2020-02-05
Le mire francesi sulle nostre banche in tre indizi: Carige, Pop Bari e Bazoli
Il nome di Crédit Agricole spunta non solo come paracadute a Genova, ma anche come piano B del recente salvataggio in Puglia. C'è chi è pronto ad accogliere Parigi sulla strada aperta anni fa dallo storico presidente.Se tre indizi fanno una prova, l'alfiere da muovere sullo scacchiere italiano delle fusioni bancarie parlerà francese e si chiamerà Crédit Agricole. Che nel 2017 è già arrivata in soccorso delle casse di risparmio di Rimini, Cesena e San Miniato, e oggi opera nel nostro Paese attraverso la spa Credit Agricole Italia, controllata al 75,6% (e guidata da) Giampiero Maioli, cui fanno capo anche Cariparma, Friuladria e Carispezia. L'Italia rappresenta già il secondo mercato dopo la Francia, ma il presidio potrebbe rafforzarsi ulteriormente. Il primo indizio è stato svelato sulle pagine della Verità qualche giorno fa e ci porta in Liguria: Cassa centrale Banca, la holding delle banche di credito cooperativo che gravitano nel Nordest e in Trentino, ha partecipato al salvataggio di Carige tramite un importante aumento di capitale, assieme al fondo interbancario e allo schema volontario, oltre agli azionisti dell'istituto genovese. Nelle prossime settimane Ccb si aspetta di ricevere dalla Bce l'esito del cosiddetto Aqr, asset quality review, che tradotto in italiano significa esame degli attivi. Da dentro la banca non si esclude che Francoforte possa richiedere un seppur limitato rafforzamento di patrimonio. Se poi si scoprisse, sul fronte di Carige, che serve un nuovo aumento di capitale, è difficile che la liquidità arrivi dalle piccole Bcc raggruppate nella Cassa. A versare un obolo nella holding trentina potrebbero essere però (così prevede la riforma Renzi) solo player stranieri come il Crédit Agricole, in manovra a quel punto attraverso la casa madre di Montrouge. In pratica, la banca genovese sarebbe da considerare non tanto un cavallo da rilanciare, ma un tunnel d'accesso per i francesi alla creazione del terzo polo del credito, oltre a quello di Intesa e di Unicredit, che potrebbe unire le reduci di quel mondo Popolare ancora rimasto in piedi come il BancoBpm e Ubi, magari annettendo qualche altro satellite come Mps o la stessa Carige anche con l'aiuto di un danaroso compagno di viaggio straniero.Fantafinanza? Chissà. C'è però il secondo indizio: per il salvataggio della Pop Bari, ha scritto lunedì il Sole 24 Ore, ci sarebbe allo studio anche un «piano B» che prevede di affiancare all'intervento del Fondo interbancario di tutela dei depositi (Fitd) una banca privata che svolga il ruolo di anchor investor di minoranza in vista di una futura aggregazione. Ruolo che molti ritengono possa essere svolto proprio da Crédit Agricole. Non solo. Negli ultimi mesi i francesi sono spuntati spesso come possibili cavalieri bianchi su altri dossier: nelle filiali del Creval, ad esempio, i dipendenti sono sempre più convinti che la loro banca finirà prima o poi nella rete dei francesi che dell'istituto sono già azionisti con una quota del 5% oltreché partner bancassicurativi. Da Parigi hanno sempre smentito ma il vento potrebbe essere cambiato. E la pista dell'Agricole è spuntata in passato anche, più a Sud, per il futuro del Monte dei Paschi che proprio in questi giorni sembra arrivato a una svolta importante. Ieri il titolo ha chiuso la seduta in Borsa con un balzo del 5,5% in vista di un imminente via libera della Commissione Ue alla cessione di quasi 10 miliardi di crediti deteriorati ad Amco (la ex Sga), per rendere la banca più appetibile sul mercato. Gli accordi presi con Bruxelles e Francoforte prevedono infatti l'uscita del socio pubblico entro il 2021. Tra l'altro, non necessariamente quelle dell'Agricole sul risiko bancario italiano sarebbero viste come mosse ostili. Anzi potrebbero essere proprio i «poteri forti» del nostro sistema a fare da garanti affinché la transizione verso il nuovo assetto del sistema avvenga in modo ordinato. E questo ci porta dritti al terzo indizio che arriva dal passato: i decani di Piazza Affari ricordano, infatti, l'alleanza tra il gruppo transalpino e il grande vecchio della finanza cattolica Giovanni Bazoli (oggi presidente emerito di Intesa) ai tempi delle sue battaglia contro la finanza laica di Enrico Cuccia. Alla fine degli anni Ottanta l'avvocato bresciano, diventato banchiere per rilanciare il Nuovo banco ambrosiano, chiamò in aiuto proprio les amis dell'Agricole per arginare l'avanzata di Gemina che mirava, sotto la regia di Mediobanca, a portare sotto l'egida della Comit l'istituto rinato dalle ceneri della banca di Roberto Calvi. Operazione che poi si farà, ma nella direzione opposta di quella di Cuccia: ovvero, gettando le fondamenta di Intesa.