
Per completare la conquista del feudo renziano il Carroccio mira a controllare le emittenti locali. I fedelissimi Sciscione acquisiscono Italia 7 e costringono gli amici del Bullo a ripiegare su Tele Iride per dare voce a Luca Lotti.La Lega ha pronto un asso nella manica per le prossime elezioni regionali che risponde al nome di «emittenti locali». Partiamo dal dire che il Carroccio, lottando con forza, è riuscito a infilare nel decreto Milleproroghe, approvato dal Senato e ora passato alla Camera (previsto in seconda lettura a settembre), l'emendamento sulle tivù locali che non era riuscito a portare a casa con il dl Dignità (anche per l'opposizione ostruzionistica di FI). Si tratta dell'estensione del regime transitorio per fare domanda dei contributi, in sostanza è la proroga di alcuni termini in materia di emittenti radio e tivù, tra cui i requisiti di ammissione ai contributi pubblici modificati dalla riforma dell'editoria. L'emendamento, approvato in commissione Affari costituzionali del Senato, estende il regime anche al 2019 e stabilisce che per le domande presentate in quell'anno si dovranno prendere in considerazione il numero medio di dipendenti occupati nell'esercizio 2018. Alla nuova disciplina transitoria si dovrà far riferimento all'atto dell'aggiudicazione degli stanziamenti del fondo per il pluralismo e l'innovazione dell'informazione. Ma a cosa guarda la Lega con più interesse? Di sicuro al territorio toscano, dove con le ultime amministrative locali ha incassato un risultato record, facendo crollare quello che si pensava essere un inespugnabile fortino dem. Il termometro delle ulteriori mire del partito del «capitano» Matteo Salvini in ex territorio renziano è l'acquisizione da parte della famiglia Sciscione dell'emittente Italia 7, una delle tivù con il più alto indice di ascolti fra le locali in Toscana e a Firenze in particolar modo. Gli Sciscione, Marco e Giovanni, imprenditori originari di Terracina, già titolari di Lazio Tv e Gold Tv - e già conosciuti in Toscana per aver comprato Canale 10, fondato da Vittorio Cecchi Gori, trasformandola in tivù commerciale - si dice abbiano un ottimo rapporto con la Lega. Si racconta della grande rabbia di Salvini quando durante la campagna elettorale, andando ospite in una delle trasmissioni dell'emittente, venne a sapere che questa rischiava da mesi il fallimento a causa della profondissima crisi che ha colpito il settore e che in ballo c'erano i posti di lavoro di almeno tredici fra giornalisti, operatori e impiegati. All'asta per Italia 7 - va sottolineato, perché ha un significato politico - ha partecipato anche Boris Mugnai, proprietario dell'emittente toscana Rtv38, principale concorrente di Italia 7. Egli era interessato ad agguantare l'emittente per ampliare la propria offerta commerciale ed editoriale nella regione, ma gli Sciscione hanno avuto la meglio. C'è una nota divertente da inserire: prima della terza asta, se ne era interessato anche Giovanni Galli, esprimendo con un comunicato stampa il suo turbamento per la seconda asta andata a vuoto. L'ex portiere del Milan era il candidato a sindaco di Firenze del Pdl per le elezioni del giugno 2009, sostenuto da una coalizione che includeva oltre al Pdl, anche la sua lista civica, la Lega Nord Toscana e altri. Al primo turno ottenne il 32% dei voti contro il 47,5% del candidato del centrosinistra Matteo Renzi, mentre al ballottaggio risultò sconfitto con il 40% dei voti contro il 60% di Renzi. Qualche maligno lo ha definito «più renziano di Lotti» e «il candidato del Pdl per far vincere Renzi». Vabbè, ma questa è