2018-03-28
Le relazioni pericolose di Minniti. I servizi trattano con lo 007 di Assad
Il quotidiano francese Le Monde conferma in un articolo del 28 marzo la vicenda dell'incontro tra i nostri servizi segreti e quelli siriani. Ne avevamo scritto su La Verità il 17 marzo scorso. L'aereo del Viminale avrebbe prelevato il responsabile della sicurezza siriano per un meeting in Sardegna con il capo dell'Aise, Alberto Manenti, nella base di Torre Poglina. L'europarlamento chiede lumi a Federica Mogherini.Da almeno due settimane un incontro tra spie sta tenendo occupate le cancellerie di mezzo mondo, dall'Europa agli Stati Uniti fino alla Russia. È il faccia a faccia che avrebbero avuto alla fine di febbraio il nostro direttore dell'Aise, Alberto Manenti, e Ali Mamlouk, il potente numero uno dei servizi segreti della Siria di Bashar Assad. All'incontro in un primo momento si pensava avesse partecipato anche il ministro degli Interni, Marco Minniti, ma poi il quotidiano libanese Alakhbar, che ha dato la notizia, ha in parte smentito la partecipazione del responsabile del Viminale. I dubbi però restano. La storia non è di poco conto, perché l'incontro sarebbe avvenuto a Roma e questo potrebbe rappresentare una violazione alle sanzioni imposte dall'Unione europea alla Siria, senza contare che Mamlouk, pilastro della sicurezza di Assad da decenni, è ritenuto responsabile della dura repressione negli ultimi anni di guerra civile.Tutto incomincia il 26 febbraio scorso quando Alakhbar, giornale vicino a miliziani di Hezbollah e quindi al governo siriano, lancia la notizia. Manenti e Minniti avrebbero prelevato con un aereo privato Ali Mamlouk a Damasco e lo avrebbero portato a Roma. I tre avrebbero discusso delle sanzioni economiche, ma il capo dell'intelligence siriana avrebbe inoltre ricordato all'Italia come ci siano contatti in corso anche con Germania e Francia per un graduale adattamento della Siria ai Paesi europei. Due giorni dopo, solo sul quotidiano cartaceo ma non sulla versione online, relegato in un piccolo box a pagina 19, Alakhbar smentisce la partecipazione di Minniti pur confermando l'incontro con Manenti. Il 5 marzo il think tank Carnegie Middle East center rilancia la notizia, parlando di «relazioni pericolose» non solo dell'Italia, ma anche degli altri Stati europei che starebbero discutendo con la Siria di questioni legate al terrorismo islamico, tra Isis e Al Qaeda, come al problema dell'immigrazione sulle coste europee. Della faccenda se ne interessa anche l'europarlamento. E tre giorni fa Marietje Schaake, eurodeputata olandese dell'Alde, ha presentato un'interrogazione all'Alto rappresentante dell'Unione europea per la politica estera, ovvero Federica Mogherini.Nella richiesta di chiarimenti si ricorda che i Paesi membri devono impedire «l'ingresso o il transito attraverso i loro territori delle persone responsabili della repressione violenta contro la popolazione civile in Siria». Soprattutto, domanda alla Mogherini, collega di partito di Minniti, «in che modo Mamlouk sia arrivato in Italia e se prenderà in considerazione di sanzionare il nostro Paese per la violazione commessa in flagrante». L'Alto commissario dovrebbe rispondere nelle prossime settimane. Come detto i protagonisti della vicenda al momento non si scompongono. Ma La Verità, secondo fonti non ufficiali dell'intelligence italiana, è riuscita a ricostruire il passaggio di Mamlouk nel nostro Paese.A quanto pare il numero uno dei servizi segreti siriani sarebbe stato prelevato a Damasco da un jet privato (I-Darc P180, lo stesso che a volte Minniti utilizza per tornare a Reggio Calabria) e portato nella misteriosa base militare di Torre Poglina in Sardegna, poco distante da Alghero. Impossibile, spiega la fonte, che sia arrivato a Roma dove sarebbe stato facile trovarlo. Molto meglio appunto la base segreta che si affaccia su Capo Marrargiu, luogo blindatissimo - a tal punto che non ci si può avvicinare nemmeno via mare - dove ci sarebbe un centro di addestramento guastatori. Torre Poglina è un posto perfetto per un incontro tra spie, ma è anche un luogo che riporta a galla i misteri italiani, tra Gladio e le inchieste del giudice Carlo Mastelloni sul traffico d'armi negli anni Settanta e Ottanta.L'incontro sarebbe avvenuto tra il 21 e il 25 febbraio, durante una fase molto calda per i nostri servizi segreti, perché proprio Manenti in quei giorni era in predicato di essere rinnovato come direttore dell'Aise, anche se il suo mandato era in scadenza. Ne diede notizia La Verità il 21 febbraio, raccontando del blitz di Minniti al Copasir per confermarlo un altro anno. Nella manovra di palazzo c'era anche il rinnovo di Alessandro Pansa, alla guida del Dis. Il decreto governativo è arrivato poi a urne chiuse, il 6 marzo, e dentro Forte Braschi si è consumata una piccola resa dei conti dopo le scintille degli ultimi mesi: lo stesso Manenti, per sedare le polemiche, era arrivato