2021-02-17
Le Ong fanno quello che vogliono: 146 africani scaricati in Sicilia
Dopo aver recuperato clandestini in acque di competenza della Libia e di Malta, Open Arms li ha condotti a Porto Empedocle. Dopo la quarantena, finiranno in un centro dell'Agrigentino che è noto per le evasioniIl governatore del Pd ha voluto nella sua segreteria l'ex braccio destro Nello Mastursi Riconosciuto colpevole in una indagine sulle nomine, guadagnerà 116.000 euro all'annoLo speciale contiene due articoli L'attracco bis del 2021 a Porto Empedocle della Ong Spagnola Open Arms, mentre l'attenzione è tutta puntata sul nuovo governo e sulla gestione dell'emergenza, si è consumato lunedì sera, quando la nave è approdata allo scalo siciliano, indicato dalle autorità italiane come porto sicuro, con i 146 passeggeri tirati a bordo nei giorni scorsi al largo della Libia (il 5 gennaio la nave spagnola ne aveva già portati sull'isola 265). Una quarantina erano su di una piccola imbarcazione di legno nella Sar maltese. L'operazione di soccorso è stata preceduta da un braccio di ferro tra l'Astral della Ong e le motovedette libiche, che, stando alla versione di Open Arms, avrebbero cercato di impedire il salvataggio. Il mezzo navale libico Fezzan P658, sostiene Open Arms, si sarebbe avvicinato ai Rhib (gommoni a scafo rigido), intimando di abbandonare quelle che loro consideravano «acque territoriali di Tripoli». Durante queste settimane la Ong (che è in mare dallo scorso 2 febbraio, salpata dal porto di Barcellona) ha più volte alzato la voce per le presunte pressioni esercitate dalla Guardia costiera Libica. Un altro intervento, invece, ha riguardato l'affondamento di una barca al largo di Lampedusa, un naufragio che conta un morto e 22 dispersi. L'imbarcazione su cui viaggiavano si è rovesciata e spezzata a causa del mare molto agitato. Anche questa seconda operazione sarebbe avvenuta sotto il minaccioso controllo di un'imbarcazione libica, che si sarebbe tenuta a distanza solo dopo aver notato la presenza di telecamere a bordo della nave spagnola. I 106 fatti salire sulla Open Arms provengono principalmente dal Mali, dalla Costa d'Avorio e dalla Guinea, dalla Nigeria, dal Sudan, dal Camerun, dal Togo e dal Burkina Faso. Tra di loro ci sono due donne al quarto mese di gravidanza e 58 minorenni, tra cui anche un bimbo di tre mesi, e 50 adolescenti che viaggiavano non accompagnati. Pur essendo già attraccati, però, i passeggeri non potranno scendere dalla nave. È stato stabilito che le operazioni di accertamento sanitario verranno eseguite a bordo (sono cominciate già nella serata di ieri dal personale della Croce rossa italiana, controllate per gli aspetti legati all'ordine pubblico, invece, dal personale della polizia di Stato). Per passare sulla nave quarantena Allegra bisognerà prima attendere che un centinaio di persone che hanno appena ultimato il periodo di sorveglianza sanitaria anti Covid scendano per essere spostate in strutture d'accoglienza della Toscana e dell'Emilia Romagna (un percorso che richiede comunque del tempo per organizzare i trasferimenti). Inoltre, sempre ieri sera, con il traghetto di linea da Lampedusa sono giunti altri 100 migranti circa da far salire sulla Allegra per questioni sanitarie. Fatta eccezione per i minorenni, i passeggeri della Open Arms, sono destinati a essere ospitati nella struttura d'accoglienza di Casteltermini, provincia di Agrigento, centro diventato noto per le fughe di tunisini mandati lì per scontare il periodo di quarantena e ritrovati poi in giro per l'Italia. Rimarranno quindi in Sicilia. L'equipaggio trascorrerà, invece, la quarantena in un punto di fonda, come comunicato dalle autorità competenti. La nave da soccorso lunedì sera era arrivata a ridosso di Lampedusa, ma lo sbarco non era stato autorizzato nonostante le condizioni meteo marine non fossero ottimali. Ieri, poi, è arrivato il via libera. La Ong sabato è stata la prima a esprimersi sul governo guidato da Mario Draghi: «Siamo convinti», ha dichiarato la portavoce Veronica Alfonsi, «che per riuscire finalmente a dare le risposte necessarie sui temi che ci riguardano e che ci stanno a cuore, servono governi che si assumano la responsabilità di scelte coraggiose. In Italia e in Europa». Con molta probabilità c'è di nuovo paura che la Lega possa far pesare la sua posizione politica sull'immigrazione, come ai tempi del governo gialloverde. La preoccupazione della Open Arms d'altra parte deriva anche dal braccio di ferro con Matteo Salvini che la Organizzazione non governativa porta avanti nel procedimento di Palermo per lo stop allo sbarco dell'agosto 2019, quando il leader del Carroccio (accusato di abuso di ufficio e sequestro di persona) era ministro dell'Interno. Ed è per questo, forse, che gli spagnoli hanno mandato subito un messaggio distensivo al capo del Viminale: «La riconferma della ministra Luciana Lamorgese», afferma Open Arms, «significa per noi proseguire un dialogo già iniziato». Ieri per dare man forte a Open Arms è scesa in campo anche Emergency (il sodalizio tra le due organizzazioni non governative va avanti da tempo e sulle navi da soccorso della prima spesso c'è personale di Emergency), che ha ripreso a far politica a pieno ritmo: «Quanto avvenuto durante la Missione numero 80 testimonia, semmai ce ne fosse ancora bisogno, che i respingimenti per procura sono costanti e strutturati, coordinati e finanziati dai governi europei». Secondo Emergency e Open Arms, «in questi giorni si è assistito al recupero di centinaia di persone riportate in Libia contro la loro volontà da motovedette libiche finanziate con il denaro dei cittadini italiani e europei. Ribadiamo la necessità che l'Europa smetta di considerare la Libia un luogo sicuro, e inizi garantire il diritto al soccorso e alle cure come previsto dal diritto internazionale». Insomma, sull'immigrazione siamo alle solite, ma questa volta il tutto avviene nel silenzio generale.