2022-01-12
Le fragilità della ginecologa nascoste per il teorema del «primario belva»
Sara Pedri. Nel riquadro Saverio Tateo (Ansa)
Dopo la sparizione della Pedri, il dottor Tateo è stato licenziato. La tesi imperante è che l’abbia mobbizzata. Ma i messaggi della ragazza rivelano dubbi, paure ed errori professionali, anche prima che lo incontrasse. «È tutta colpa mia, me la sono cercata e adesso me la tengo». Tre settimane prima di scomparire, Sara Pedri scrive questa frase al fidanzato Guglielmo Piro. Una confessione amara, l’ammissione di una sconfitta per la giovane ginecologa svanita nel nulla il 4 marzo 2021 dopo aver abbandonato la sua Volkswagen T-Roc vicino al ponte di Mostizzolo (Trento) sul torrente Noce, con la portiera aperta e il cellulare sul sedile. «Non posso lasciare il lavoro, non lavorerò mai più in vita mia dopo questo fallimento», aggiunge. «Non so fare un c…, mi sembra di non averli mai frequentati questi cinque anni. Sono in crisi seria, non mi ripiglio più, so che non puoi capirmi».È il periodo più complicato, psicologicamente più delicato, di una storia ricostruita in ben 40.000 pagine di atti depositati in vista dell’incidente probatorio, disposto per febbraio, nel quale la Procura di Trento si propone di fare chiarezza sull’accusa di maltrattamenti psicologici (praticamente mobbing) che ha portato al licenziamento di Saverio Tateo, primario di Ginecologia e Ostetricia dell’ospedale Santa Chiara. Secondo un processo mediatico già arrivato a sentenza nelle rassegne stampa e in Tv, sarebbe lui il responsabile morale dell’eventuale suicidio della dottoressa. Ma c’è una novità. In quelle 40.000 pagine (32.569 si riferiscono al contenuto del cellulare della ginecologa rivelando conversazioni, confidenze e talvolta sfoghi con famigliari e amici) la presunta vittima non accusa mai esplicitamente il presunto colpevole. Lo sottolinea in una lettera aperta l’avvocato difensore del primario, Salvatore Scuto: «Dall’analisi del contenuto non emerge alcuna indicazione proveniente dalla Pedri, o da altri, circa atteggiamenti intimidatori, vessatori o violenti attribuibili al dottor Tateo». Al contrario «si evince un sentimento di personale insoddisfazione che accompagna la dottoressa in ogni contesto lavorativo in cui si è trovata. E ciò sembra del tutto indipendente dalle persone con cui la stessa ha collaborato, in quanto pare nascere dalla scelta dell’ambito professionale e da un vissuto particolarmente complesso».Siamo nel novembre 2019, Sara Pedri (31 anni, di Forlì) è a Catanzaro per la specializzazione e ad alcune colleghe scrive: «Depressione alle stelle anche per me». Poi alla sorella Emanuela: «Ho allontanato le amicizie, con Guglielmo non ci vediamo mai perché lavoro sempre e quel poco di tempo libero che ho mi addormento. Sono demotivata e demoralizzata, ho la testa disconnessa e non riesco nemmeno a pensare agli affetti. È colpa mia, lo riconosco». Tateo non è neppure all’orizzonte. Lei, sempre a Catanzaro, partecipa a un concorso che non dà l’esito sperato. Scrive: «La mia amica è passata. Quindi probabilmente sono io che ho sbagliato mestiere. L’ospedaliera proprio non la posso fare, ragazzi». Il suo sogno è lavorare in un centro di procreazione medicalmente assistita e non ne fa mistero: «Mi manca la Pma, mi manca fare i bambini agli altri». Invece si ritroverà a Trento, in prima linea, durante la seconda ondata di Covid. A Catanzaro subisce un rimprovero per un infortunio amministrativo. Il suo tutor la accusa: «Sara, hai mica mandato una mail unica a otto coppie per esami? Ma come ragioni. Prenditi una settimana di riordino delle idee». Lei risponde: «Chiedo scusa». Lui incalza: «Non c’è scusa che tenga, non vado in galera perché tu ti stanchi a mandare otto mail». Lei ammette: «L’ho fatto per scocciatura, non ho nulla da dire a mia difesa. Mi fermo qui, di cazzate ne ho già fatte e basta». Poi arriva la designazione a Cles, quindi a Trento. Ma la Pedri non sembra entusiasta e ancor prima di arrivare a destinazione spiega al fidanzato: «Amore, ci sono 2.500 parti a Trento. C’è la terapia intensiva neonatale, l’oncologia chirurgica. Mi succhieranno il sangue». Sembra avere un’inclinazione per le metafore catastrofiche e per il bicchiere mezzo vuoto; in questo contesto diventa comprensibile anche quel «sono un morto che cammina» che qualche commentatore con la gastrite da pandoro ha trasformato nella smoking gun contro Tateo.A Trento l’emergenza è continua, lei viene preservata dai turni più pesanti ma fatica a inserirsi e si lamenta con un’amica: «Non potevo sapere che questa vita non faceva per me». Poi al fidanzato: «Non credo che sia il mio posto, così come non lo era Catanzaro». Chiede di tornare a Cles, il primario Tateo (che in tre mesi l’aveva vista quattro volte) la supporta nel trasferimento e lei lo ringrazia con una mail: «Le sarò sempre profondamente riconoscente». Ma c’è qualcosa di irrisolto, neppure Cles va bene. Quando pensa di dimettersi, Sara si confida con un’amica biologa: «Il problema è che io lo sapevo anche prima cosa volevo fare (la procreazione assistita, ndr). Ma mi ha fatto paura la disoccupazione, così ho fatto la scelta sbagliata». Secondo l’avvocato Scuto, in quei frangenti la ginecologa «è in uno stato di difficoltà e vive con fastidio le pressioni della stessa famiglia che sembra ondivaga nel chiedergli di dimettersi o di restare».In una vacanza a Forlì, la Pedri si fa visitare dalla sua dottoressa di fiducia, poi scrive al fidanzato: «Mi ha fatto intendere che sono una capricciosa, che i turni di lavoro sono questi. Ha detto che ho perso sicurezza perché non ho accettato le prove che mi si sono poste davanti. Ha detto che è un problema caratteriale. Mi voleva dare i numeri degli psichiatri… Lo strizzacervelli è troppo». Quando il ghiaccio dà una tregua, nel lago di Santa Giustina le ricerche continuano.