamo deciso di affiancare gli statunitensi del Centcom perché riteniamo l’Isis un pericolo per tutta la nostra area e soprattutto per la Giordania. Questi terroristi hanno già cercato di infiltrare la nostra nazione, ma la loro propaganda non ha mai attecchito. La Giordania è uno dei 90 paesi che compongono la coalizione globale contro l'Isis, a cui la Siria ha recentemente aderito e questa operazione è l’attuazione pratica dei nostri principi. La nostra aviazione ha agito per impedire ai gruppi estremisti come questo di sfruttare questa regione come una rampa di lancio allo scopo di minacciare la sicurezza dei paesi vicini alla Siria e del Medio Oriente in generale, soprattutto dopo che l'Isis si è riorganizzato e ha ricostruito le sue capacità nella Siria meridionale. In troppi hanno sottovalutato la rinascita di questo network del terrorismo che è proliferato in Africa, dove gestisce traffici di armi, droga e migranti. Con i guadagni di queste attività criminali vogliono ricostituire lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, quella creatura nefasta che aveva conquistato il nord dell’Iraq e tutta la Siria orientale».
Il Medio Oriente è una regione complessa per le diversità culturali e religiose. In Giordania la convivenza sembra funzionare: come vive la sua comunità drusa questo equilibrio?
«Noi drusi siamo un gruppo etno-religioso con una lunga storia e abbiamo sempre lottato per le nazioni dove viviamo. In Giordania la comunità è piccola, ma siamo fieri di essere giordani. In Siria la situazione è complicata per i drusi che sono stati attaccati dai beduini e probabilmente anche da elementi dello Stato Islamico, il nuovo governo di Damasco deve fare di più per difendere le minoranze. Il presidente siriano Ahmed al Shara ha pubblicamente dichiarato di combattere lo Stato Islamico, ma ci sono intere province del sud e dell’est che sono fuori controllo e ci sono ancora troppe armi in Siria».
Il governo israeliano ha dichiarato di non fidarsi del nuovo regime di Damasco, qual è la posizione di Amman?
«Il presidente statunitense Donald Trump ha voluto togliere tutte le sanzioni alla Siria, aprendo un grande credito al nuovo corso. Adesso al Shara deve dimostrare di meritare questa fiducia e lo deve fare pacificando la sua nazione, la Siria è un paese con tante anime: sunniti, sciiti, cristiani e drusi. Washington sta dedicando una grande attenzione al Medio Oriente e questo è positivo. Soltanto il presidente Trump può ottenere una pace duratura e un futuro per la Striscia, la Giordania segue con estrema attenzione ciò che accade a Gaza perché circa il 50% della nostra popolazione è di origine palestinese. Noi siamo totalmente contrari a una divisione della Striscia, il territorio dei palestinese non deve essere toccato ed i confini devono restare gli stessi. La cosa più importante è garantire la sicurezza di tutti, dei palestinesi, degli israeliani ed anche delle nazioni vicine. La Giordania ha sempre represso la presenza di Hamas sul suo territorio, chiudendone gli uffici ed esiliandone i funzionari nel 1999. Negli ultimi anni abbiamo aumentato la sicurezza alle frontiere per ostacolare il contrabbando di armi, collegato ad Hamas che nel passato ha tentato di destabilizzare la Giordania».
Quale futuro per la Striscia di Gaza?
«Dobbiamo difendere la pace e ricostruire un posto dove gli abitanti di Gaza possano vivere. Il nostro sovrano ed il nostro governo hanno più volte dichiarato di essere favorevoli ad un maggior impegno degli europei nella Striscia. La Giordania ha relazioni eccellenti con l’Italia. Sua Maestà il Re Abdullah II di Giordania a marzo ha incontrato Giorgia Meloni e ha espresso apprezzamento per la solida cooperazione tra le due nazioni nell’assistenza umanitaria a Gaza. Il presidente del Consiglio italiano ha voluto sottolineare ancora una volta il ruolo svolto dalla Giordania, come una forza di pace e di dialogo determinante per il futuro di tutta l’area».
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Nuove accuse tra Cambogia e Thailandia lungo il confine conteso. Phnom Penh denuncia bombardamenti con caccia F-16, Bangkok parla di attacchi notturni cambogiani. Oltre mezzo milione di sfollati mentre proseguono i negoziati.
La crisi tra Cambogia e Thailandia torna ad aggravarsi lungo il confine conteso. Phnom Penh accusa Bangkok di aver intensificato i bombardamenti con caccia F-16, mentre le autorità thailandesi parlano di attacchi cambogiani durante la notte. Le accuse incrociate arrivano mentre sono in corso negoziati per un cessate il fuoco e il numero degli sfollati supera il mezzo milione.
Secondo il ministero della Difesa cambogiano, l’aeronautica thailandese avrebbe impiegato caccia F-16, sganciando almeno quaranta bombe nell’area del villaggio di Chok Chey. L’episodio viene descritto come un’ulteriore escalation militare in una zona già colpita da ripetuti raid. La versione di Bangkok è opposta. I media thailandesi riferiscono che, durante la notte, le forze cambogiane avrebbero condotto attacchi massicci lungo il confine nella provincia sud-orientale di Sa Kaeo, provocando danni a diverse abitazioni civili.
