2022-02-04
Le Olimpiadi rafforzano l’asse tra Putin e Xi
Vladimir Putin e Xi Jinping (Ansa)
Oggi si apre Pechino 2022 e l’incontro tra il presidente russo e il leader cinese dovrebbe preoccupare l’Occidente. Mosca chiede sostegno economico per reggere l’urto delle sanzioni Usa qualora invada l’Ucraina. Il Dragone vuole indebolire i rapporti Nato.Le Olimpiadi invernali che si aprono oggi a Pechino prefigurano preoccupanti implicazioni geopolitiche. Mentre Stati Uniti, Regno Unito, Australia e altri Paesi hanno annunciato il boicottaggio diplomatico dell’evento, Russia e Cina ne stanno approfittando per consolidare la loro convergenza. Oggi, Vladimir Putin avrà un faccia a faccia con Xi Jinping a Pechino prima della cerimonia di apertura dei Giochi. Si tratta del primo incontro di persona che il leader cinese avrà con un capo di Stato straniero dall’inizio della pandemia: il che è indicativo di come l’asse sino-russo si stia rafforzando. Ma non è tutto. Putin ha infatti rilasciato un’intervista al China media group, pronunciando parole molto amichevoli nei confronti di Xi. «Il presidente Xi Jinping ed io ci conosciamo da molto tempo, come buoni amici e politici che hanno in gran parte le stesse opinioni sull’affrontare i problemi del mondo», ha detto. Il capo del Cremlino ha poi rammentato il rinnovo, avvenuto lo scorso giugno, del Trattato di amicizia sino-russo del 2001. Non solo: in un editoriale pubblicato dall’agenzia di stampa cinese Xinhua, ha anche scritto: «Stiamo costantemente espandendo gli accordi nelle valute nazionali e creando meccanismi per compensare l’impatto negativo delle sanzioni unilaterali. […] Tra i nostri Paesi si sta formando una partnership energetica reciprocamente vantaggiosa». Parole, queste, che non possono non essere lette in relazione alla crisi ucraina.Innanzitutto è chiaro che Mosca guardi al Dragone per alleviare l’effetto delle sanzioni che gli Stati Uniti comminerebbero in caso di invasione dell’Ucraina. Un’invasione che appare tutt’altro che improbabile. La Russia d’altronde intervenne in Georgia durante le Olimpiadi cinesi del 2008, sferrando inoltre la sua offensiva militare in Crimea proprio mentre terminavano i Giochi di Sochi nel 2014. Il fatto stesso che Putin si stia accordando con Pechino per contrastare l’effetto di eventuali sanzioni lascia intendere che il Cremlino è probabilmente pronto ad attaccare da un momento all’altro. Il 10 febbraio inizieranno tra l’altro delle esercitazioni militari congiunte tra Mosca e Minsk: esercitazioni che vedono già in Bielorussia un cospicuo ammassamento di truppe russe (il più grande dispiegamento russo in loco dalla Guerra Fredda, secondo la Nato). Certo: bisognerà in caso capire se i russi intendano procedere con un’invasione su larga scala o se invece limitata alle aree orientali dell’Ucraina. Resta però il fatto che la mera minaccia di sanzioni, avanzata da Joe Biden, rischia sempre più di rivelarsi un’arma spuntata (è anche per questo che l’inquilino della Casa Bianca ha acconsentito mercoledì a schierare 3.000 soldati statunitensi in Polonia, Germania e Romania). Tra l’altro le parole di Putin sull’energia non risultano esattamente di buon auspicio per Washington. Il leader russo sta infatti facendo leva sul gas per frantumare il fronte occidentale, fiaccando così le relazioni transatlantiche e la stessa leadership di Biden (già traballante a seguito della caduta di Kabul). Basti pensare all’atteggiamento ambiguo che sulla crisi ucraina sta tenendo la Germania, la quale non sembra granché intenzionata a rinunciare al gasdotto Nord stream 2, irritando così Kiev e Varsavia. Tra l’altro, quest’anno Mosca e Pechino finalizzeranno probabilmente l’accordo per l’avvio del gasdotto Power of Siberia 2, che dovrebbe rifornire la Cina con gli stessi giacimenti di gas russo che al momento approvvigionano l’Europa. Senza infine dimenticare che un’invasione dell’Ucraina innescherebbe prevedibilmente un’ondata migratoria diretta verso l’Ue. Ora, è pur vero che la Cina intrattiene storicamente buoni legami economici e politici con Kiev. Tuttavia ultimamente l’asse sino-russo si è consolidato su questo dossier (basta guardare a quanto accaduto lunedì al consiglio di sicurezza dell’Onu). Inoltre, il ministero degli Esteri cinese ha reso noto ieri che Pechino e Mosca hanno posizioni «coordinate» sulla questione ucraina. Il Dragone è infatti pronto a sacrificare i suoi legami con Kiev pur di conseguire due obiettivi: il primo è indebolire le relazioni transatlantiche; il secondo è sfruttare un effetto domino che gli consenta di procedere all’occupazione di Taiwan. Non è del resto un caso che, proprio ieri, un organo del Pcc come il Global times abbia legato a doppio filo il dossier ucraino a quello taiwanese. È in questo quadro che, due settimane fa, si è registrata una nuova massiccia incursione di velivoli da combattimento cinesi nello spazio di difesa aereo dell’isola, mentre il deputato statunitense Michael McCaul ha paventato un’invasione di Taiwan poco dopo la conclusione delle Olimpiadi. Infine non è escluso che la Cina possa (anche) puntare a cingere Putin in un abbraccio sempre più soffocante. Il consolidamento dell’asse sino-russo non è una buona notizia per l’Occidente. Biden deve sbrigarsi ad uscire dalla sua perniciosa prevedibilità. In caso contrario, l’Europa resterà sempre più in balia degli appetiti di Mosca e Pechino.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
Continua a leggereRiduci