
Il mercato sempre più in mano ad affaristi e speculatori, che si affidano alle grandi strutture commerciali per vendere le opere. Boom di scambi a New York e Londra, mentre l'Italia arranca. E pure gli artisti di casa nostra stentano ad avere buone quotazioni.«Le gallerie chiudono, i pittori e gli scultori non vendono più facilmente le loro opere, i critici cambiano mestiere, i giornalisti non si occupano più degli artisti, i mercanti vivacchiano: che cosa rimane dell'arte? All'orizzonte vedo solo delusioni e truffe». Lo dice sconsolato un anziano esperto, Marcello Persica (Galleria Mazzini di Roma), che per tutta la vita si è occupato di gallerie, mostre ,fiere di quadri e sculture. «Il mondo dell'arte», afferma, « ormai è dominato dagli affaristi, dagli speculatori e con quello che dico aumenterò il numero dei miei nemici. La gente non compra più opere d'arte: la grafica non attira più, i pittori notissimi perché hanno prezzi troppo alti e i pochi investitori scelgono quadri di artisti che si vendono nelle aste, soprattutto stranieri. E poi c'è da aggiungere che ogni giorno chiudono tre-quattro gallerie, soprattutto nei centri storici delle grandi città e i giovani artisti non hanno sostegni dallo Stato». «L'arte è morta? E allora viva l'arte». È questa la battuta più ricorrente nel mondo dei pittori e scultori, dei mercanti, galleristi, critici, dei «mediatori» e degli economisti dell'arte. Queste ultime professioni sono nate per l'interesse sempre più stretto del mondo della finanza con il mercato dell'arte, che si estende dall'arte antica, a quella moderna e contemporanea, con particolare interesse per gli artisti viventi. Infatti, quest'ultima «categoria», secondo gli esperti, sembra in forte crescita. Secondo la nota economista dell'arte, Clare McAndrew, nel suo rapporto 2018 (Art Basel e Ubs), ha scritto: «Fino a poco tempo fa gli artisti viventi erano considerati un capitolo secondario per il valore economico. Oggi le cose stanno cambiando molto».E qui parlano le cifre: nel 2017 le opere degli artisti viventi, nel mercato globale, hanno rappresentato il 46% del totale degli scambi, per il 76% del loro valore economico (nel 2016 era del 50%). Una cifra, con vendite record negli Usa (come quelle per le opere di Jean-Michel Basquiat,Cy Twombly, Andy Warhol e non solo) ma soprattutto in Cina e in Gran Bretagna, dove gli artisti viventi figurano ai primi posti, sia per il valore che per le transazioni. In particolare nella Repubblica popolare cinese (Hong Kong, soprattutto), con il 37% (contro il 31% degli Usa). Anche il Regno Unito ha registrato una buona performance, col 22% (3% in più del 2016). Non solo, ma dai dati (ancora non definitivi) del 2018 la crescita del valore e degli scambi dei viventi appare ancora più accentuata: un cospicuo numero di artisti raggiunge i 10 milioni di dollari ad asta (citiamo, ad esempio, Cui Ruzhuo, Gerhard Richter, Yayoi Kusama). Ciò significa che la grande parte delle transazioni riguarda la fascia bassa del mercato e cioè imprenditori, dirigenti d'azienda e professionisti, che investono in quadri e sculture del valore inferiore ai 50.000 dollari. Questo conferma che la platea degli investitori nel campo dell'arte, un settore considerato sino a qualche anno fa ad alto rischio, si sta allargando sul mercato internazionale.Nei Paesi più avanzati (ma anche in Cina, Russia e nei ricchi Stati arabi) il mercato dell'arte si va sempre più integrando con i sistemi finanziari. Ciò significa che gli acquisti privati, anche attraverso le piccole gallerie , cedono il passo alle grandi strutture commerciali, che organizzano aste a getto continuo e si muovono in stretto contatto col mondo finanziario. Gli esperti di finanza sembrano infatti sempre più interessati (soprattutto i gestori dei fondi) all'acquisto di opere d'arte, per diversificare il portafoglio di rischio. La prossima tappa di questo investimento sarà costituita dalla capacità di investire negli artisti emergenti. «È una sfida questa», ci dice la storica dell'arte, della galleria Plus Art Pulse di Roma, Paola Valori , «che i gestori dei Fondi dovranno, prima o poi, accettare. Se si allargherà il ventaglio degli acquisti si amplierà la platea degli investitori e dei collezionisti».Infatti, secondo una recente indagine (Collezione da Tiffany, Art Verona e Art Projet Fair) il numero è modesto: il 77% dei collezionisti italiani risiede nelle regioni del Nord; il 14% nell'Italia centrale e appena il 9% nel Sud; il 63% è laureato, con un'età media di 60 anni. Il 71% dei collezionisti compra cinque opere l'anno, quasi tutte nelle gallerie sopravvissute (32%), nelle aste (21% e nelle fiere (18%). È difficile poter stabilire però se anche nelle gallerie si organizzano aste, che incrementano le vendite. A questo proposito, secondo l'Art Collector Report, in Italia risiede appena il 3% dei collezionisti mondiali di arte contemporanea: siamo cioè al 9° posto nel mondo, un