un'altra storia. Tornando al comunicato - di cui ci domandiamo il senso - scrive: «Confrontandomi con un amico (che dovrebbe essere uno dei fratelli Sciscione, ndr) abbiamo ragionato che poteva esserci un modo per evitare il peggio, e con loro abbiamo approfondito in maniera immediata diversi temi, fra i quali il rilancio e lo sviluppo futuro possibile di Italia 7». Un mistero le tendenze politiche di Galli, che o si vuole convertire alla Lega pure lui, oppure sta sposando lo stile neodemocristiano. E ora arriva il momento di collegare i puntini per disegnare la road map politica dell'informazione: se prima i renziani e il Giglio magico (che ora potremmo ribattezzare crisantemo) erano protesi verso Rtv38, ora, vista la mancata acquisizione di Italia 7, stanno prendendo la rotta di Barberino del Mugello, direzione Tele Iride. È qui che gli imprenditori vicini all'ex Rottamatore hanno intenzione di investire, anche per l'amicizia che lega il fratello del direttore della tivù in questione con Luca Lotti. Vediamo meglio: Marco Talluri, direttore responsabile di Iride, è il fratello di Luca Talluri, presidente di Federcasa, che si occupa soprattutto di edilizia sociale e integrazione di immigrati, molto amico, appunto, di Luca Lotti, papabile quest'ultimo come candidato alla presidenza della Regione Toscana per il Partito democratico. Di acqua sotto i ponti, tuttavia, ne deve ancora passare da qui al 2020 quando dovrebbero esserci le regionali e sarà divertente vedere come il blob renziano si muoverà per contrastare l'avanzata leghista. Se questa prepara la «guerra» elettorale con la strategia, i renziani sembrano fare solo tattiche, buone per piccole battaglie ma non per le rivoluzioni. A proposito di editoria locale, voci di corridoio raccontano che fino a poco prima della sentenza che ha visto Denis Verdini condannato a quasi sette anni di reclusione per il crac del Credito coop fiorentino, l'ex senatore di Ala fosse stato sguinzagliato dal deputato di Fi ed editore Antonio Angelucci per fondare una sorta di «Corrierino fiorentino» con il fine di aiutare la prossima campagna elettorale di Lotti.
Obbligazionario incerto a ottobre. La Fed taglia il costo del denaro ma congela il Quantitative Tightening. Offerta di debito e rendimenti reali elevati spingono gli operatori a privilegiare il medio e il breve termine.
Alice ed Ellen Kessler nel 1965 (Getty Images)
Invece di cultura e bellezza, la Rai di quegli anni ha promosso spettacoli ammiccanti, mediocrità e modelli ipersessualizzati.
Il principe saudita Mohammad bin Salman Al Sa'ud e il presidente americano Donald Trump (Getty)
Il progetto del corridoio fra India, Medio Oriente ed Europa e il patto difensivo con il Pakistan entrano nel dossier sulla normalizzazione con Israele, mentre Donald Trump valuta gli effetti su cooperazione militare e stabilità regionale.
Le trattative in corso tra Stati Uniti e Arabia Saudita sulla possibile normalizzazione dei rapporti con Israele si inseriscono in un quadro più ampio che comprende evoluzioni infrastrutturali, commerciali e di sicurezza nel Medio Oriente. Un elemento centrale è l’Imec, ossia il corridoio economico India-Medio Oriente-Europa, presentato nel 2023 come iniziativa multinazionale finalizzata a migliorare i collegamenti logistici tra Asia meridionale, Penisola Arabica ed Europa. Per Riyad, il progetto rientra nella strategia di trasformazione economica legata a Vision 2030 e punta a ridurre la dipendenza dalle rotte commerciali tradizionali del Golfo, potenziando collegamenti ferroviari, marittimi e digitali con nuove aree di scambio.