a mettere sul piatto il suo mandato.Del resto, sono stati troppi i fronti aperti in questi anni dal nostro servizio segreto esterno, dal caso Libia a quello Consip, con l'allontanamento del capitano Ultimo. A farne le spese, al momento, all'indomani della proroga, sono stati il generale Antonello Vitale, decano dei capireparto, e il vicedirettore vicario, Giovanni Caravelli. Vitale, non senza polemiche, ha deciso di andare in pensione il 24 aprile lasciando l'incarico di caporeparto di tutta l'attività delle operazioni all'estero. L'altro messo alla porta è il vicario dell'Aise, da cui proprio Vitale dipendeva e a cui inizialmente era stata affidata la gestione delle operazioni in Libia. Ora tutte le attività delle operazioni all'estero sono invece in capo al nuovo vicedirettore, Giuseppe Caputo, nominato il 22 dicembre dello scorso anno con un altro blitz nell'ultimo Consiglio dei ministri: Caputo era capo di gabinetto quando Ultimo fu cacciato.Ma più di Consip il vero problema in questi anni è stata la Libia. Manenti e Minniti se ne stanno occupando dal 2013, sin da quando il numero uno del Viminale era l'autorità delegata del governo Letta. Negli anni sono emerse criticità di ogni tipo, in particolare sul piano politico, con un sostegno a giorni alterni del governo di Tripoli e quello di Tobruk: mentre Minniti invitava i capi tribù a Roma e parlava con Fayez Al Sarraj, numero uno del governo di Tobruk, il ministro degli Esteri, Angelino Afano, era in contatto con Khalifa Haftar, leader di Bengasi. Non solo. A questo si sono aggiunti i problemi con gli impianti dell'Eni in Libia e soprattutto il rapimento dei quattro operai della Bonatti: due sono stati uccisi e due si sono liberati da soli. Ora c'è il Niger in stallo. Ieri Minniti era lì. Ma anche su questo fronte c'è confusione, in quanto avamposto francese: lì, anche se ti soffi il naso lo vengono a sapere a Parigi. Chissà se Al Mamlouk non possa dare una mano con un fazzoletto.
A condurre, il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin. In apertura, Belpietro ha ricordato come la guerra in Ucraina e lo stop al gas russo deciso dall’Europa abbiano reso evidenti i costi e le difficoltà per famiglie e imprese. Su queste basi si è sviluppato il confronto con Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, società con 70 anni di storia e oggi attore nazionale nel settore energetico.
Cecconato ha sottolineato la centralità del gas come elemento abilitante della transizione. «In questo periodo storico - ha osservato - il gas resta indispensabile per garantire sicurezza energetica. L’Italia, divenuta hub europeo, ha diversificato gli approvvigionamenti guardando a Libia, Azerbaijan e trasporto via nave». Il presidente ha poi evidenziato come la domanda interna nel 2025 sia attesa in crescita del 5% e come le alternative rinnovabili, pur in espansione, presentino limiti di intermittenza. Le infrastrutture esistenti, ha spiegato, potranno in futuro ospitare idrogeno o altri gas, ma serviranno ingenti investimenti. Sul nucleare ha precisato: «Può assicurare stabilità, ma non è una soluzione immediata perché richiede tempi di programmazione lunghi».
La seconda parte del panel è stata guidata da Giuliano Zulin, che ha aperto il confronto con le testimonianze di Maria Cristina Papetti e Maria Rosaria Guarniere. Papetti ha definito la transizione «un ossimoro» dal punto di vista industriale: da un lato la domanda mondiale di energia è destinata a crescere, dall’altro la comunità internazionale ha fissato obiettivi di decarbonizzazione. «Negli ultimi quindici anni - ha spiegato - c’è stata un’esplosione delle rinnovabili. Enel è stata tra i pionieri e in soli tre anni abbiamo portato la quota di rinnovabili nel nostro energy mix dal 75% all’85%. È tanto, ma non basta».
Collegata da remoto, Guarniere ha descritto l’impegno di Terna per adeguare la rete elettrica italiana. «Il nostro piano di sviluppo - ha detto - prevede oltre 23 miliardi di investimenti in dieci anni per accompagnare la decarbonizzazione. Puntiamo a rafforzare la capacità di scambio con l’estero con un incremento del 40%, così da garantire maggiore sicurezza ed efficienza». Papetti è tornata poi sul tema della stabilità: «Non basta produrre energia verde, serve una distribuzione intelligente. Dobbiamo lavorare su reti smart e predittive, integrate con sistemi di accumulo e strumenti digitali come il digital twin, in grado di monitorare e anticipare l’andamento della rete».
Il panel si è chiuso con un messaggio condiviso: la transizione non può prescindere da un mix equilibrato di gas, rinnovabili e nuove tecnologie, sostenuto da investimenti su reti e infrastrutture. L’Italia ha l’opportunità di diventare un vero hub energetico europeo, a patto di affrontare con decisione le sfide della sicurezza e dell’innovazione.
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Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)