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/le-ong-fanno-quello-che-vogliono-146-africani-scaricati-in-sicilia-2650556448.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="un-condannato-alla-corte-di-de-luca" data-post-id="2650556448" data-published-at="1613502685" data-use-pagination="False"> Un condannato alla corte di De Luca Un'interrogazione che potrebbe fare molto male al presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca riaccende lo scontro diretto tra lui e Severino Nappi, fino al 2015 assessore al Lavoro nella giunta di centrodestra guidata da Stefano Caldoro e oggi consigliere regionale della Lega. L'interrogazione presentata da Nappi, che è avvocato e profondo conoscitore della materia, visto che insegna diritto del lavoro all'università di Napoli, segnala infatti la grave anomalia dell'assunzione di un condannato a capo della segreteria dello stesso De Luca. Forte della legge 39 del 2013 sulle incompatibilità degli incarichi nelle pubbliche amministrazioni, che vieta di assumere come dirigenti «chi abbia riportato condanne per reati contro la pubblica amministrazione, anche se non passate in giudicato», Nappi chiede come sia stato possibile che il 22 gennaio 2020 De Luca abbia «direttamente attribuito il trattamento economico proprio dei dirigenti, pari a 116.123,54 euro annui, al signor Nello Mastursi». Carmelo Mastursi, detto Nello, è uno dei fedelissimi di De Luca. Era vicesegretario del Pd campano che aveva strappato la vittoria alle regionali del maggio 2015, e il neoeletto presidente l'aveva premiato piazzandolo a capo della sua segreteria particolare. La vittoria, però, era stata presto azzoppata perché in estate la nomina di un manager, fatta da De Luca quando ancora era sindaco di Salerno, gli era costata una piccola condanna per abuso d'ufficio. La condanna sarebbe stata in seguito annullata in Cassazione, ma nell'estate 2015 la controversa Legge Severino decretava la sospensione del governatore dalla carica appena ottenuta. De Luca allora aveva fatto ricorso al tribunale civile di Napoli, e la corte gli aveva dato ragione: la sospensione era stata sospesa, e la Legge Severino era finita davanti alla Corte costituzionale. I guai, però, non erano terminati. Perché nel novembre 2015 Mastursi era stato costretto alle dimissioni da un'inchiesta aperta dalla Procura di Napoli su presunti maneggi riguardanti proprio la sentenza che aveva cancellato i problemi d'incompatibilità di De Luca. Con lui, tra gli indagati, era finito uno dei giudici della corte che aveva rimesso De Luca sul suo trono, cioè Anna Scognamiglio, e anche suo marito Guglielmo Manna che in quel periodo puntava a una nomina di peso nella sanità campana. Come spesso accade alla giustizia italiana, il processo di primo grado su quell'inchiesta è andato avanti in modo tortuoso: è ancora aperto per la giudice e suo marito, ma Mastursi è stato giudicato con rito abbreviato e nel marzo 2017 condannato a un anno e sei mesi di reclusione per il reato di tentata induzione indebita. Indifferente alla condanna, ai primi del dicembre 2020 De Luca ha rivoluto l'ex segretario particolare accanto a sé, e ha mostrato di non dare alcun peso alle polemiche che ne sono seguite. L'ha anche piazzato nello stesso ruolo di prima, quello in cui Mastursi aveva compiuto il presunto reato per il quale è stato condannato. Poi, a fine gennaio, ha stabilito il suo più che dignitoso compenso da dirigente, con effetto retroattivo. Nappi, che in regionale è ormai l'antagonista diretto del governatore, tanto da averlo denunciato per la promozione in Regione di quattro vigili urbani di Salerno (una denuncia sulla quale è in corso un'inchiesta per falso e truffa), e in cambio ha ottenuto il veto alla sua nomina ai vertici delle due commissioni antimafia e di controllo, non ha perso l'occasione per colpire De Luca: «È strano», dice alla Verità, «che la sua amministrazione, pur costando milioni, non si sia accorta del fatto che la nomina di un condannato è illegittima». L'impressione è che la vicenda di Nello Mastursi non finirà presto.
Little Tony con la figlia in una foto d'archivio (Getty Images). Nel riquadro, Cristiana Ciacci in una immagine recente
«Las Muertas» (Netflix)
Disponibile dal 10 settembre, Las Muertas ricostruisce in sei episodi la vicenda delle Las Poquianchis, quattro donne che tra il 1945 e il 1964 gestirono un bordello di coercizione e morte, trasformato dalla serie in una narrazione romanzata.