numero piccolo, rappresentato da banche, finanzieri, imprenditori molto ricchi, fra cui - per citarne alcuni - i collezionisti Patrizia Sandretto Rebaudengo,la coppia Miuccia Prada-Fabrizio Bertelli, Valeria Napoleone, la famiglia Maramotti, Ginevra Elkann. In altre parole, il mercato dell'arte - nel Paese più ricco al mondo di beni artistici e culturali - appare povero, provinciale e privo di ogni attrattiva da parte del vasto mercato mondiale.Per avere conferma è sufficiente consultare i dati del 2017: le principali case d'asta internazionali hanno registrato, per l'arte moderna e contemporanea, un incremento del 61,6%,rispetto all'anno precedente (ha concluso il biennio negativo 2015-2016, che aveva segnato un calo del 39,5%). Il boom di scambi è stato riscontrato a New York con il 72,4%, seguito da Londra (+32,9 %). Anche nel 2018 l'andamento delle case d'asta appare molto positivo, soprattutto negli Usa, Londra e Cina, almeno secondo gli esperti, perché non sono ancora noti i dati ufficiali. Estremamente significativi i dati sulle prime 100 opere d'arte contemporanea vendute all'asta (luglio 2017-giugno 2018). Al primo posto troviamo Jean-Michel Basquiat, con un dipinto venduto nel maggio 2018 a New York (Phillips), per 45.315.000 dollari; seguito da Jeff Koons, con una scultura aggiudicata a 22.812.000 dollari (Christie's) e da Chen Yifel,con un quadro venduto a 22.640.000 dollari (China Guardian Auctions, Pechino). Ancora Basquiat, che nel 2018 ha fatto la parte del leone: ha venduto a Londra (Christie's ) un dipinto per 21.594.000 dollari. Vediamo anche alcune cifre delle opere cedute da altri artisti: Peter Doig, 21 milioni; Henry James Marshall, 21 milioni; Christopher Wool, 14,5 milioni; Mark Bradford, 12 milioni; Takashi Murakami, 8.826.000; Rudolf Stingel, 8 milioni; Zhou Chuny, 6.745.000; George Condo, 6.160.000; Qiu Hanqlao, 5.571.000; Felix Gonzales Torres, 5.195.000; Liu Wei, 4.434.000. E così via .E le opere degli artisti italiani? Sono scarsamente presenti nelle aste internazionali. Spulciando gli elenchi delle prime 500 opere vendute (sino a giugno 2018) scopriamo che le poche inserite fra le «aggiudicate» sono ben lontane dalle quotazioni elencate. Spesso le cifre delle opere degli artisti di fama internazionale vengono favorite dalla forte crescita dei prezzi. Come è avvenuto - solo per citare un esempio- con David Hockney, un pittore inglese, giudicato dai mercanti il più caro al mondo. Un suo dipinto del 1972, Portrait of an Artist, è stato venduto nel novembre scorso a un'asta di Christie's nella Grande Mela per 90,2 milioni di dollari. Le opere dei pittori italiani stentano ad affermarsi. Le grandi società che promuovono le aste non li amano dal punto di vista economico. Solo pochi autori riescono a difendere discrete quotazioni (soprattutto le opere inquadrate nella Transavanguardia di Achille Bonito Oliva). Appena nove opere di artisti di casa nostra si trovano nelle 500 opere vendute (2018): Maurizio Cattelan al 121° posto, con 83 opere vendute (1.578.000 dollari), Gino De Dominicis al 178°, con 18 opere (983.000 dollari), Sandro Chia al 188°, con 88 opere (918.000 dollari), Mimmo Paladino al 203°, con 76 opere (839.000 dollari), Giuseppe Penone al 234° ,con 15 opere (635.000 dollari), Marcello Lo Giudice al 317°, con 10 opere (455.000 dollari), Luciano Castelli al 412° ,con 32 opere (307.000 dollari), Francesco Clemente al 469°, con 35 opere (265.000 dollari) e Nicola De Maria al 480° posto, con 21 opere (260.000 dollari). In altre parole il mercato dell'arte italiano si conferma ancora ristretto, con scarsi collegamenti con i circuiti internazionali concentrati ormai sulle grandi gallerie che promuovono aste con operazioni di marketing di centinaia di milioni di dollari. Anche in Italia, per la verità, si promuovono centinaia di aste ogni giorno, ma di entità molto modesta. Per lo più si tratta di mobili antichi, arredi, gioielli, libri rari, quadri e sculture di epoche passate. Di opere moderne e contemporanee si negozia poco, anche nelle aste , a meno che non si parli di Amedeo Modigliani, di Giorgio De Chirico, Giorgio Morandi o di altri autori di fama internazionale. Ma, anche in questo caso, si preferisce trasferire le opere a Londra, a Parigi, a New York , a Dubai, a Shanghai o a Mosca. Come ha affermato l'economista Donald Thompson, nel saggio Bolle, baraonde e avidità, «quando entrano gli esseri umani più ricchi del pianeta, l'arte diventa un investimento e il collezionista uno speculatore con il fiuto per guadagni facili e immediati». In Italia non siamo ancora a questo punto. Ma rischiamo di arrivarci perché stanno scomparendo le figure dei vecchi galleristi, appassionati della bellezza dell'arte e spesso anche mecenati, per lasciare il passo ad agenti, finanzieri dell'arte, ex galleristi, curatori di mostre, consulenti senza scrupoli, affaristi e mediatori.
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