Nel frattempo, le due parti hanno avviato un nuovo ciclo di colloqui, iniziato mercoledì e destinato a durare quattro giorni, con l’obiettivo dichiarato di porre fine ai combattimenti. L’incontro si svolge in territorio thailandese, presso un valico di frontiera nella provincia di Chanthaburi, secondo quanto riferito da funzionari di Phnom Penh. Sul piano diplomatico si registra anche un coinvolgimento diretto degli Stati Uniti. Il primo ministro cambogiano Hun Manet ha reso noto di aver avuto un colloquio telefonico con il segretario di Stato americano Marco Rubio, durante il quale si è discusso di «come garantire un cessate il fuoco lungo il confine tra Cambogia e Thailandia».
Alla base delle tensioni c’è una disputa storica sulla delimitazione di circa 800 chilometri di confine, che affonda le radici nell’epoca coloniale. Il confronto armato si è riacceso con forza nel corso dell’anno. A luglio, cinque giorni di scontri avevano provocato circa 40 morti e costretto 300.000 persone ad abbandonare le proprie abitazioni, prima di una tregua che successivamente è fallita.
L’impatto umanitario resta pesante. Secondo le autorità cambogiane, oltre mezzo milione di persone è stato costretto a lasciare case e scuole nelle ultime due settimane di combattimenti. In una nota, il ministero dell’Interno di Phnom Penh ha parlato di 518.611 sfollati, denunciando che «oltre mezzo milione di cambogiani, tra cui donne e bambini, stanno soffrendo gravi difficoltà a causa dello sfollamento forzato dalle loro case e scuole per sfuggire al fuoco di artiglieria, ai razzi e agli attacchi aerei dei caccia F-16 thailandesi». In precedenza, Bangkok aveva indicato in circa 400.000 il numero degli sfollati sul proprio territorio. Il portavoce del ministero della Difesa thailandese, Surasant Kongsiri, ha affermato che il numero di persone accolte nei rifugi è in diminuzione, pur restando superiore alle 200.000 unità. Kongsiri ha inoltre invitato gli abitanti dei villaggi a rientrare con cautela, avvertendo che «potrebbero esserci ancora mine o bombe pericolose». Dal punto di vista militare, Phnom Penh ha sottolineato come le forze thailandesi abbiano continuato le operazioni dall’alba del 21 dicembre, segnalando combattimenti anche nei pressi del tempio khmer di Preah Vihear, risalente a 900 anni fa. La Cambogia ha inoltre ricordato il divario di risorse tra i due eserciti, a vantaggio di Bangkok. Secondo i dati ufficiali, il bilancio complessivo degli scontri è salito ad almeno 41 morti, di cui 22 thailandesi e 19 cambogiani. Le ostilità più recenti sono riprese il 12 dicembre, mentre una precedente ondata di violenze, a luglio, aveva causato 43 vittime in pochi giorni.
La crisi è ora all’attenzione dell’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico. I ministri degli Esteri dell’Asean, compresi quelli di Thailandia e Cambogia, si riuniscono il 22 dicembre a Kuala Lumpur per discutere del conflitto. Entrambi i governi hanno espresso l’auspicio che l’incontro contribuisca a ridurre le tensioni. La portavoce del ministero degli Esteri thailandese, Maratee Nalita Andamo, ha definito il vertice «un’importante opportunità per entrambe le parti». Bangkok ha tuttavia ribadito alcune condizioni preliminari, chiedendo a Phnom Penh di annunciare per prima un cessate il fuoco e di cooperare nelle operazioni di sminamento lungo il confine. In un comunicato, il governo thailandese ha precisato che un accordo potrà essere raggiunto «solo se basato principalmente su una valutazione della situazione sul campo da parte dell’esercito thailandese».
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L’obiettivo è evitare la delocalizzazione della produzione e contrastare l’effetto dei costi energetici elevati sulla competitività europea. La misura riguarda principalmente i settori dell’acciaio, della chimica e dell’automotive, fortemente influenzati dalle bollette elettriche, che in Germania risultano quasi tre volte superiori rispetto agli Stati Uniti. Le autorità tedesche hanno già avviato le trattative con la Commissione Europea per ottenere la compatibilità con le norme sugli aiuti di Stato. Per la Slovacchia, strettamente integrata nelle filiere tedesche, la mossa può rappresentare una sfida competitiva: se le imprese tedesche recuperano tranquillità sui costi dell’energia, le aziende slovacche del comparto manifatturiero esportatrici potrebbero trovarsi a dover far fronte a maggiori pressioni sui costi. Lo stesso potrebbe accadere in Italia.
Prima della Germania il Regno Unito, dove un “price cap” è stato stabilito nel 2019 dall’allora governo May. Dal gennaio 2019 l’Ofgem (l’equivalente della nostra Arera) applica un tetto alla spesa massima dei consumatori di trimestre in trimestre. Ma attenzione: non a tutti i clienti, bensì solo ai sottoscrittori delle “standard variable tariffs”, cioè delle tariffe a prezzo variabile molto basilari, dedicate ai clienti meno abituati a cercare tariffe sul mercato libero, e per questo da anni con lo stesso operatore che a volte approfitta di questo immobilismo applicando prezzi piuttosto elevati.
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