La piena operatività del corridoio presuppone relazioni diplomatiche regolari tra Arabia Saudita e Israele, dato che uno dei tratti principali dovrebbe passare attraverso porti e nodi logistici israeliani, con integrazione nelle reti di trasporto verso il Mediterraneo. Fonti statunitensi e saudite hanno più volte collegato la normalizzazione alle discussioni in corso con Washington sulla cooperazione militare e sulle garanzie di sicurezza richieste dal Regno, che punta a formalizzare un trattato difensivo bilaterale con gli Stati Uniti.
Nel 2024, tuttavia, Riyad ha firmato in parallelo un accordo di difesa reciproca con il Pakistan, consolidando una cooperazione storicamente basata su forniture militari, addestramento e supporto politico. Il patto prevede assistenza in caso di attacco esterno a una delle due parti. I governi dei due Paesi lo hanno descritto come evoluzione naturale di rapporti già consolidati. Nella pratica, però, l’intesa introduce un nuovo elemento in un contesto regionale dove Washington punta a costruire una struttura di sicurezza coordinata che includa Israele.
Il Pakistan resta un attore complesso sul piano politico e strategico. Negli ultimi decenni ha adottato una postura militare autonoma, caratterizzata da un uso esteso di deterrenza nucleare, operazioni coperte e gestione diretta di dossier di sicurezza nella regione. Inoltre, mantiene legami economici e tecnologici rilevanti con la Cina. Per gli Stati Uniti e Israele, questa variabile solleva interrogativi sulla condivisione di tecnologie avanzate con un Paese che, pur indirettamente, potrebbe avere punti di contatto con Islamabad attraverso il patto saudita.
A ciò si aggiunge il quadro interno pakistano, in cui la questione israelo-palestinese occupa un ruolo centrale nel dibattito politico e nell’opinione pubblica. Secondo analisti regionali, un eventuale accordo saudita-israeliano potrebbe generare pressioni su Islamabad affinché chieda rassicurazioni al partner saudita o adotti posizioni più assertive nei forum internazionali. In questo scenario, l’esistenza del patto di difesa apre la possibilità che il suo richiamo possa essere utilizzato sul piano diplomatico o mediatico in momenti di tensione.
La clausola di assistenza reciproca solleva inoltre un punto tecnico discusso tra osservatori e funzionari occidentali: l’eventualità che un’azione ostile verso Israele proveniente da gruppi attivi in Pakistan o da reticolati non statali possa essere interpretata come causa di attivazione della clausola, coinvolgendo formalmente l’Arabia Saudita in una crisi alla quale potrebbe non avere interesse a partecipare. Analoga preoccupazione riguarda la possibilità che operazioni segrete o azioni militari mirate possano essere considerate da Islamabad come aggressioni esterne. Da parte saudita, funzionari vicini al dossier hanno segnalato la volontà di evitare automatismi che possano compromettere i negoziati con Washington.
Sulle relazioni saudita-statunitensi, la gestione dell’intesa con il Pakistan rappresenta quindi un fattore da chiarire nei colloqui in corso. Washington ha indicato come priorità la creazione di un quadro di cooperazione militare prevedibile, in linea con i suoi interessi regionali e con le esigenze di tutela di Israele. Dirigenti israeliani, da parte loro, hanno riportato riserve soprattutto in relazione alle prospettive di trasferimenti tecnologici avanzati, tra cui sistemi di difesa aerea e centrali per la sorveglianza delle rotte commerciali del Mediterraneo.
Riyadh considera la normalizzazione con Israele parte di un pacchetto più ampio, che comprende garanzie di sicurezza da parte statunitense e un ruolo definito nel nuovo assetto economico regionale. Il governo saudita mantiene l’obiettivo di presentare il riconoscimento di Israele come passo inserito in un quadro di stabilizzazione complessiva del Medio Oriente, con benefici economici e infrastrutturali per più Paesi coinvolti. Tuttavia, la gestione del rapporto con il Pakistan richiede una definizione più precisa delle implicazioni operative del patto di difesa, alla luce del nuovo equilibrio a cui Stati Uniti e Arabia Saudita stanno lavorando.
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